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I grandi del musical: Kathryn Grayson, il soprano indomato

Da ‘Baciami Kate!’, rivisitazione della ‘Bisbetica domata’ di Shakespeare, a ‘Show Boat’, da molti considerato l’apice del genere, la cantante e attrice ha portato la sua voce operistica a vette pop mai toccate

Foto: Mondadori via Getty Images

Delle 7 sorelle, le major hollywoodiane, la Metro-Goldwyn-Mayer era la maggiore. Per qualità, ricchezza, e numeri. Ho riportato più volte la didascalia “più stelle che in cielo”. La Metro era un paese, un micromondo, un’organizzazione perfetta. La frase era “più stelle che in cielo”. Là si produceva tutto, c’era opulenza e anche cultura. Un progetto veniva realizzato al meglio, senza badare a spese, anzi: eccedendo. Se serviva uno specialista di pittura impressionista, come in Cantando sotto la pioggia, la produzione assumeva il numero uno e lo pagava “il doppio o il triplo”. Valeva per i pittori: le grandi produzioni facevano bozzetti precisi prima di cominciare a girare. E poi i musicisti: nelle rubriche ho raccontato della vera e propria migrazione dei talenti europei verso la California. Come dice Sinatra in Questo è spettacolo, «alla Metro sapevano fare tutto, ma i musical di quella casa erano insuperabili, autentiche opere d’arte americana». Gli eroi si chiamavano Gene Kelly, Clark Gable, Greta Garbo, i fratelli Marx, Elizabeth Taylor, Elvis Presley negli anni Sessanta. E cento altri.

La Metro, con Quo vadis, inventò il genere “Roma antica”, che ripropose alla fine degli anni Cinquanta, col film di tutti i record, Ben-Hur. Insuperati anche certi classici in costume come Ivanhoe, Scaramouche, I cavalieri della tavola rotonda. Alla Metro era imponente e prevalente la colonia inglese, vezzeggiata e rispettata. I nomi erano Greer Garson, Deborah Kerr, Joan Collins, e poi Laurence Olivier, Cary Grant, Leslie Howard, Stewart Granger. Il canto era, naturalmente, una delle materie più importanti. Stiamo alle donne: ogni tipo di voce doveva essere presente. Per le canzoni leggere c’erano Doris Day e Judy Garland, per il blues Lena Horne. Non poteva mancare il soprano. La prima “divina” era stata Jeanette Macdonald, classe 1903, al suo declino si apriva quel ruolo da ricoprire.

Questa premessa generale per arrivare alla cantante che quel ruolo ricoprì. Era Kathryn Grayson, classe 1922. Nata in una cittadina della Carolina del Nord, adolescente si trasferì a St. Louis nel Missouri, dove prese lezioni di canto. L’immancabile incontro che cambia la carriera avvenne quando un talent scout sentì la ragazza cantare a una festa di matrimonio. Le ottenne un provino alla Metro e tutto cominciò. Era il 1939. Le fu certo utile una breve relazione con Howard Hughes, il grande seduttore, il “collezionista di star”. Per un anno e mezzo la major costruì il suo personaggio valorizzando la sua voce di soprano. Nel 1940 era pronta per esordire. Dopo alcuni ruoli secondari, nel 1942 ebbe la prima parte da protagonista in 7 ragazze innamorate. Il passo successivo, decisamente propizio, fu quando, nel 1945, Gene Kelly e Frank Sinatra nientemeno la vollero come partner in Due marinai e una ragazza (Anchors Aweigh), diretto da George Sidney. Nel film attira l’attenzione del marinaio Gene Kelly cantando Jealousy.

Sono molte le performance della Grayson accolte dall’antologia dei musical. Una sta nel podio assoluto. Il film è Show Boat (1951), considerato da molti il titolo apicale del genere. Scritto da Jerome Kern e tratto dal bestseller di Edna Ferber. Una delle canzoni è la leggendaria Ol’ Man River. Nel film Kathryn canta, fra le altre, You Are Love e Make Believe col partner Howard Keel. Nel 1953, sempre diretto da George Sidney, la Grayson è protagonista di Baciami Kate! (Kiss Me Kate), riduzione della Bisbetica domata di Shakespeare. Le canzoni sono di Cole Porter. La bisbetica è Kathryn. Performance straordinaria, la sua, di cantante e di attrice. A campione due numeri: Wunderbar e So in Love.

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