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Giancarlo Giannini: «A Hollywood mi danno la stella, a Venezia non mi hanno dato neanche un gatto nero»

Il grande attore italiano ha finalmente il suo giusto riconoscimento sulla Walk of Fame: «Ma me l’ero già fatta da solo nella mia villa». L’abbiamo incontrato a Los Angeles: i ricordi, Lina Wertmüller, il suo unico rimpianto. E quella sigaretta sempre accesa…

Foto: Enzo Mazzeo

Hollywood & Vine, incrocio storico di Hollywood, viale del Chinese Theatre, delle famose impronte nel cemento, nonché sede, all’inizio del ’900, dei primi Studios cinematografici. Lo stesso boulevard immortalato e reso famoso in film come La La Land, Almost Famous, L.A. Confidential, A Star Is Born e, forse il più famoso di tutti, quel Viale del tramonto di Billy Wilder che, grazie alle magistrali interpretazioni di William Holden e Gloria Swanson, ha fatto vedere per primo e a tutto il mondo peccati, aspirazioni, desideri, dolori e sogni infranti del mondo del cinema. Ok, basta col ripasso storico.

Solito brusio di tarda mattinata, scandito dal passo svelto dei passanti e dai rumori metallici di skateboard e scooter quando tutto tace. Il tempo sembra fermarsi all’arrivo di una macchina consolare nera, vetri scuri, subito circondata da decine di PR in livrea nera, dalla quale vediamo scendere un uomo in smoking nero, con tanto di papillon nero, occhiali neri, scarpe di vernice nere… che, improvvisamente, viene inghiottito dalla folla di fan (tanti dei quali italiani) che l’aspettavano in religiosa trepidazione.

Ladies and gents, ecco finalmente Giancarlo Giannini, ciuffo bianco, ghigno di soddisfazione, volto serio delle grandi occasioni, uno dei più bravi attori del cinema italiano e mondiale in procinto di ricevere la propria stella – la duemilasettecentocinquantaduesima stella della Walk of Fame, assegnatagli dalla Camera di Commercio di Hollywood – accompagnato da un entourage nobile composto dal sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali Lucia Borgonzoni, dal nuovo console italiano di LA Raffaella Valentini, dal direttore dell’ICU Emanuele Amendola, dalla produttrice della saga di 007 Barbara Broccoli e, in chiusura, da Tiziana Rocca, direttore Artistico del Filming in Italy, festival da lei creato per promuovere opere e artisti italiani all’estero, realizzato con l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles. Sceso dalla macchina, Giannini lascia sfilare il gruppo e… che fa? La prima cosa che il nostro orgoglio nazionale fa è accendersi una sigaretta, appoggiandosi “italianamente” alla ringhiera a chiacchierare tranquillamente con i fan italiani, alla faccia di tempo e modalità. Grande Giancarlo, noblesse oblige.

Foto: Enzo Mazzeo

«I do like this star very much. Bello avere ’sta stella con il mio nome in mezzo a tanti amici, tanti con cui ho lavorato. Bello leggere i loro nomi sul boulevard, con la speranza di raggiungerli il più tardi possibile (ride). Dopo due anni e mezzo di pandemia, finalmente il sogno si è realizzato. Voglio dedicare questa stella a una regista leggendaria. Il suo nome è Lina Wertmüller, la vera responsabile di questa onorificenza, senza di lei non sarei esistito. Sono sicuro che mi sta aspettando, e una volta raggiuntala faremo altri ottimi film».

Queste le prime parole di Giancarlo Giannini, corte, precise, mirate e riservate sopratutto al mestiere che l’ha fatto “vivere” e che l’ha reso “completo” e famoso. Ha lavorato con i registi che hanno fatto la storia del cinema italiano e mondiale, Scola, Risi, Zurlini, Corbucci, Visconti, Monicelli, Petri, Virzì, Nanni Loy, Francis Ford Coppola, Ridley e Tony Scott, Arau, Richard Brooks, Citti, Cristina Comencini, Bolognini. Ma è stato proprio Scola con Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) che gli ha fatto conoscere per primo il successo a livello nazionale: «È con lui che ho cominciato a tratteggiare dettagli e idiosincrasie di uno dei personaggi più famosi della mia carriera, quello della figura mercuriale, grottesca e ironica del sottoproletario». Maschera che ha interpretato tante volte: Mimì, Pasqualino Frafuso, Nick Sanmichele, il Tunin di Film d’amore e d’anarchia, il marinaio Gennarino Scarunchio di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, quello della “bottana industriale Raffaella Pancetti, femmina, zoccola, porca, brutta, troia e maiala, signora di ’sta minchia, fetusa, gran mignotta, ora sono cazzi amari, bagascia prostituta e cocò”.

Carriera che gli ha fatto incontrare Lina Wertmüller, forse la regista più amata di tutte, musa, amica complice e confidente. «È grazie a lei che sono qui. Lina è stata poco valutata in Italia, molto più amata all’estero. Venivamo qui con le pizze dei film sottobraccio per farle vedere a un produttore locale. Era un genio, purtroppo poco apprezzata in Italia. Se non avessi avuto lei… È stato un periodo meraviglioso, le sceneggiature nascevano insieme, stando insieme dalla mattina alla sera, un modo diverso di lavorare da quello di adesso. Le storie spesso le trovavo io, tutte storie vere, tipo Film d’amore e d’anarchia, forse il mio preferito, la storia di un sarto, Michele Schirlu, al quale cambiammo poi il nome, ma una storia vera, storie che trovano sui giornali, in libreria. Come quella di Pasqualino, che nasce da un napoletano che lavorava, vecchissimo, bruttissimo… perché a Napoli se sei brutto e hai tante donne ti chiamano “sette bellezze”. Faceva l’acquaiolo a Cinecittà, per cinque lire andava da Fellini, da Risi, da tutti, e io lo feci sedere e lo registrai per circa 25 ore. Poi portai il tutto a Lina… che film che fece!».

