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‘Eyes Wide Shut’, a 20 anni dal cinepattone estivo di Stanley Kubrick

Perché l'ultima fatica del grande regista, che uscì nelle sale il 15 luglio del 1999, è in realtà uno dei migliori film di Natale di tutti i tempi. Una favola contemporanea, dove Nicole Kidman e Tom Cruise vanno all'inseguimento del "fantasma delle orge presenti"

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C’era una volta in cui Tom Cruise e Nicole Kidman sarebbero dovuti essere ebrei. Bill e Alice Harford, la coppia decisamente non ebrea interpretata dai due attori in Eyes Wide Shut, uscito nelle sale il 16 luglio 1999, sono tanto kosher quanto un milkshake al bacon. Tuttavia, quando Stanley Kubrick concepì per la prima volta l’idea di adattare al grande schermo il racconto Doppio sogno di Arthur Schnitzler del 1926, il regista si immaginava il protagonista maschile interpretato da Woody Allen, un uomo talmente ebraico da essere osservato dallo stesso Shabbat.

L’idea iniziale di Kubrick per il casting – incomprensibile a chiunque abbia visto il film finito – era motivata dalle psicosi freudiane che muovono il racconto originale cui il regista si era ispirato. Eppure durante i decenni che separano l’intuizione di Kubrick di portare al cinema il racconto di Schnitzler e il primo giorno di produzione, qualcosa cambiò. Secondo il coautore accreditato di Kubrick, Frederic Raphael, il regista era arrivato al punto di volere che i protagonisti fossero americani “al gusto di vaniglia”, belli e perfetti, in modo che fosse ancora più accentuato il contrasto con lo psicodramma che aveva in mente per il film. Desiderava che questi personaggi fossero persone privilegiate, al di sopra di ogni sospetto, gente che può entrare in qualunque posto come se si trattasse di casa loro.

E quando Stanley Kubrick decideva una cosa, non c’erano mezze misure. Spostò l’idea al suo estremo opposto, trasformando Bill e Alice Harford in Mitt e Ann Romney dell’Upper West Side, con un albero di Natale piazzato in quasi tutte le scene, usando le luci natalizie a intermittenza con lo stesso effetto del chiaroscuro realizzato con le candele per Barry Lindon, in modo che ogni inquadratura trasmettesse tentazione.

Questo può sembrare un piccolo escamotage estetico, quasi un capriccio il fatto di avere un cast stellare per finanziare il film, ma il suo effetto radicale sul lavoro finale non deve essere sopravvalutato. Dato che il canto del cigno di Kubrick si rivelò un improbabile successo stagionale – tanto che le proiezioni di dicembre all’IFC Center di Manhattan andarono così bene che il cinema pensò di renderlo un appuntamento annuale – è ormai sempre più chiaro che Eyes Wide Shut non è diventato un classico film natalizio perché è un capolavoro. Semmai il contrario. Eyes Wide Shut è un capolavoro proprio perché è un film di Natale.

Pubblicato in piena estate, il film è stato subito etichettato dalla storia produttiva con cui si presentava, e ci sarebbero voluti anni prima che la storia portata in scena dal film venisse considerata più rilevante che il dietro le quinte. All’inizio, infatti, Eyes Wide Shut era considerato un progetto vanitoso, al limite della pornografia, per cui la coppia più potente e più glamour di Hollywood era stata tenuta in ostaggio per 400 giorni di riprese. Il film fu completato a meno di 100 ore dalla morte improvvisa di Kubrick, per cui venne immediatamente appesantito alla critica e dal pubblico: poteva essere, da una parte, la ciliegina sulla torta di una filmografia perfetta. Dall’altra la sua unica macchia.

Ad inasprire ancora di più il clima ci pensò la Motion Picture Association of America, che impose al film delle sagome in computer grafica per ‘oscurare’ la famosa scena dell’orgia, uno dei momenti più spettacolari del film. Un’imposizione particolarmente ironica, dato che Eyes Wide Shut parla proprio della necessità di riuscire a separare la realtà da tutti gli escamotage che utilizziamo per non vederla. Ed è proprio per questo che Eyes Wide Shut è un film perfetto per il periodo natalizio, proprio perché – come dicono in Love Actually – Natale è il periodo dell’anno in cui diciamo la verità. Questo è un film natalizio fatto da qualcuno che era abituato a vedere le feste spiando attraverso le finestre delle altre famiglie, curioso di sapere se le festività significassero qualcosa di più che una performance realizzata per chi ci guarda dal marciapiede di fronte.

Ci sono coppie che sembrano perfette, poi ci sono gli Harfords, due che potrebbero essere fare parte del set di una di quelle palle souvenir in cui cade la neve. Lui è un medico, grande seduttore fra le lenzuola, con un sorriso a trentadue denti che tradisce una vita perfetta – il più giovane nei circoli dell’alta società. Lei è la direttrice di una galleria, di recente disoccupata, con un corpo capace di attrarre su di sé molta più attenzione maschile di quanta ne abbia mai ricevuta da suo marito durante anni di matrimonio. La loro relazione sembra l’enorme albero di Natale che tengono in soggiorno: splendidamente addobbato, ma senza vere radici.

