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‘Il mucchio selvaggio’, 50 anni dalla danza di morte di Sam Peckinpah

L'azione estrema, l'arguzia e la grazia lugubre del classico del western rimettono al loro posto tutti i nuovi film in circolazione

Foto: Silver Screen Collection/Getty Images - © 2011 Silver Screen Collection

Il mucchio selvaggio è un capolavoro che diventa più avvincente e risonante con il passare degli anni. L’azione estrema, l’arguzia e la grazia lugubre del classico del western rimettono al loro posto tutti i nuovi film in circolazione.

Peckinpah è morto da quasi 35 anni, e ancora oggi, mezzo secolo dopo l’uscita de Il mucchio selvaggio, il suo capolavoro rivendica il soprannome del regista: Bloody Sam. Al momento dell’uscita, il film ha fatto fuoco e fiamme per la sua violenza. Il sangue zampillava in quantità dalle ferite da proiettile. Peckinpah usava lo slow motion per creare una danza di morte che era al tempo stesso orribile e profondamente affascinante. Polemiche a parte, Il mucchio selvaggio non è un film sulla violenza, ma sui personaggi, sugli uomini. Pike Bishop, interpretato da William Holden nella miglior performance della sua carriera, guida un branco di vecchi fuorilegge per una scorribanda in Texas, l’ultima prima di fuggire in Messico. Siamo nel 1913, e la frontiera si stringe sempre di più attorno a Pike e alla banda che comprende il suo braccio destro, Dutch Engstrom (Ernest Borgnine), il vecchio Sykes (Edmond O’Brien), i fratelli Gorch – Lyle (Warren Oates) e Tector (Ben Johnson) – che gestiscono un giro di prostituzione, e il loro alleato Angel (Jaime Sanchez), la cui ragazza lo ha scaricato per il generale Mapache (uno spregevole e indimenticabile Emilio Fernandez). Sono tutti assassini, ma il mucchio ha un codice creato da Pike: “Quando ti schieri con qualcuno, stai dalla sua parte, e se non puoi farlo sei come un animale, sei finito”.

Peckinpah tiene traccia dei delicati fattori che uniscono questa razza in estinzione. Gran parte del materiale restaurato non è composto da sequenze d’azione ma da scene di dialogo che ci trascinano nella testa di questi pistoleri mentre discutono del loro passato e della stretta sul loro futuro in un’epoca di automobili e armi sofisticate.

Per il suo canto del cigno, Pike vuole derubare la banca della ferrovia. La banda cavalca in città davanti a un gruppo di bambini ridacchianti che gettano brutalmente scorpioni su un mucchio di formiche rosse selvagge. Oltre alle implicazioni allegoriche del mucchio, la scena – intensificata dalla musica inquietante di Jerry Fielding – sintetizza la squallida visione del mondo di Peckinpah. La rapina è una trappola. Alcuni cacciatori di taglie guidati dall’ex amico di Pike, Deke Thornton (il grande Robert Ryan), aprono il fuoco.

Spettatori innocenti vengono uccisi impunemente mentre il direttore della fotografia Lucien Ballard, con telecamere che vanno a velocità differenti, cattura una carneficina coreografata con paralleli che vanno da I Sette Samurai di Akira Kurosawa alle atrocità in Vietnam.

L’azione culmina in un tentativo di salvataggio di Angelo da parte di Mapache, con il mucchio che affronta un esercito messicano. Un’immagine indelebile mostra Pike ferito a morte che sparge il fuoco di mitragliatrice su una scorta di esplosivi, accendendo un’orgia di morte. Peckinpah, che ha scritto la sceneggiatura con Walon Green, sarà sempre martellato per la brutalità che trionfa in eccesso, per la misoginia che identifica le donne con il tradimento, per la creazione di una mitologia e di un codice d’onore tra gli assassini. Peckinpah è destinato a una battaglia eterna con il politicamente corretto. Semplicemente lascia che la bellezza e il terrore si riversino su di lui in raffiche potenti e poetiche, che lo celebrano ancora come un maestro del cinema. E che rendono Il Mucchio Selvaggio un’opera d’arte brillante e dolorosa.

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