‘Dogman’ di Luc Besson cerca la pace, ma la pace non c’è: e allora vendetta, giustizia, salvezza | Rolling Stone Italia
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‘Dogman’ di Luc Besson cerca la pace, ma la pace non c’è: e allora vendetta, giustizia, salvezza

C'è l'ombra di 'Joker' in questo film cinefilo e ancor più cinofilo (sul set c'erano 115 cani), ma il più americano dei registi francesi ci regala una pellicola teneramente “fluida” senza il dovere di seguire le mode. Con uno smisurato Caleb Landry Jones

Caleb Landry Jones in 'Dogman' di Luc Besson

Caleb Landry Jones in 'Dogman' di Luc Besson

Foto: Shana Besson

Martirio e redenzione, riscatto e sacrificio. È Giovanna che sente la voce di Dio e brucia nel rogo dei giusti, è la Lady che non si lascia piegare dalla prepotenza del potere, è Nikita, tossica e assassina, riprogrammata per uccidere, che mette nel mirino l’oblio. Ma è anche Matilda, che trova finalmente un posto per la sua pianta, e Lucy, che si fonde con il tutto. Volti e corpi di un cinema che, come loro (eroine brutalizzate perennemente in pericolo, sempre sul filo, in continua evoluzione), conosce il dolore. Il suo sapore amaro, le cicatrici più evidenti di tatuaggi.

Natalie Portman nei panni di Matilda in ‘Léon’. Foto: Filmauro

Un cinema che si carica sulle spalle la brutalità di un mondo che non può realmente rappresentarlo. Sta da quella parte lì, il più americano dei registi francesi: dalla nostra. Da quella degli outsider, dei dropout, degli underdog, lontano anni luce dal conformismo, allergico alle regole di una comunità umana che ormai di umano ha ben poco. Cantore irregolare (e disuguale) di rivincite (non sempre) impossibili, Luc Besson, autore sfidante e controverso (per scelta e per natura), rientra in gioco dopo dieci anni complicati in cui molti l’avevano dato per perso, ritrovando barlumi dell’antica energia che decide di investire in un film sofferto e traumatico, molto applaudito all’ultima Mostra di Venezia e molto stroncato negli USA.

Dogman di Luc Besson con Caleb Landry Jones in concorso a Venezia 80 | Trailer ufficiale ITA HD

Eppure Dogman (dal 12 ottobre al cinema con Lucky Red) è sicuramente una delle cose migliori dell’ultimo Besson, anche se si tratta di un film derivativo e anche già un po’ visto nel contesto (comunque non banale) della diversity: fuori posto come il suo regista, capace di rileggere il melodramma e l’action alla luce di un misticismo etico dove tocca cantare (meglio se come Édith Piaf, divina e addoloratissima) ma soprattutto portare la croce.

Come fa ogni giorno Douglas, antieroe emarginato sopravvissuto a un’infanzia brutalizzata, ridotto quasi stabilmente su una sedia a rotelle dal furore mostruoso del padre e del fratello, salvato dall’amore dei suoi cani e da quello per il teatro, per la rappresentazione, per la fuga nell’altro, nel personaggio, nel ruolo, lassù, sul palco dalle assi marce della vita. Cerca la pace, ma la pace non c’è: e allora vendetta, giustizia, salvezza. E un’identità.

Un frame di ‘Dogman’

C’è l’ombra di Joker, ovvio, in questo film cinefilo e ancor più cinofilo (Besson ha girato sul set con 115 cani: provateci voi a fare un film con quel casino), ma se lo sguardo non è così inedito come il regista vorrebbe farci credere, il suo Dogman ha momenti potenti e riuscite idee di scrittura alternative, come la scelta drag del protagonista, che ne fa una pellicola senza genere né gender, “fluida” senza il dovere di seguire le mode, dolcemente, addirittura teneramente queer.

Come se lo strazio accettasse la sua deriva, fosse consapevole che a tutto c’è una fine. E sorridesse a bocca chiusa come l’impressionante Caleb Landry Jones, attore smisurato già premiato a Cannes nel 2021 che oltre a disinnescare (e confutare) una delle più note leggi non scritte del cinema (“mai recitare con cani e bambini”) per un momento sembra volere – e potere – scontare la sofferenza di tutti.

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