Forever stuck in the middle with you, Michael Madsen | Rolling Stone Italia
Goodbye Mr. Blonde

Forever stuck in the middle with you, Michael Madsen

Nessuno l'ha capito profondamente come Quentin: era il duro con la flemma e la voce roca del cinema contemporaneo, il volto pulp che ha ballato nel sangue e sussurrato minacce con stile. Un ricordo tarantiniano

Forever stuck in the middle with you, Michael Madsen

Michael Madsen (Mr Blonde) in 'Le iene'

Foto: Miramax

Lo stralunato balletto sulle note di Stuck in the Middle with You degli Stealers Wheel, che più che una coreografia era un avvertimento, e il discusso taglio dell’orecchio al poliziotto accompagnato da un sadicissimo “È stato bello per te quanto lo è stato per me?” sono il suo pass per l’immortalità. Mr. Blonde è il gangster più spaventoso e al tempo stesso più cool degli anni ’90: un uomo che non alza mai la voce, perché sa che l’intimidazione vera sta nel non doverlo fare.

Ma c’è un altro momento, sempre nelle Iene, che rivela quanto nessuno abbia compreso Michael Madsen meglio di Quentin Tarantino. È la scena in cui incontriamo Mr. Blonde, e il regista lo presenta come si fa con una rockstar: “ka-pow” a parte, il duello verbale, pistole puntate e aria che si carica di testosterone, vs. il Mr. White di Harvey Keitel.

Stuck In The Middle With You ft. Mr. Blonde | Reservoir Dogs

“Scommetto che sei un grande fan di Lee Marvin, vero?”, dice Madsen. Ecco, in quella battuta, un omaggio cinico all’archetipo del duro del grande schermo americano, c’è tutta la poetica tarantiniana e il culto cinefilo di Madsen: attore americano da sangue e whisky, fanatico di maschi alfa da cinema anni ’60, eppure capace di portarne in scena l’eco più malinconica. Tarantino lo aveva capito fin dal primo istante. E quando Madsen si presentò al provino convinto di voler interpretare Mr. Pink, il regista fu lapidario: “Tutto qui? Ok, bene. Non sei Mr. Pink. Sei Mr. Blonde, e se non sei Mr. Blonde, allora non sei nel film”. Era nata un’icona.

Madsen era (appunto) il Lee Marvin del cinema contemporaneo (cit. Rolling US), un duro con la voce roca, il portamento sbilenco, l’anima da western metropolitano, lo sguardo perennemente socchiuso, come uno che ha già visto tutto e non si stupisce più di niente, nemmeno di non essere mai protagonista, perché quel treno l’ha perso (ci arriviamo). Una faccia da noir classico e da pulp moderno, una mascella squadrata come la California interiore su cui Tarantino ha costruito mezzo immaginario. Uno che sembrava uscito da un film di Sam Peckinpah e catapultato in un mondo troppo frettoloso per capire quanto fosse bravo davvero.

Mr Blonde vs Mr White - Reservoir Dogs (1992)

Madsen ha lavorato con tanti, da Ridley Scott a Robert Rodriguez, da Oliver Stone a Mike Newell (sì, in Donnie Brasco, dove era il boss riflessivo Sonny Black al fianco di Al Pacino e Johnny Depp), ma – di nuovo – è Quentin che gli ha cucito addosso le parti migliori. Dopo Le iene, sarebbe dovuto essere Vincent Vega in Pulp Fiction, ma rifiutò per girare Wyatt Earp. Il ruolo andò a John Travolta e Madsen si accontentò di restare nella galleria dei “what if” hollywoodiani.

Tarantino non gliel’ha mai fatto pesare, anzi: lo ha voluto in Kill Bill, in The Hateful Eight, in C’era una volta a… Hollywood. E ogni volta l’ha reinventato: killer, cowboy, scagnozzo malinconico. In Kill Bill Vol. 2 è Budd, il fratello alcolizzato e disilluso di Bill, che lavora in uno strip club da quattro soldi. La scena in cui seppellisce Uma Thurman viva è di una crudeltà glaciale, eppure Madsen riesce a renderla quasi poetica, con quella voce impastata e il passo stanco di chi ha camminato troppo per niente. Non è solo un carnefice, è uno che ha perso il treno da tempo. “Quella donna merita la sua vendetta”, afferma Budd nella conversazione con Bill (David Carradine) che è puro cinema slow-burn, denso, sommesso. E in quella frase ci sono la colpa, il rimorso e la fine, una delle più memorabili della saga.

Kill Bill: Vol. 2 (2004) - That Woman Deserves Her Revenge Scene (1/12) | Movieclips

Per continuare a ripercorrere il sodalizio con Quentin: in The Hateful Eight Michael è Joe Gage, misterioso e beffardo, sempre con l’aria di chi sta per tirare fuori una pistola o una poesia (che per lui erano un po’ la stessa cosa). “A bastard’s work is never done”, dice a un certo punto citando la tagline di Bastardi senza gloria; mentre in C‘era una volta a… Hollywood è l’attore che interpreta lo sceriffo Hackett in Bounty Law, la serie tv western Sixties di cui è protagonista il Rick Dalton di DiCaprio. Pochissime battute, ma che restano, così come quell’aria da eterno duro e la Cadillac, che è la stessa di Mr. Blonde (!).

Fuori dalle opere di Tarantino, Madsen ha girato tanto, a volte troppo. Una filmografia sterminata che include cult come appunto Donnie Brasco, Sin City, The Doors, Thelma & Louise, Species, Free Willy (era il padre, tutto vero) e centinaia di titoli minori, spesso dimenticabili, a volte girati solo per tirare avanti: “Ho fatto cose buone, e cose orribili. Ma sempre con onestà”, raccontava.

E poi c’erano le poesie. Madsen scriveva versi ruvidi, viscerali, pieni di motel, di donne perse, di figli lontani, di whisky versato e sogni infranti. Titoli come Burning in Paradise o The Complete Poetic Works of Michael Madsen non erano marketing, erano confessioni. “Scrivere mi salva”, aveva detto. “Quando non riesco a piangere, scrivo”.

Io adesso me lo immagino così: seduto da qualche parte in un diner fuori dal tempo con il cappello da cowboy, la voce graffiata da mille sigarette e una poesia appena composta nel taschino, a sorseggiare un caffè nero mentre la radio suona gli Stealers Wheel. Forever Stuck in the Middle with You, Michael.