I bambini non ci guardano più. E fanno bene | Rolling Stone Italia
Gli anni in tasca

I bambini non ci guardano più. E fanno bene

È al cinema ‘Il patto del silenzio’, film tra Truffaut e il neorealismo che racconta il bullismo nelle scuole. Ma anche ‘The Quiet Girl’, storia (candidata all’Oscar) di una ragazzina che scopre il mondo dei grandi. Che sono davvero “i peggiori di tutti”

I bambini non ci guardano più. E fanno bene

I giovani protagonisti di ‘Il patto del silenzio – Playground’ di Laura Wandel

Foto: Wanted Cinema

Il cinema sta tornando ad avere un punto di vista più basso. Nel vero senso della parola. L’infanzia è di nuovo protagonista e il racconto di quello che dovrebbe essere, secondo molti, un momento della vita gioioso e spensierato, viene finalmente raccontato con la dose di (neo)realismo di cui francamente si sentiva bisogno. L’occasione per questa riflessione la offre l’arrivo nelle sale italiane, meglio tardi che mai, di Playground, ribattezzato Il patto del silenzio per il pubblico nostrano (ora nelle sale). Un titolo che sa di omertà, ma che in realtà ben sintetizza il dramma di una bambina che entra in società, ovvero a scuola, e del suo fratellino maggiore, bullizzato dai compagni ma impedito nel denunciare questa condizione a causa di quel codice d’onore che, per ragioni ignote, l’essere più o meno umano si porta dietro dalla notte dei tempi.

Diretto da Laura Wandel, cineasta belga che conferma la vivacità di una cinematografia europea che non vive solo dei fratelli Dardenne, Un monde (questo il titolo originale che in due parole spiega tutto) è un film prezioso e che per un genitore ha più o meno l’effetto di un horror, sebbene non fosse questa l’intenzione iniziale di Wandel, come ci ha detto lei stessa: «Ho voluto esplorare il punto di vista di una bambina che entra a scuola e il primo momento in cui si confronta con tutte le questioni sociali: l’integrazione, la ricerca del suo posto nella comunità. Queste sfide sono alla base dell’umanità, tutti hanno bisogno di essere integrati, riconosciuti e molte problematiche successive sono legate a questo. La scuola è il primo luogo di apprendimento sociale, al di fuori della famiglia. Oltre a imparare a leggere e a scrivere, è soprattutto nel rapporto con gli altri che i bambini plasmano la personalità».

Asciutto e compatto (75 minuti: in un panorama in cui si fa a gara a chi dura di più, già questo è un piccolo miracolo), Il patto del silenzio è figlio dei Dardenne, ma anche del Truffaut dei Quattrocento colpi e Gli anni in tasca e del neorealismo di De Sica e Rossellini. Ma non solo, come ci ha tenuto a sottolinearci la regista: «Mi sono ispirata a Truffaut, certo, ma anche a Jacques Doillon, Céline Sciamma, Abbas Kiarostami». Nobili genitori artistici a cui guardare, ma la figura dei bambini nel cinema di oggi è molto più sfaccettata e va a braccetto con i generi. Lo stesso film di Laura Wandel ha derive che sfiorano l’horror. «Non sono state scelte consapevoli inizialmente, è stato l’evolversi del racconto che mi ha portato a esplorare generi diversi. Cerco sempre di ascoltare quello che serve alla storia per poterla raccontarla al meglio e cerco di non rinchiudermi». L’effetto collaterale è una tensione crescente che sfocia in un finale drammatico e potentissimo che spiega assai bene la solitudine di una generazione, con padri e madri che nella maggior parte dei casi ancora devono completare il loro processo di crescita. I bambini non ci guardano più perché devono badare a loro stessi, per sopravvivere in un mondo crudele.

È quello che fanno, per esempio, i piccoli protagonisti di The Innocents, uno dei migliori film europei, e non solo, degli ultimi anni. Diretto da Eskil Vogt, partner in crime di Joachim Trier, con lui candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura della Persona peggiore del mondo (a proposito di adulti rimasti bambini), The Innocents è una sintesi tra Akira, X-Men e Giochi proibiti (per chi non lo conoscesse, film di René Clément del 1952, caposaldo del cinema sull’infanzia), sempre in bilico tra cinecomic e horror: quattro bambini scoprono di avere poteri sovrannaturali e, come è invece naturale che avvenga, uno di loro li usa per alimentare il suo lato oscuro. Gli altri lo devono fermare per salvare il mondo, almeno quello piccolo in cui vivono loro. Opera di grande impatto, in cui gli adulti sono ignare pedine e anche un po’ d’intralcio, The Innocents è stato portato al cinema in Italia solo dal Noir in Festival nell’edizione del 2021, per poi uscire direttamente in home video con Plaion. Recuperatelo.

Così come cercate di non farvi sfuggire, quando finalmente arriverà nelle sale italiane (distribuito da Arthouse e I Wonder Pictures), I peggiori di tutti (Les pires), vincitore della sezione Un certain regard a Cannes 2022. Altro film profondamente truffautiano, diretto da due registe esordienti francesi (Lise Akoka e Romane Gueret), entrambe ex responsabili di casting specializzate proprio nel trovare bambini in grado di recitare e reggere l’impatto con la macchina da presa. I peggiori di tutti è metacinema puro, storia di una comunità di un quartiere popolare di Boulogne-sur-Mer, nel nord della Francia, che viene messa sottosopra dall’arrivo di una troupe cinematografica, guidata da un regista alla ricerca della verità attraverso gli occhi dei bambini che scrittura come suoi protagonisti. I peggiori, per l’appunto, degli outsider che si riveleranno delle bellissime scoperte, mentre gli adulti svelano i loro lati peggiori. Piccolo miracolo, I peggiori di tutti è un incrocio (inconsapevole e fortunato) tra un film di Ken Loach ed Effetto notte (con le debite proporzioni), ma gli sguardi e la freschezza dei due giovani protagonisti restano nel cuore (e Mallory Wanecque è destinata a essere la nuova Emmanuelle Béart).

Anche in questo caso le famiglie sono pressoché assenti, ma sempre secondo Laura Wandel la genitorialità non è l’unico problema che devono affrontare i futuri adulti. «Una delle basi della società contemporanea è il rapporto con il tempo. Tutto è fatto in funzione del guadagno, velocità è sinonimo di redditività. Così come è molto più veloce giudicare e fare ipotesi che prendere il tempo per ascoltare e cercare di capire chi hai di fronte». Il tempo che, per esempio, trovano i genitori adottivi di un’estate della piccola Cait, la protagonista di The Quiet Girl, film irlandese girato in gaelico che è arrivato alla candidatura all’Oscar come miglior pellicola non in lingua inglese. Cait viene spedita da una lontana cugina della madre perché quest’ultima, messa incinta per l’ennesima volta da un marito assente, violento, fedifrago e chissà quant’altro, non riesce a stare appresso alla più piccola della tribù. Ed è così che la bambina scopre che l’amore di un padre e di una madre può esistere. Non a caso, la coppia che la accoglie è molto più anziana dei suoi veri genitori. le giornate sono scandite da rituali quotidiani che necessitano, appunto, il giusto tempo. Un lusso che nel frenetico mondo di oggi pochi si possono permettere. Figurarsi regalarlo a dei bambini. Che però prima o poi cresceranno. E se lo prenderanno indietro con gli interessi.