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In difesa di Hugh Grant (e del non voler rispondere alle interviste cretine)

Tutti criticano l’attore per le risposte che ha dato a (una impreparatissima) Ashley Graham sul red carpet degli Oscar: e se invece avesse ragione lui? Il commento di uno che quelle situazioni le conosce bene

Foto: Emma McIntyre/Getty Images

Avrete visto in giro quei due minuti di intervista a Hugh Grant sul red carpet degli Oscar. Scrivono: awkward, cringe, la intervista más polémica de los Oscars. Dicono che Grant è cafone, che non si fa così, che alle domande si risponde gentilmente. Io credo che Hugh Grant sia stato favoloso, di più: che abbia totalmente ragione. E io sono Ashley Graham – ma a questo ci arrivo fra un po’.

Dunque, per chi domenica notte ha dormito e ieri mattina ha preferito indignarsi per la caricatura di Elly Schlein: i nominati e gli ospiti della serata degli Oscar arrivano sul tappeto rosso; a intervistarli per ABC, che trasmette la diretta, c’è anche Ashley Graham, di professione modella; le star arrivano e dicono tutte le stesse cose: che splendida annata di cinema, sono molto emozionato, I’m wearing Spectra Fashions, eccetera.

Arriva Hugh Grant, il quale – scopriremo più avanti – è lì per presentare un premio insieme alla collega di Quattro matrimoni e un funerale Andie MacDowell (altro momento delizioso) e non ha molto da dire. Graham fa le domande di rito: “ti stai divertendo?” (risposta: “più o meno”); “cosa indossi stasera?” (“il mio vestito”); “ti sei divertito a recitare in Glass Onion?” (“bah, praticamente non ci sono, mi si vede per tre secondi”).

E poi c’è il momento migliore. Grant, ben sintetizzando serate come questa, dice “it’s Vanity Fair”, intendendo il romanzo di Thackeray, citazione facile facile che non dovrebbe sfuggire ai più. Graham invece commenta, annuendo convinta: “Siamo tutti qui per Vanity Fair”, intendendo il giornale, “è lì che ci lasciamo un po’ andare e possiamo finalmente divertirci”, intendendo il consueto party post-cerimonia organizzato dal giornale stesso.

Essendo, sui social dei poliziotti della morale e del vittimismo, tutti concentrati su quanto-è-cattivo-Hugh e quanto-è-vessata-Ashley, nessuno si è accorto di quel passaggio, forse il più cruciale. Fare le interviste vuol dire prepararsi a qualsiasi tipo di risposta, di scazzo, di giornata iniziata col piede storto, di non-volevo-mettermi-’sto-benedetto-vestitino-e-star-qui-a-farmi-fare-le-fotine, di ti-prego-fammi-una-domanda-intelligente, di tutto. Fare le interviste, soprattutto, vuol dire arrivati preparati. Non serve poi così tanto: basta aver letto due libri.

(Nessuno, parentesi, si è accorto dell’altra cosa più bella, cioè che eravamo dentro un pezzo di meta-cinema: Hugh Grant era improvvisamente andato dall’altra parte, si era di colpo trasformato nel divo intervistato dall’inviato di Cavalli e segugi.)

Nell’era in cui tutti intervistano tutti – nel mondo ci sono sempre stati più intervistatori che intervistati, ma con le dirette Instagram la situazione s’è decisamente aggravata – Grant rimette le professioni al loro posto. E se la vostra obiezione è “vabbè, ma pure lui era lì per fare il suo mestiere, e il suo mestiere prevede anche le interviste sui tappeti rossi”, io dico sì, è vero. Ma rifiutare un’intervista cretina a volte è ulteriore segno di professionismo.

Io sono te, Ashley. Non perché sono una modella milionaria (ah no?), ma perché da un paio d’anni faccio le interviste alla gente sul tappeto rosso. È una cosa che mi diverte moltissimo e che (spero) diverte la maggior parte degli intervistati (persino quelli che probabilmente non sanno di essere diventati meme GRAZIE A ME: Cate, il tuo Oscar mancato è un po’ anche il mio Oscar mancato). Ma essere sbattuti, con l’abito della festa, davanti a un tizio col doppiopetto rosa che ti chiede cose, be’: io lo capisco che non sempre c’hanno voglia.

In particolare, c’è stata un’attrice molto famosa che proprio si vedeva che non voleva stare lì (la differenza è che stava presentando un suo film a un festival del cinema, non era di passaggio o quasi come Hugh Grant). Dava risposte telegrafiche, scalpitava per andarsene, a un certo punto prese la scusa “vado a salutare i fan ora che non ci sono più le barriere anti-Covid e possiamo tutti tornare ad abbracciarci” e io – che per un attimo m’ero sentito vittima delle star di Hollywood proprio come te, Ashley – ho pensato che aveva ragione, e la lasciai andare. Avrei anzi voluto dirle: “Anch’io in questo momento avrei tanta voglia di bermi uno spritz e farmi un cicchetto di baccalà”. Alla festa di Vanity Fair, si capisce.

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