Foto: Enzo Mazzeo

«Faccio questo mestiere per caso», ricorda Giannini, «sono stato fortunato perché ho datto un anno di Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, ed è lì che Beppe Menegatti mi ha fatto fare il Sogno di una notte di mezza estate in teatro, ballavo con Carla Fracci, Gian Maria Volonté… Per me era un avventura, ero simpatico a tutti, ero molto ginnasta, facevo salti e capriole. Mi piacque subito il calore e l’applauso del pubblico, al punto che fu lì che decisi di diventare attore. Capii che mi pagavano per non far nessun lavoro, anche se avevo un back-up plan come perito elettronico in Brasile, a studiare i primi satelliti artificiali, o in IBM, a lavorare sui primi computer. Possiamo dire che m’è andata bene, perché amo questo lavoro, non si smette mai di imparare, si impara sempre dagli altri, basta osservare, studiare e buttarsi. E sperare di trovare dei maestri: per me Orazio Costa, e anche attori bravissimi da studiare. Sono stato fortunato ad averne incontrati tantissimi, amici come Mastroianni, Gassman, Turi Ferro: lui mi face imparare alcuni dialetti come il catanese. E poi Eduardo De Filippo, che mi chiese di fare una sua commedia che stupidamente rifiutai… ma in cambio di consigli per Pasqualino! Ah, la vita…».

Solo due attori italiani, oggi, hanno la stella sulla Walk of Fame: lui e Rodolfo Valentino. «Siamo in due, io e Valentino. E io me la prendo con orgoglio». Ogni anno vengono scelti circa 30 artisti nel mondo a cui dare la mattonella sul marciapiede più famoso di Hollywood. «Erano tre anni che aspettavo questa notizia, al punto che me l’ero già fatta da solo nella mia villa. L’ho scolpita sul vialetto d’accesso a casa, in campagna. Vada come vada, mi sono detto, questa non me la leva nessuno… Me la sono fatta con queste mani, di granito e con una composizione d’oro, senza nome, solo la stella. Era un premio al quale tenevo tanto».

È il coronamento di una carriera piena di riconoscimenti: «A Hollywood mi danno la stella, a Venezia non mi hanno dato neanche un gatto nero», dice ridendo. «Sono stato candidato all’Oscar, ho vinto a Cannes, tanti David di Donatello e Nastri d’argento, ma mai un Leone. In genere si dice “Danno premi a cani e porci”, ma evidentemente non è così. Ultimamente poi premiamo i nomi stranieri. Abbiamo un sacco di italiani bravissimi, vedi Eduardo de Filippo, noi che abbiamo inventato la commedia dell’arte, l’opera… Mi è scappata questa frase durante un’intervista e tutti mi hanno attaccato come bestie. Ultimamente poi premiamo i nomi stranieri, noi che abbiamo un sacco di italiani bravissimi, noi che abbiamo inventato l’opera, la commedia con Eduardo de Filippo… e poi, scusatemi, De Niro, Pacino, Scorsese… Quando Spielberg fece E.T. andai con lui alla proiezione e, una volta finito, gli feci i complimenti dicendogli che bellissima idea aveva avuto. E lui mi disse, scioccandomi: “Ma che idea e idea, l’ho copiata da voi, da Miracolo a Milano, ho sostituito le scope di De Sica con le biciclette dei bambini”».

Un’altra persona chiave nella carriera e nella vita di Giannini è stata Dino De Laurentiis. «Dino mi ha amato moltissimo, sempre, un amore contraccambiato. Un mito del cinema, innovatore, produttore di fama mondiale. Pensa che proprio lui mi ha costretto a fare Hannibal di Ridley Scott, che era venuto in Italia a cercare un attore più giovane di me per quel ruolo. Dino mi chiamò nel mezzo della notte dicendomi di correre da Ridley, togliere il bianco dai miei capelli, parlare inglese e fare un provino. E per rispetto a Dino ci andai e feci un provino pazzo, facendogli vedere come fumavo, come bevevo un calice di vino, come accendevo una sigaretta. Gli mostrai il mio profilo destro e sinistro, dissi due parole un inglese e me ne andai pensando di aver fatto una stronzata, visto che non volevo fare il film. E invece mi ha scelto, e Dino fu felicissimo». Differenze fra il lavoro in Italia o quello negli USA. Tra i registi nostri e i “loro”? «No, macché… per un attore non c’è alcuna differenza, che tu lavori con un regista appena uscito dal Centro Sperimentale o famosissimo come Coppola. Un attore è sempre colui che sta davanti alla macchina da presa… silenzio, motore, azione! Un attore è sempre solo, non cambia mai nulla. Sei uno che guarda in camera, sei tu che comunichi con le platee di tutto il mondo».

Giannini ha lavorato con tutte le attrici più belle, brave e riconosciute del cinema. Sophia Loren, Anna Magnani, Monica Vitti, la prima a tener testa agli uomini al cinema nel campo della comicità; e poi la “bottana industriale” Mariangela Melato, Claudia Cardinale, Laura Antonelli, Rossana Podestà, Agostina Belli, Marisa Merlini, Dalila Di Lazzaro, persino Julianne Moore, Eva Green, Hanna Schygulla, Goldie Hawn e Susan Strasberg, ma mai con Gina Lollobrigida. «Non aver lavorato con lei è uno dei miei rimpianti maggiori. Tanti anni fa mi propose di fare insieme una commedia a Broadway, ma poi non se ne fece nulla». A questo punto dice basta, si accende un’altra sigaretta e… abbiamo capito. Grazie, Giancarlo.

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