La prima volta che li incontriamo, si stanno preparando per uno scintillante party natalizio, in cui Alice viene attratta da un specie di Casanova a metà tra un affascinante nobile europeo e un gigolò. Quando informa il misterioso straniero di essere sposata, questo ha subito la risposta pronta: «Sa qual è il vero fascino del matrimonio? È che rende l’inganno una necessità per le due parti». Quando lei, più tardi, racconta al marito di quell’uomo, lui risponde che il desiderio dello straniero è “incomprensibile”. Risposta sbagliata.

Perseguitato dal Fantasma della conoscenza carnale passata, Bill viene introdotto nella notte newyorkese, portato in un mondo sognante popolato da spettri tentatori. Come Ebenezer Scrooge e George Bailey prima di lui, viene condotto in un turbine di cose che non avrebbe mai visto da solo, rimbalzando tra un disastro erotico sfiorato e l’altro.

Ma Bill non sta cercando di scappare, quanto piuttosto di soppesare il valore di quello che desidera contrapposto a ciò – qualunque cosa sia – che lui e la moglie hanno perso. Non riesce nemmeno a togliersi i vestiti – al più baratta un costume per un altro, scambiando la licenza medica che mostra a chiunque incontri per la maschera di cui ha bisogno per entrare a questo party di scambisti (dove il minaccioso cerimoniere diventa il Fantasma delle Orge Presenti).

È proprio questo che rende Eyes Wide Shut essenzialmente un film di Natale, e fa del Natale una festività essenziale per Eyes Wide Shut. Bill Harford non sta cercando di allontanarsi da sua moglie – sta cercando di tornare da lei.

Il Natale al cinema è diverso dal Natale per le masse. Sullo schermo, non è un evento religioso, ma una scorciatoia condivisa per un certo stato d’animo. I film che associamo con la festività (La vita è meravigliosa, Incontriamoci a Saint Louis, Die Hard, ecc.) hanno una cosa in comune, e non è la venerazione per l’arrivo miracoloso di Gesù bambino. I lungometraggi che appartengono a questo sotto genere condividono un’affettuosa preoccupazione per la sensazione di restituire, di reclamare qualcosa che il protagonista ha paura di perdere o di aver già perso. Teologicamente, il Natale riguarda la nascita; culturalmente, parla di rinascita.

La notte oscura dell’anima di Bill Harford potrebbe avere più a che fare con l’Odissea che con La vita è meravigliosa, ma per ogni opportunità che il viaggio gli offre di gettare via il proprio matrimonio – e per ogni tentazione che evita miracolosamente all’ultimo secondo – si ritrova un passo più vicino a casa. Alla fine, per Bill, ogni offerta di beatitudine sessuale è un passo perverso sulla strada del ritorno dalla moglie (da qui l’ironica scelta di “Fidelio” come password per accedere a un’orgia di estranei).

Ripercorrendo i propri passi nella fredda luce del giorno seguente, Bill viene sconvolto dalle molte facce del Fantasma del Sesso Evitato Per Poco. La dolce prostituta con cui è quasi andato a letto è positiva all’HIV, la casa delle orge – prima regno incantato di piaceri imbarazzanti – è stata spogliata della sua magia, le conseguenze vengono mostrate al protagonista sul tavolo dell’obitorio cittadino. Nel momento in cui trova l’inquietante maschera da orgia di lusso che ha indossato per la cena della sera prima sul cuscino della moglie addormentata, il dottore non può fare a meno di essere sopraffatto dalla realtà di quanto lontano sia andato, e di quanto oltre si sia dovuto spingere per tornare a casa. Finalmente, Bill e Alice possono svegliarsi dai propri sogni e iniziare a ricostruire quello che condividono.

Come molti dei migliori film di Natale, Eyes Wide Shut potrebbe teoricamente svolgersi in un altro periodo dell’anno. La festa, ad esempio, potrebbe modificare drasticamente la trama. Allo stesso modo, Bill e Alice sarebbero potuti andare da qualche altra parte per la scena finale, in cui passeggiano per un sontuoso negozio di giocattoli, mentre fanno i conti con lo stato del loro matrimonio. Ma non lo fanno. Ed è lì che il film diventa l’inversione perfetta di un’altra classica storia natalizia: Il dono dei magi di William Sydney Porter.

Nella favola di Porter, una coppia povera vende segretamente cioè che ha di più caro – la bellezza di lei e il patrimonio di lui – per potersi permettere regali che, ironicamente, alla fine non possono usare. Dopo una lunga notte a soppesare il valore della moglie di fronte a una mezza dozzina di donne diverse, Bill realizza qualcosa che la sua compagna ha capito da tempo: il Natale non riguarda il dare, ma l’ottenere qualcosa in cambio. E Alice, timidamente soddisfatta degli sforzi del marito per tornare da lei, conclude il film suggerendo di fare l’unica cosa che garantisca loro di tornare alla prima notte di nozze, quando tutto era nuovo e il futuro era pieno di speranza.

“C’è qualcosa di molto importante che dobbiamo fare al più presto”, dice Alice a Bill.
“Che cosa?”
“Scopare”.

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