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«Cerchi sempre di camminare a braccetto con la versione più giovane di te stessa». E Greta Gerwig a quella bambina cresciuta a Sacramento che leggeva Piccole donne e giocava con le Barbie (facendosi però tutte le domande del caso) ha praticamente dedicato la sua carriera cinematografica da regista finora. All’inizio, però, la nostra voleva fare la sceneggiatrice e iniziò a recitare perché non fu ammessa a un Master of Fine Arts. Così, quasi un po’ per caso, è diventata la it-girl del mumblecore e, grazie anche al sodalizio artistico e personale con Noah Baumbach, il volto-simbolo dell’indie. Per il suo 40esimo compleanno (auguri!) abbiamo deciso di raccontarvela attraverso tre dei suoi film da attrice e, ovviamente, le sue regie. Questa Barbie spacca anche dietro la macchina da presa. Citofonare box office per credere.
Foto: Ellen Fedors per Rolling Stone US
Sul set di Lo stravagante mondo di Greenberg, Gerwig viene diretta da Baumbach, che diventerà poi il suo compagno di vita. Con lui scrive diversi film, a partire da questa bellissima dramedy à la Girls (c’è pure Adam Driver), girata in uno splendido bianco e nero tra Manhattan e la Nouvelle Vague. Ed è impossibile non innamorarsi di Greta, che interpreta Frances con una luminosità intelligente e insieme un po’ sgualcita. La sua protagonista è una ballerina che cerca di farcela da sola a New York. E, come impareremo presto, il tocco della coppia (artistica e non solo) è sempre ingannevolmente leggero. Seguirà un’altra big-city screwball comedy, Mistress America, ma intanto è nata una stella indie.
Foto: IFC Films
Al centro del film più personale di Mike Mills, su una donna bohémienne (una perfetta Annette Bening) che cerca di crescere un adolescente nell'era del femminismo e del punk rock, Greta è Abbie, una fotografa ventenne appassionata di punk – appunto – e tinture rosse per capelli che ha affittato una stanza dalla protagonista e contribuirà in qualche modo alla formazione del figlio. Un ruolo da supporting che abbaglia, in un film che è un inno alla forza delle donne, futuro leitmotiv anche della Gerwig auteur.
Il debutto di Greta alla regia (nominato a ben 5 Oscar: Gerwig è stata la quinta donna della storia a essere candidata nella categoria) è un racconto di formazione semi-autobiografico che sta tra la dichiarazione d’amore alla città in cui è cresciuta (Sacramento in California) e il ritratto dolceamaro del rapporto madre-figlia, impersonate dalle splendide Saoirse Ronan e Laurie Metcalf. Una relazione fatta di scontri duri, così duri che a volte sono difficili da guardare, ma anche di momenti divertenti e tenerissimi. In molti urlarono al capolavoro, di certo il film è un coming-of-age meravigliosamente strambo che segna la nascita di un’autrice dallo stile fresco e vivace, e dallo humor pungente e pieno di grazia.
Foto: Merie Wallace/A24
Gerwig ritrova Saoirse Ronan e la trasforma nella Jo March delle nuove generazioni, facendone il simbolo del suo femminismo pragmatico e della sua irresistibile vivacità e spavalderia. È impossibile capire quale sia il confine tra la regista stessa, l’autrice del romanzo Louisa May Alcott, Jo, la sempre più (bella e) brava Ronan e persino Amy March (Florence Pugh). La ciliegina sulla torta poi è Timothée Chalamet nei panni (impossibili) di Laurie. C’era bisogno di un altro adattamento di Piccole donne (è il settimo, solo al cinema)? Sì, se è tutto così perfetto.
Foto: Wilson Webb/Columbia
Nell’adattamento della satira di Don DeLillo scritta e diretta dal “solito” Baumbach (tra i pochissimi capaci di tenere insieme la gravitas e la leggerezza, la surrealtà e la realtà più reale), Greta è Babette, la moglie frizzantina (e con problemi, ehm, di memoria) del professore di Nazismo Avanzato interpretato da Adam Driver: insieme sono due sposi meschini ma teneri, genitori (di figli un po’ dell’uno, un po’ dell’altra, l’ultimo insieme) che pensano più a sé stessi che alla prole, insoddisfatti, vanesi, disperati. Lei ricciolissima “madre” di una “famiglia che è la culla della disinformazione” (cit.). Ancora una volta cult.
Foto: Wilson Webb/Netflix
Era già diventato un’ossessione collettiva ben prima di approdare in sala (è il marketing, bellezza!), ma si è confermato – senza se e senza ma – il film dell’anno, con incassi da capogiro. Il nome di Gerwig (featuring Baumbach, che ha scritto insieme a lei la sceneggiatura) prometteva che non avremmo rischiato di vedere un spot pubblicitario di due ore sulla bambola Mattel, ma quello che ci regala la regista è probabilmente il blockbuster più sovversivo del XXI secolo, tra occhiolini al pubblico, numeri musicali old school e un “vaffanculo” al patriarcato. Sempre tutto graziosamente fasciato in un outfit rosa shocking. Greta Gerwig può essere tutto quello che vuole. Pronto, Academy?
Foto: Jaap Buitendijk/Warner Bros.
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