“Le ore del presente sono già leggenda”, leggono Goliarda e Roberta su un muro a Porta Maggiore, nel sole di Roma. E in quel “già” che c’è tutto. Il tempo di Goliarda Sapienza è un presente sempre un po’ in anticipo. È spezzato, sfasato, stonato rispetto a quello che una donna avrebbe dovuto (dovrebbe ancora?) essere, dire, fare – baciare, anche, in senso molto lato. È, per questo, (già) leggenda.
È il 1980, Goliarda Sapienza entra in carcere per furto (in breve: gioielli di un’amica stronza, patroness di un salotto bene per gente perbene, tutto ciò che l’anticonformismo della più incompresa delle nostre scrittrici non poteva rubricare per sé stessa e per le sue scelte); poi ne esce, e quell’esperienza diventa un dentro/fuori che si confonde con la scrittura, la vita, lo stare al mondo. Come dice la vera Goliarda nell’intervista – che passa sui titoli di coda – a Enzo Biagi, perbenissimo anche lui, il carcere non è diverso dal mondo di fuori, è la stessa cosa, siete voi che lo allontanate, che ci allontanate.
Fuori – prodotto da Indigo Film, Rai Cinema e The Apartment con Srab Films, Le Pacte e Fremantle, in concorso a Cannes ora in corso e dal 22 maggio nelle sale – è anche il titolo del film di Mario Martone che fotografa quel momento preciso. Ed è un film ugualmente spezzato, dove il tempo si confonde, gli accadimenti sono in anticipo o in ritardo, o semplicemente mescolati e dunque leggendari, in una complessità che sta a chi guarda ricostruire – i film per spettatori adulti: che meraviglia quando succede!
È un Identikit, alla maniera del (campissimo, sottovalutatissimo) film di Giuseppe Patroni Griffi con la Liz Taylor della maturità, che si confrontava con l’invecchiare, con lo sfiorire (per come lo s’intende, socialmente, in una donna che si è fatta sempre portare dal desiderio). “Sei ossessionata dal tempo che passa”, dice più o meno a Goliarda (Valeria Golino), a un certo punto, l’amica Roberta (Matilda De Angelis), incontrata in carcere. È un vagheggiamento di giovinezza perenne (bellissima la scena sotto la doccia con le due attrici, più Elodie), ma anche una richiesta di non compromissione artistica, letteraria, sessuale, etica.

Elodie, Valeria Golino e Matilda De Angelis in una scena del film. Foto: Mario Spada
Ma è anche, Fuori, l’Identificazione di una donna in senso quasi antonioniano. Nella scrittura di Martone e di Ippolita di Majo, che parte dai libri di Sapienza L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, c’è l’indagine su un’artista che è, allo stesso modo, in anticipo, dentro e fuori, per questo, al fondo, imprendibile.
Nella città l’inferno, anche quella è un’eco inevitabile. Ma la città (fuori) è piena di sole, è una Roma con la luce che taglia, metafisica, dechirichiana. È come se Martone girasse, anche per pari girovagare fuori e dentro di sé del personaggio principale, il seguito ideale di Nostalgia, che però era tutto buio, come fosse il negativo di quest’altra fotografia invece quasi sovraesposta. Perché qui l’inferno è qualcosa che si agita dentro. È il sogno di lasciare qualcosa: un libro (l’“impossibile”, per l’epoca, Arte della gioia per Goliarda; un negozietto di profumi per Barbara/Elodie; una valigia piena di lettere per Roberta); ma quel qualcosa vola sempre via, è continuamente tolto di mano.
Il tempo in anticipo, spezzato, sta anche nella musica. Si sente In a Sentimental Mood di Duke Ellington, che è anche l’umore generale del racconto, ma soprattutto c’è il blues di Robert Wyatt. “We used to walk the streets together / We could be seen / Past shops where people knew us / Yeah, people knew / I’ve got to choose between tomorrow / And yesterday / I can’t stop to think about / My life, here today”. Non è tutto qui, il cuore di Goliarda (e del film)? Nel fatto che esiste solo quel presente leggendario – e pure in quel “people knew”, anche se in realtà non potevano sapere, non conoscevano niente.
Infine, le attrici. Perché questo è un film di attrici, anzi un “film di donne”, come si usa dire di certi titoli dell’età dell’oro. Andando al contrario, in fatto di minutaggio sullo schermo: Elodie, precisissima ragazza di periferia, è sempre più a fuoco come performer “totale”; Matilda De Angelis – ruvida, lucente, spersa, pesta, forte, frangibile – è la migliore della sua generazione? Questo film, probabilmente il suo esito migliore al cinema, ci dice di sì.
E poi, Valeria Golino. Che segue il fantasma di Goliarda Sapienza – dopo il magnifico adattamento dell’Arte della gioia per Sky, ma lì stando volutamente “fuori” dallo schermo – giocando quasi in assenza e, ancora, in anticipo. Di Golino una ce n’è: per talento, intelligenza, capacità di stare sempre, in tutte le cose, da autrice della sua arte, in qualunque ruolo decida di giocare. La sua Goliarda di Fuori è una presenza che c’è nel non esserci, che depista, commuove, stordisce. Fino alla fine (no spoiler), con quel fotogramma che sta come a dire: io ci sono, siete voi che non mi troverete mai.