‘Jurassic World’ e ‘La rinascita’ del blockbuster spielberghiano | Rolling Stone Italia
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‘Jurassic World’ e ‘La rinascita’ del blockbuster spielberghiano

Nell’estate in cui ‘Lo squalo’ compie 50 anni, Gareth Edwards regala alla saga ‘reloaded’ il capitolo più riuscito degli ultimi anni. Feat. Scarlett Johansson e omaggi che non sono mai pura nostalgia

‘Jurassic World’ e ‘La rinascita’ del blockbuster spielberghiano

Jonathan Bailey e Scarlett Johnasson in ‘Jurassic World – La rinascita’

Foto: Universal Pictures

Nell’estate in cui Lo squalo compie cinquant’anni, Steven Spielberg rifà Lo squalo. Tecnicamente non lo rifà lui, che da anni, nella saga giurassica, è rimasto solo in veste di produttore esecutivo. Però ha dato l’autorizzazione al nuovo regista – Gareth Edwards, ci torno su fra poco – di pescare (pardon) da tutto ciò che lui ha fatto, e che ha per così dire codificato il blockbuster moderno. Non solo i pescioloni cattivi in mare aperto: c’è anche un discorso sulla famiglia (le famiglie) che è il vero cuore di questo film.

Il film è Jurassic World – La rinascita, nelle sale dal 2 luglio, quarto capitolo nel nuovo ciclo inaugurato nel 2015 dalle fortune alterne, e soprattutto con i singoli episodi più simili alle attrazioni – sempre più adrenaliniche – di un parco giochi che a veri esiti cinematografici. La rinascita pare una rinascita per davvero. Per il regista, dicevo. Per gli attori coinvolti: la superdiva Scarlett Johansson, il due volte premio Oscar Mahershala Ali, il nuovo golden boy del cinema pop Jonathan Bailey (leggi: Wicked). Per la messa in campo di un intrattenimento pop che però dialoga sempre con la propria natura “d’autore” – in definitiva per, come scrivevo all’inizio, spielberghismo.

Scarlett è l’ex soldatessa, ora mercenaria (e, almeno al principio, vagamente destrorsa), che fa un accordo con una grossa farmaceutica (nella figura dello sgherro in camicia bianca Rupert Friend) per – sospendete l’incredulità – prendere un campione di Dna di tre giganteschi dinosauri e usarlo come base di un nuovo farmaco che curerà i cardiopatici. Per la missione nell’unica zona di mondo, interdetta dai governi, in cui i bestioni sono rimasti liberi e cattivi, chiama un ex compagno di ventura (Ali) e un ricercatore tutto modellini e niente azione (Bailey), almeno fino a quel momento. Si parte: il resto non ve lo devo svelare io.

Sulla loro strada s’incrocia il destino di una famiglia (eccoci) che, come da tradizione spielberghiana (rieccoci), è priva di madre. C’è un papà (Manuel Garcia-Rulfo), le sue due figlie (Luna Blaise e Audrina Miranda), il fidanzato della più grande (David Iacono). Sono in una barca a vela in mezzo all’oceano, per una gita di famiglia organizzata da quel genitore ben poco apprensivo (categoria oggi ben più estinta dei triceratopi). Arriva “lo squalo” (più o meno).

JURASSIC WORLD - La Rinascita | Trailer Ufficiale (Universal Studios) - HD

Da qui la trama – che, seppur sciocchina, c’è e corre spedita – non importa più: si capisce che stiamo entrando in un altro campo. Che è quello dell’hommage, sì, ma soprattutto del capire – da autore e da spettatore – come creare, oggi, nuove possibilità per il cinema pop estivo anch’esso in estinzione. Nell’estate dei blockbuster che guardano al passato (il solito Mission: Impossible, il nuovo F1, più 28 anni dopo e, presto, un altro Superman), Jurassic World – La rinascita è quello che più espressamente, anche per ragioni di target, guarda al mercato cosiddetto “family”, a quel che si può fare da quelle parti oltre ai live-action Disney (l’ultimo Lilo & Stitch ha riscattato, per incassi, le troppe zozzerie precedenti) e i cartoon che ormai arrancano pure loro (l’ultimo Pixar, Elio, sta soffrendo assai).

E qui bisogna tirare in mezzo Gareth Edwards. Autore poco capito, ma si è capito – guardando retroattivamente la sua filmografia – che ha fatto tutti i passi giusti per arrivare qui, a raccogliere l’eredità di Spielberg. Prima il piccolo (notevole) Monsters, poi l’ennesimo refresh di Godzilla, quindi l’incursione (sottovalutata) nel mondo di Star Wars con Rogue One. Fino al titolo che lo ha segnalato definitivamente come autore, ma che ha lasciato tiepida la maggior parte della critica e soprattutto il pubblico: The Creator. Superomismi, intelligenze artificiale, molto cuore vecchia scuola.

Guardando questo nuovo Jurassic World, ti accorgi che l’approdo a Spielberg era inevitabile. Edwards, maestro di luci e di composizione visiva, continua a usare i suoi rossi e i suoi verdi, ma parla con i lampi di Dean Cundey (prima che arrivasse Kaminski). Inserisce i temi bioetici, diciamo così, che attraversano il suo cinema e il dibattito (e che erano alla base della visione di Michael Crichton) ma riporta la saga là dove era cominciata, usando le stesse componenti per trovare (o almeno cercare) la stessa formula: i ricercatori un po’ profittatori, le creature tra orrore e meraviglia, i bambini (le famiglie) in pericolo. C’è pure un uovo di dinosauro, in una grotta con iscrizioni si direbbe precolombiane, che pare l’idolo d’oro dei Predatori dell’arca perduta. E una scena dentro un negozio di alimentari che è lo specchio di quella della cucina con i velociraptor (sapete di cosa sto parlando).

E poi, appunto, Lo squalo. “Ero totalmente ingenuo riguardo all’oceano, a Madre Natura”, dice Spielberg di quel filmone là di cinquant’anni fa. “L’arroganza di un regista che pensa di poter dominare gli elementi era sconsiderata, ma ero troppo giovane per rendermene conto quando ho preteso di girare il film nell’Oceano Atlantico e non in una vasca di Hollywood”. L’ingenuità è ancora alla base di tutto e di tutti. Di chi continua a immaginare questi blockbuster, e di chi li va a guardare. Di chi mette insieme l’incanto e la paura, la tensione e il gioco. Di chi guarda il primo piano di Scarlett con dietro una valle piena di dinosauri, e in sottofondo il tema di John Williams. E pensa: quello è Spielberg, quello è il Cinema, datemene ancora anche se sappiamo che è tutto finito.