Rolling Stone Italia

I grandi del musical: gli allegri anni ’30 di Jeanette MacDonald

Oggi pressoché sconosciuta, è stata un soprano capace di qualsiasi cosa, dall’opera al musical più popolare. E nella ‘Vedova allegra’ di Ernst Lubitsch, accanto a Maurice Chevalier, impone il suo mito

Foto: FilmPublicityArchive/United Archives via Getty Images

Se può valere un’ indicazione, rispetto alla mia personale “gerarchia del cuore”, fra tutte le dive-divine che hanno portato l’incanto del musical, molte delle quali ho raccontato, da quell’antologia dorata estraggo Jeanette MacDonald (1903-1965). Per talento, appeal e bellezza l’artista occupa la parte più alta del podio. Jeanette possedeva una voce da soprano ma ha saputo adattarla a tutti i registri. E in tutti è stata perfetta: quando cantava Gershwin, Porter o Kern, oppure Verdi, Gounod, soprattutto Puccini. Era l’unica che poteva permetterselo.

Non mancano i segnali di precocità e predestinazione. Nativa di Filadelfia, bambina si trasferisce a New York e viene notata adolescente da un impresario che le apre la porta di Broadway. Interpreta spettacoli firmati da George Gershwin e Allen Kearns, e ben presto si trova nella condizione di poter scegliere. Nel frattempo ha attirato l’attenzione di un gigante del cinema, Ernst Lubitsch, di cultura tedesca, che le fa firmare un contratto con la Paramount. E dove incrocia un partner eccezionale, un altro europeo, un francese decisamente popolare: Maurice Chevalier, col quale interpreta tre film.

Ma ecco che irrompe una major ancora più potente delle Paramount, la Metro-Goldwyn-Mayer, numero uno assoluto di Hollywood, che presentava “più stelle che in cielo”. È Irving Thalberg, il genio della produzione, a intuire le possibilità della MacDonald ancora inespresse. La RKO domina il botteghino con la coppia Astaire&Rogers, Thalberg intende contrastare quel modulo. Assume Nelson Eddy, un baritono di ottimo aspetto, perfetto per integrarsi con le qualità di Jeanette. I due interpreteranno otto film andando davvero a contrastare, per classe e “botteghino”, la magica coppia della RKO. Ma MacDonald, nel decennio “Trenta”, al di là della ditta con Nelson Eddy dominò la scena dello spettacolo e dell’operetta.

Per cominciare La vedova allegra, megaproduzione della Metro che proponeva l’opera di Franz Lehár in una chiave spettacolare da record. Nella parte di Hanna, Jeanette è padrona assoluta del film. Il regista era ancora Lubitsch, che l’aveva introdotta al cinema. Il protagonista seduttore Danilo era ancora uno Chevalier 46enne, forse troppo vecchio per quel ruolo. Le musiche di Lehár vengono valorizzate dalla Metro secondo i criteri di qualità assoluta di quella major. E Jeanette canta e balla quello che, insieme al Danubio blu di Strauss, è il più famoso valzer del mondo. È quello davvero un momento magico dello spettacolo del novecento. Ma la MacDonald lascia un altro segno profondo in quel film quando, da un balcone, nella notte illuminata dalla luna canta Vilja, una delle più dolci e rapinose melodie mai composte. Una corrente prevalente considera quell’edizione della Vedova apicale in tutto il panorama del musical.

Altre performance da ricordare nel percorso della grande artista: San Francisco, diretto da W.S. Van Dyke nel 1936, con Clark Gable e Spencer Tracy. Jeanette portò la canzone omonima a un successo planetario. Infine Primavera, film del 1937 firmato da Robert Z. Leonard. Accanto a MacDonald quello che viene ritenuto il più grande attore americano di sempre, John Barrymore, e poi il collaudato Nelson Eddy. Le musiche erano di Sigmund Romberg, ungherese americano di adozione, compositore classico che sapeva adattarsi al registro del musical. Il tema dominante è Sweethearts, altra canzone da storia del musical.

Iscriviti