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Il metaverso di ‘Vacanze di Natale’

40 anni fa usciva nelle sale (e ci torna per un giorno il prossimo 30 dicembre) il film natalizio italiano per eccellenza. Abbiamo chiesto un ricordo al suo autore Enrico Vanzina: «È una somma di concetti che sono sfuggiti di mano a Carlo e a me. Non ce ne eravamo accorti»

Foto: Nexo Digital

Quando ripenso a Vacanze di Natale, che realizzai con mio fratello Carlo quarant’anni fa, non lo considero più un film tout court. Il clamore popolare e mediatico che lo ha accompagnato, dal giorno della sua uscita a oggi, lo ha trasformato in qualcosa di diverso, qualcosa di molto complesso, una sorta di metaverso dove si sovrappongono diverse realtà.

La prima, quella più evidente, è che si tratta di una vera commedia all’italiana, rinata dalle ceneri di quella classica che era stata seppellita negli anni ’70, quando il cinema si era barricato nel mondo surreale dei Celentano e dei Pozzetto. Vacanze di Natale, invece, ripropone, come avevano fatto le commedie italiane dal dopoguerra agli anni ’60, uno sguardo umoristico sulla realtà. I personaggi sono la fotografia di gente vera, parlano in modo vero, si dibattono in problemi veri, insomma rappresentano un mondo vero che era sotto gli occhi di tutti ma che nessuno aveva più raccontato nel cinema.

La seconda realtà che caratterizza il film è una imprevedibile (allora) lungimiranza nell’aver previsto la deriva che avrebbe sciaguratamente guidato, fino ad oggi, le nuove classi borghesi del nostro Paese. La vecchia borghesia italiana che aveva sempre creduto nell’essere, puntando tutto sull’istruzione, la cultura, insomma sul miglioramento sociale attraverso la conoscenza, in quegli anni cominciò a inglobare nuovi borghesi che sbavavano per l’avere. Un cambiamento di rotta mica da ridere, che in questi ultimi quarant’anni ha trasformato e involgarito il mondo bourgeois facendolo diventare una classe a dir poco ignorante e cafona.

La terza realtà di questo metaverso che aleggia sul film è un complicato meccanismo di nostalgia anticipata, come se quella storia, quelle atmosfere, quei luoghi, quel modo di vivere, più che descrivere il presente fossero stati raccontati per potere essere rimpianti nei decenni successivi. Malgrado gli anatemi ideologici sugli anni ’80, gli anni di Reagan, della Thatcher, di Craxi e del berlusconismo nascente, il film già prevedeva che nel ricordo collettivo avrebbe prevalso il rimpianto per quella leggerezza, quella spensieratezza e quella felicità di vivere di allora. Oggi, le nuove generazioni che non hanno vissuto quell’epoca vorrebbero poter tornare a vivere in quel modo. Gli anni ’80 di Vacanze di Natale sono il loro riferimento iconico in termini di musica, gadgets, moda, modi di dire ma soprattutto di esistere.

Per tutte queste ragioni credo che Vacanze di Natale non sia solo un film. È una somma di concetti che sono sfuggiti di mano a Carlo e a me. Non ce ne eravamo accorti. Lo avessimo immaginato, non avremmo combinato questo casino sociologico che ancora oggi suscita dentro di noi, compreso me, emozioni ricattatorie.

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