È uscito ‘As bestas’, non ci sono più scuse: dovete conoscere Rodrigo Sorogoyen | Rolling Stone Italia
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È uscito ‘As bestas’, non ci sono più scuse: dovete conoscere Rodrigo Sorogoyen

Arriva in Italia (finalmente) il film più bello del portentoso regista di ‘Che Dio ci perdoni’ e ‘Antidisturbios’. Uno dei pochi che hanno capito davvero cosa vuol dire fare cinema oggi. E, soprattutto, raccontare una società in perenne tensione

È uscito ‘As bestas’, non ci sono più scuse: dovete conoscere Rodrigo Sorogoyen

Denis Ménochet in ‘As bestas’ di Rodrigo Sorogoyen

Foto: Movies Inspired

Adesso che è uscito al cinema il suo film più bello non avete più scuse: è tempo che conosciate tutti (seh, vabbè) Rodrigo Sorogoyen. Con il solito paradosso: As bestas – La terra della discordia (questo il film, distribuito da Movies Inspired con Lucky Red) sarà uscito nelle solite quattro sale delle solite quattro città e andranno a vederlo i soliti quattro spettatori che sanno già benissimo chi è Sorogoyen. Ma – lo dico con un misto di eroismo e mitomania – se questo pezzo servirà a mandarcene anche solo altri quattro, al cinema, allora vuol dire che questo mio disgraziato mestiere serve ancora a qualcosa.

Comunque. As bestas, passato prima a Cannes non in concorso (roba da pazzi, poi uno dice perché quel festival è sempre più irrilevante) e poi di straforo alla Festa di Roma, racconta di una coppia francese (Denis Ménochet e Marina Foïs, mamma che bravi) che decide di mollare tutto e andarsene in campagna, ma una campagna (galiziana) impervia e scura abitata da gente che vuole proteggere sé stessa da ogni presunta minaccia esterna – ma non è così tutta la gente di tutto il mondo?

I due avranno vita difficile soprattutto per via dei fratelli bovari vicini di casa (Luis Zahera e Diego Anido, mamma che bravi/bis) che sono le bestie del titolo. Oppure le bestie sono quelli che sverginano luoghi remoti con i loro equilibri centenari per portarci il loro “bio” di città? O, ancora, le bestie siamo noi che guardiamo, tifiamo, manifestiamo da spettatori la stessa brutalità animale di quegli uomini e donne in scena?

Denis Ménochet e Marina Foïs. Foto: Movies Inspired

Il cinema di Sorogoyen, per quei quattro che lo conoscono, sta tutto qui. Stockholm, Che Dio ci perdoni, poi – distribuiti un pelo meglio da noi – Il regno e Madre, fino alla splendida serie Antidisturbios – Unità antisommossa (la trovate su Disney+): tutte polveriere in cui la tensione sociale non solo è pronta ad esplodere, ma sembra la sola modalità capace di descrivere il nostro tempo.

Il portentoso Sorogoyen, spagnolo di Madrid per una volta molto celebrato in patria, non è un regista che nasce “da festival” (e infatti Cannes non lo mette in concorso). Ha una vocazione molto pop, molto larga, ha iniziato con la tv, gli piacciono i generi di massa, il thriller, il poliziesco, il dramma anche con venature soap (c’è in Madre sicuramente, ma pure in queste Bestie). Però, tra gli esempi europei recenti, a questo sguardo per così dire generalista aggiunge un vero interesse per il cinema politico – se per cinema politico intendiamo queste storie che sono pura sociologia, se non antropologia tour court – che pare quasi impossibile rintracciare nelle filmografie d’altri.

Certamente s’è estinto da noi: tra i nostri autori, nel nostro cinema, la politica – che può trovarsi, come Sorogoyen insegna, ovunque: nelle storture urbanistiche, no: immobiliari, dentro le nostre miserabili città in cui giustizia è una parola svenduta a Airbnb (Antidisturbios); nella gestione vera e propria della cosa pubblica, che si è sempre più privatizzata (Il regno); nell’invidia sociale, culturale ed economica che regola ogni destino (As bestas) – ecco, dicevo, nel nostro cinema questo scenario è pressoché scomparso.

Rodrigo Sorogoyen sul set tra Luis Zahera e Denis Ménochet. Foto: Movies Inspired

As bestas con la sua tensione costante, il suo passo cupo, i suoi snodi da thriller classico che però vogliono dirci sempre qualcos’altro, i suoi personaggi (e i suoi attori) che replicano la nostra intolleranza crescente verso l’altro, è l’opera che somma perfettamente una poetica intera. E che sancisce il discorso sui (micro) rapporti di potere che in ogni (micro) comunità, anche quelle costituite solo per caso, solo per un momento, si vengono fatalmente a creare. Che poi è l’ossatura di tutto il cinema dell’autore.

Attori enormi, scrittura che non sai mai dove ti porta e poi però risolve tutto, ambiguità che resta presente e minacciosa fino all’ultimissima scena (chi aveva ragione? Ci sono reali colpevoli in questa storia? Chi se ne importa, anche se ci importa tutto), regia che pure quando esagera – i grandangoli ormai marchio di fabbrica, la voglia di buttarsi sempre nella zuffa – è sempre pertinente al racconto.

Il cinema non è morto, solo che qualcuno ha capito meglio di altri cosa vuol dire farlo oggi. Rodrigo Sorogoyen è uno di questi pochissimi. Spero di aver convinto almeno quattro di voi ad andarlo a vedere – non ho percentuali sui biglietti venduti, non sono una bestia.

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