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Indiana Jones e l’ultima crociata di Harrison Ford

Il quinto capitolo della saga, titolo 'Il quadrante del destino', è un ottimo congedo nei confronti di Indy da parte del divo. Che ha scatenato il delirio a Cannes, con la Croisette tutta ai suoi piedi
Harrison Ford alla proiezione di 'Indiana Jones e il quadrante del destino' a Cannes 2023

Foto: Lucasfilm/Disney

Partiamo dalla notizia più importante: ci sarà un Indy 6. Si intitolerà Indiana Jones alla ricerca del biglietto perduto e sarà ambientato tutto all’interno del Palais des Festivals di Cannes, che, posso assicurarvi, in quanto a passaggi segreti, cunicoli, anfratti e quant’altro non è da meno della piramide di Cheope. Il villain sarà il direttore Thierry Frémaux, che ha sottratto alla stampa mondiale la possibilità di vedere film. Il dottor Jones, con Stetson e frusta, dovrà scoprire dove sono nascosti i famigerati biglietti, e per una volta non li metterà in un museo, ma li darà indietro ai legittimi proprietari che ancora non hanno visto il cortometraggio di Almodóvar.

Dato lo scoop, passiamo a Indiana Jones e il quadrante del destino, quinto capitolo della saga creata da George Lucas e Steven Spielberg, con quest’ultimo che ha passato la mano a James Mangold dietro la macchina da presa. Davanti c’è sempre lui, Harrison Ford, che a ottant’anni si mostra a torso nudo nel film facendo vergognare molti uomini di alcuni decenni più giovani di lui. Lo fece anche Paul Newman in Mister Hula Hoop, stesso effetto sul pubblico maschile. Questo per dire che c’è modo e modo di essere una star. Sì, bello Johnny Depp, è tornato, il red carpet da rockstar. Ma qui, signore e signori, siamo di fronte all’essenza stessa del divo hollywoodiano, che nonostante la sua leggendaria compostezza che talvolta sembra sfiorare la noia è capace ancora di far strappare i capelli alle migliaia di persone che lo attendevano davanti al Palais per il red carpet che ha preceduto l’anteprima mondiale del film. E una volta arrivato in sala, quando è salito sul palco per ritirare la Palma d’onore del Festival (attenzione Thierry, stai trasformando Cannes nei Nastri d’Argento, non si nega un premio a nessuno), ha scatenato un vero e proprio delirio nell’immensa Sala Lumière, tutta in piedi per lui, anzi, tutta ai suoi piedi.

E francamente, perché non dovrebbe essere così? Stiamo parlando di Indiana Jones, di Han Solo, il contrabbandiere intergalattico, di Jack Ryan, l’intrepido analista della CIA. Quando Harrison Ford si cambia la camicia davanti alla vetrata del suo ufficio in Una donna in carriera e scatena l’applauso delle segretarie? Storia del cinema. Un attore che ha lavorato con Spielberg, Lucas, Polański, Kathryn Bigelow, Zemeckis, Pakula, Pollack. E la lista potrebbe continuare a lungo. Non ce n’è per nessuno, Ford viene da un posto lontano, quello dove tutto è possibile, e il pubblico è convinto che sia tutto vero e possibile.

Parla poco Harrison, ma quando parla fa piangere e fa ridere, come è successo nel corso della conferenza stampa al Festival. «Volevo chiudere il cerchio», ha detto alla stampa internazionale. «Quest’uomo che dipendeva così tanto dalla giovinezza, volevo vedergli addosso il peso della vita. Volevo che avesse bisogno di reinventarsi. E che avesse una relazione profonda con qualcuno».

Nello specifico: Helen, il personaggio interpretato da Phoebe Waller-Bridge, che forse ha trovato la sua vera strada, probabilmente tranquillizzata dalle molte decine di milioni di dollari che le sta bonificando da anni Amazon per non fare niente. Helen è la figlia di un vecchio amico di Indy, insieme riuscirono a salvare migliaia di opere d’arte rubate da Hitler nel corso della guerra, come raccontato nel prologo del film, quello in cui Ford recita ringiovanito in post-produzione dalle tecnologie digitali dell’intelligenza artificiale. Un argomento, quest’ultimo, su cui ha detto la sua sempre nel corso della conferenza di Cannes: «Mi è sembrato un intervento molto realistico. Non è una magia di Photoshop: è il mio aspetto di 35 anni fa. Ma non lo guardo come se volessi assomigliare a quell’uomo, perché non è così». L’effetto è notevole anche se, osservandolo bene, l’impressione è quella di stare guardando il personaggio di un videogioco, diciamo che gli attori in carne ossa possono ancora dormire sonni tranquilli.

Nel corso di questa missione impossibile, Indy e l’amico professore, interpretato da Toby Jones, recuperano un oggetto inventato da Archimede e che potrebbe essere parte di un macchinario più complesso che potrebbe aprire nei varchi nel continuum spazio-temporale. Stacco. Siamo nel 1969. Il professor Henry Jones è al suo ultimo giorno d’insegnamento prima di andare in pensione. Prima di uscire di casa guarda le carte per il divorzio chiesto dalla moglie, Marion Ravenwood (sì, proprio lei). Si è fermato, Indy, ha scelto la famiglia, una vita tranquilla. Ma se hai l’avventura dentro, non puoi sfuggirle. La giostra riparte e lo porta in giro per il mondo, e non solo, ma se volete sapere cosa succede andate al cinema dal 29 giugno, oppure leggete tutti gli spoiler urlati dalle centinaia di recensioni uscite subito dopo la première. Ma il vostro giornale è diverso.

Quello che c’è senz’altro da dire è che Indiana Jones e il quadrante del destino è un ottimo congedo da parte di Ford nei confronti del personaggio, un film perfettamente in linea con la tradizione della saga che offre anche un diverso livello di lettura del capitolo precedente, il da tutti vituperato Il regno del teschio di cristallo, in realtà molto più complesso e profondo di quanto appaia in superficie. E lo stesso vale per questo film, che tratta temi delicati come il rapporto con la vecchiaia, con la famiglia, ma che è anche un film estremamente politico, perché sottolinea il pericolo che il mondo sta correndo con la nuova ascesa delle ideologie di destra un po’ ovunque.

E poi c’è l’azione, moderata perché sempre ottant’anni si porta appresso il protagonista, la ricerca attraverso la soluzione di enigmi, il cattivo di turno, interpretato da un sempre ottimo Mads Mikkelsen, e una sorpresa finale. Anzi due. Anzi tre. E fanno piangere tutte. Certo, James Mangold non è Steven Spielberg, il cambio di manico si sente, soprattutto nella sezione centrale del film, ma è comunque cinema nella sua forma più pura, se parliamo di grande intrattenimento. E in ogni caso, quando parte per la prima volta la leggendaria colonna sonora di John Williams, si torna tutti bambini e ci possono vendere qualunque cosa. Ed è esattamente quello che succede.

Harrison Ford in ‘Indiana Jones e il quadrante del destino’. Foto: Lucasfilm/Disney

Addio a Indiana Jones? Sì, almeno quello di Harrison Ford, lo ha detto lui stesso: «Mi sembra evidente perché sia l’ultima volta: perché devo stare fermo e riposarmi». Ci crediamo poco. Così come a un Dottor Jones diverso da lui. Un giorno accadrà, è inevitabile. Ma quel giorno spero di essere da qualche parte a cercare tesori con il vecchio Indy.

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