Iggy Pop: «Il problema con la vita è che a un certo punto si ferma» | Rolling Stone Italia
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Iggy Pop: «Il problema con la vita è che a un certo punto si ferma»

Lo dice l’idolo rock in ‘Tell Me Iggy’, il documentario-intervista a lui dedicato presentato al Biografilm Festival di Bologna. Ma in realtà sappiamo tutti che l’Iguana è immortale. Anche lui in questo film

Iggy Pop: «Il problema con la vita è che a un certo punto si ferma»

Iggy Pop guida la sua Rolls-Royce a Miami in ‘Tell Me Iggy’

Foto: 10.7 Productions

«Il problema con la vita è che a un certo punto si ferma». Non si può controbattere, soprattutto se ad affermare una verità tanto incontrovertibile è un signore di 76 anni che porta il nome di James Newell Osterberg Jr. Meglio noto come Iggy Pop. Già, Iggy è arrivato a questa veneranda età lo scorso 21 aprile, lo stesso giorno in cui compie gli anni Roma, ma il dubbio che lui possa durare più a lungo della Città Eterna permane (ringrazieremo eventualmente Gualtieri per questo). In ogni caso, l’Iguana è ancora viva e vegeta ed è anche loquace, almeno con chi vuole lui. In questo caso Sophie Blondy, regista francese che nel 2012 lo scritturò per il suo secondo film, L’étoile du jour, in cui Iggy interpretava la coscienza di un clown interpretato da Denis Lavant; attore di culto che fu fondamentalmente la ragione per cui accettò la parte: voleva lavorare con l’attore feticcio di Leos Carax.

L’amicizia con la regista è rimasta, e Sophie nel 2021 è volata a Miami per andarlo a trovare e fare con lui una bella chiacchierata che è poi diventata la spina dorsale di Tell Me Iggy, documentario di formato televisivo (52 minuti) presentato in anteprima italiana nella sezione Art&Music del Biografilm Festival di Bologna che senza troppi fronzoli racconta e fa raccontare al diretto interessato la storia terrena (e anche ultra) di questo dio del punk che ha attraversato oltre cinquant’anni di cultura pop e rock, incrociando le strade di Andy Warhol, Lou Reed, David Bowie, tanto per citare i primi tre stronzi che vengono in mente. Con gli Stooges o da solo, Iggy ha fatto di sé stesso la perfetta bestia da palco, spogliandosi e concedendosi al pubblico con anima e corpo, e non è una metafora. Il documentario si apre proprio con una delle sue tante memorabili performance durante la quali si denuda, con la consapevolezza di stare offrendo un’opera d’arte al mondo, mostrando la bellezza assoluta dell’essere liberi.

Non è cambiato, Jimmy, si è solo un po’ calmato, ma mai fermato. Certo non lo può placare la scoliosi: nonostante ormai la gamba destra, complice anche un’anca consumata, sia ben oltre i quattro centimetri più corta dell’altra, questo non gli impedisce di continuare a muoversi sul palco come nessun altro. Se non ci credete guardate su YouTube l’estratto di un suo concerto a San Francisco dello scorso aprile: sta meglio di me e di voi messi insieme. Anche per questo è buffo vederlo mentre parla amabilmente di sé stesso, dopo avere parcheggiato la sua Rolls-Royce di fronte casa in quel di Miami, la patria dei pensionati americani. «Sono qui dal 1998, è il posto in cui ho vissuto più a lungo nella mia vita. Sono stato 25 anni in giro tra New York, Berlino, Londra e Hollywood e non ne potevo più, volevo spazio, luce, il mare e stare lontano da un sacco di gente di merda».

Iggy Pop passeggia per Miami. Foto: 10.7 Productions

Non quella che parla di lui nel documentario, quelli sono decisamente tutti amici. Denis Lavant e Béatrice Dalle, che lo hanno conosciuto sul set di L’étoile du jour. Johnny Depp, che grazie a John Waters (anche lui interrogato, e come sempre di un’eleganza unica) divise con lui lo schermo in Cry Baby (collaborarono poi anche in Arizona Dream di Kusturica e in The Brave – Il coraggioso, l’unica regia a oggi di Depp). Debbie Harry, vecchia amica dei tempi newyorkesi della Factory di Warhol. E tutti hanno solo parole dolci per quest’uomo selvaggio che deve avere un’umanità rara. Lo si capisce da come si descrive, pacato, sorridente, con un’evidente pace interiore, lui che ne ha viste e provate tante, e lo sa. «La mia vita è sempre stata un susseguirsi di momenti molto alti e molto bassi. Adesso mi piacerebbe che le montagne si trasformassero in colline». Perché alla fine il tempo passa per tutti, anche per The Passenger, che però non riesce a dissipare l’energia che da sempre lo possiede, e che spiega benissimo per far comprendere il suo rapporto con la musica e con il pubblico. «Diciamo che a casa hai una lampada. E per accenderla e farla illuminare devi collegarla a una fonte d’energia, a una presa di corrente. Ecco, io sono la spina, la mia band è l’energia e io sono lo strumento con cui illuminare il pubblico».

E a dire il vero ci riesce anche stando comodamente seduto nel suo studio. Se non ci credete, sintonizzatevi su BBC6 la domenica alle 16 del meridiano di Greenwich (un’ora dopo per i mediterranei). Iggy Confidential sono le due ore di musica migliori che potete ascoltare, accompagnate dalla calda voce di questo signore che passa senza problemi da Frank Sinatra ai Beastie Boys. Una volta ha fatto anche un’attenta disamina dell’importanza degli Skiantos sulla scena punk degli anni Settanta, sentita con queste mie orecchie.

Tell Me Iggy è stato presentato al Biografilm Festival accompagnato dalla regista Sophie Blondy, che ha ben spiegato in poche parole che cosa vuol dire essere Iggy Pop: «Quando è venuto a girare L’étoile du jour, ogni giorno arrivavano sul set dei fotografi che volevano fare degli scatti con lui. Iggy era sempre molto disponibile, finché a un certo punto non chiedeva loro di andarsene perché era venuto per fare una cosa e aveva bisogno di concentrazione per farla bene. Non c’erano molti soldi e i mezzi a disposizione erano pochi, ma a lui non importava. Perché quando decide di volere fare una tal cosa, si concede al 100%. È stato meraviglioso».

Oggi è un meraviglioso sopravvissuto, i suoi amici, uno dietro l’altro, se ne sono andati. Andy, David, Lou e molti altri non ci sono più. E che siano vivi qualche Rolling Stone e un paio di Beatles importa poco. Iggy Pop è sopravvissuto a sé stesso, e non è cosa da poco. Nel documentario, più di un intervistato pensa che sia immortale. Lui ha un’idea precisa in merito: «Credo che ogni mezzo di comunicazione sia lo strumento per avere un pezzetto d’immortalità. Che in realtà non esiste, perché un giorno qualche barbaro deciderà di distruggere tutti gli archivi digitali. Ma fino a quel momento, questo è il modo per allungare un po’ il tuo destino». Il profeta del punk è diventato un vecchio e saggio filosofo. E francamente non c’è proprio niente di strano.

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