C’è un meme recente (o forse no) che ha per dida “Benson Boone, Minecraft Movie, Blue Origin, Anxiety by Doechii”, e sotto una foto di Laura Dern con una citazione dalla (sottovalutatissima) serie Enlightened: “Not in my world. Not in the world I’m living in”. Quando l’ho visto ho pensato: ma sono io! L’ho pensato come molti quarantenni come me che hanno condiviso quel meme: è nelle loro stories su Instagram che l’ho trovato.
Non so chi sia Benson Boone: so solo, per via di qualche reel beccato in giro, che fa le capriole per aria durante i concerti. Non ho visto Un film Minecraft, nonostante i miliardi di dollari che sta facendo ovunque nel mondo. Non mi frega nulla di Blue Origin: non sono mai andato a Dergano, e non credo che oltre la linea di Kármán arrivi la gialla. E ho capito solo di recente che Doechii è quella che canta sulla base di Somebody That I Used to Know.
Non è una posa, è che certe cose non mi arrivano più. C’è una soglia (precisamente i quaranta?) oltre la quale nel cervello non entra più nulla. Scrive Antonio Franchini che “le conoscenze percepite come essenziali in genere diminuiscono quanto più si procede nell’esistenza, e allora scivolano via, non si depositano più, come se la mente fosse sempre meno una superficie porosa e sempre più diventasse simile a una lastra insaponata. È inevitabile”. Io e un’amica mia, meno intellettualmente, diciamo: siamo diventati due scolapasta.
Non è una posa, e un po’ lo è. È una posa dire che non ti arrivano le cose che ascoltano i giovani (immagino siano cose che ascoltano i giovani, quelle che ho citato sopra), o fuggire dalla notizia o dal meme del momento – per poi ritrovarcisi, dentro uno di quei meme, e dire: ma sono io!
Non è una posa, è solo – forse – l’essere quarantenni oggi. Far parte della generazione che è cresciuta nella terra di mezzo, all’inizio del digitale (Somebody That I Used to Know la ascoltavano, se mai, giusto sull’iPod, ma previo scaricamento che rendeva tutto ancora in qualche modo fisico), con un piede di qua e uno di là: là era il mondo di prima, quando eravamo superfici porose e abbiamo trattenuto di più, qua il mondo iper connesso iper veloce iper rumoroso (sono diventato mia nonna, ogni volta che sui social parte una musichetta) che scivola sulle saponette che siamo diventati.
Prendiamo il cinema, che è il luogo che conosco meglio. Non ho dati alla mano, ma mi pare che i quarantenni di quest’epoca siano la generazione peggiore per il cinema (parlandone da vivo), e tutto sta sempre in quella terra di mezzo. Se la musica, tutto sommato, ha resistito (ripiegando, sintetizzando e semplificando, sui live: me lo diceva, l’altro giorno, quel figo di Steven Soderbergh), il cinema inteso come “esperienza della sala” (pardon) è il settore che ha sofferto di più, l’abbiamo già detto tutti ottomila volte.
Intendo dire qui una volta per tutte, certamente esagerando, che la colpa è dei quarantenni. La generazione che vuole rimanere più giovane di tutte (io mi vesto più da pischello ora di quand’ero al liceo), e che però è invecchiata – o si sente invecchiata – prima di tutte. Che si sente di aver lavorato più o meglio di quelle venute dopo solo perché ha iniziato con l’analogico (il solito piede di là, di cui si fa un gran vanto), e che ora vorrebbe la meritata pensione (non l’avremo mai, e continueremo comunque a vestirci da pirla). Quella che ha già fatto tutto (comunque poco) e non ha più voglia di fare niente.
Il cinema, dicevo. Le volte che recupero qualcosa in sala (film cioè non visti a festival, o alle anteprime stampa, o via link) vedo i soliti vecchi (si può dire vecchi?) che quando moriranno chissà come faranno le sale, e le relative esperienze. E vedo molti più giovani, intesi come ventenni, soprattutto nelle proiezioni pensate, diciamo così, anche per loro (in lingua originale, in orari più flessibili, con presentazioni o conversazioni ad hoc – parlo ovviamente di grandi città come Milano o Roma, lo so che tutto il resto è eterna provincia di nessun impero).
Non ho dati alla mano, ma qualcuno l’ho incrociato e mi pare fotografare questa cosa su cui la mia mente scivolosa elucubra. Nel 2024 in Italia si è registrato un +26% nella fascia 15-24 anni (esiste!), un aumento netto rispetto alle annate precedenti. Gli over 60 sono in calo (l’avevo detto che non sono sostituibili, e poi come si farà non si sa). I quarantenni? Non pervenuti.
I quarantenni stanno a casa, perché – in quanto generazione con un piede di là e uno di qua – sono stati quelli più colpiti dalle piattaforme. Col cinema ci sono cresciuti, capirai che esperienza è. La novità è stare a casa e seguire l’algoritmo (e lamentarsi che non ti suggerisce niente di buono). Ai quarantenni chi glielo fa fare di uscire, se c’è Netflix. I quarantenni, soprattutto, hanno i figli. Fatti a quarant’anni. E i figli fatti a quarant’anni sono il grande alibi sociale: non posso fare più niente. Ho i figli. Figuriamoci andare al cinema. Forse fanno i figli apposta: per non andare più al cinema. Chissà.
Ricordo (vado a caso: sono una lastra insaponata, sono uno scolapasta) una sala piena di ventenni per l’ultimo Nosferatu, che sembrava fatto apposta, nel bene e soprattutto nel male, per i Gen Z (pardon) che stanno su Letterboxd – io mi ci sono appena iscritto e sono subito scappato a gambe levate: “Not in my world. Not in the world I’m living in”.
Non ricordo, nelle ultime annate, un quarantenne che si sia precipitato in sala per vedere neanche il film di uno di quegli autori con cui era cresciuto e che sembravano imprescindibili. Manco i cinefili dei cinemini amici miei. È uscito l’ultimo Almodóvar? Chissenefrega. Non posso. Ho i figli. Ho lavorato troppo. E non riesco manco più a stare due ore seduto su una poltrona del cinema. Ma che due: tre, perché ormai i film son tutti lunghissimi. Lo recupererò poi. Sul divano. (Spoiler: non lo faranno mai.)
“Not in my world”, ma qual è allora il mondo dei quarantenni? I quarantenni si sono (ci siamo) impigriti, riempiti di giustificazioni che nessuno gli ha (ci ha) mai chiesto, hanno (abbiamo) smesso di scoprire tutto ciò che di nuovo arriva con la scusa che sanno (sappiamo) già troppo, che hanno (abbiamo) già fatto tutto. Oppure ditemelo voi che cosa sono, che cosa siamo. Io adesso devo mettermi sul divano a vedere l’ultima puntata di The Last of Us, senza aver capito perché il tal personaggio nella precedente è morto, mica posso farci stare tutto, in questo scolapasta insaponato. Ho quarant’anni.