Rolling Stone Italia

Dedicato a tutti i feticisti degli accenti: chi sì, chi no, chi boh

Dall’italo-russo di Lady Gaga in ‘House of Gucci’ al mischione di Julia Garner in ‘Inventing Anna’, passando per la Pamela Anderson di Lily James e la Lady Diana di Kristen Stewart. Un corso di inglese accelerato, ‘cockney’ e ‘scouse’ compresi

Artwork by Stefania Magli. Foto: Hulu/MGM/Netflix/01 Distribution

Italiani popolo di doppiatori, o quantomeno di gente amante di film e serie doppiate. E benedetti dunque Netflix, Amazon Prime Video, Disney+ e tutti gli altri, che nel loro piccolo hanno insegnato (e stanno insegnando) ai novizi ad apprezzare le differenze tra British e American English, tra accento del Midwest e italoamericano, tra scouse (ci arriveremo tra un attimo) e cockney (idem). Gli accenti americani sono una mia personale perversione, e con tempo, pazienza e dedizione sono riuscita a ritrovarmi nella classificazione di Dan Nosowitz su Atlas Obscura: è impossibile parlare di un accento “neutrale”, perché tendiamo ad associare istintivamente il modo in cui alcuni gruppi parlano al modo in cui li percepiamo. Quindi, un accento del New Jersey tende a essere aggressivo e impaziente; un accento della California meridionale è lento e svampito; un accento del Sud è grossolano e ignorante; un accento bostoniano è elitario e snob. Poi c’è la questione degli accenti britannici, rispetto alla quale ammetto una competenza nettamente inferiore e riconosco la difficoltà non solo nel distinguerli, ma pure nel comprenderli. Infine, come la mettiamo quando un attore americano deve suonare britannico o viceversa? È possibile stabilire quanto riesca a risultare credibile? Stilare una lista completa implicherebbe un lavoro titanico, e richiederebbe un viaggio indietro di parecchi anni (Meryl, ci stai leggendo?), ma per fortuna ultimamente gli esempi virtuosi e viziosi abbondano: io dal canto mio rimango della mia idea, la mia medaglia d’oro alla comprensibilità va ai nativi di Chicago, che saprei riconoscere tra mille (vedi alla voce Jennifer Beals, Patricia Arquette, Frances McDormand, Hillary Clinton e Michelle Obama).

Le basi: Dick Van Dyke, Mary Poppins (1964)

Come dovrebbe suonare: un allegro spazzacamino dal cockney rhyming slang (letteralmente, il “dialetto cockney in rima”), originatosi intorno al 1840 tra la classe operaia dell’East End londinese.
Come suona: «L’accento cockney più atroce nella storia del cinema» secondo lo stesso Van Dyke, tesi avvalorata da frotte di critici. Le vocali e le consonanti sono spinte ai limiti della propria dignità in uno strano mash-up dove il cockney incontra l’Ohio e inizia ad andarci a braccetto. Ci impensieriva quando eravamo bambini? Decisamente no.

Un’altra digressione: Kevin Costner, Robin Hood – Principe dei ladri (1991)

Come dovrebbe suonare: Robin Hood è di Nottingham, quindi un accento delle East Midlands non guasterebbe. Di certo, un accento inglese sarebbe apprezzabile.
Come suona: ci sono alcuni secondi in cui Costner tenta un accento inglese, ma per la maggior parte del film sembra che sia tornato a Los Angeles a camminare su e giù per Hollywood Boulevard. Il che è aggravato dal fatto di trovarsi di fronte a uno dei più grandi attori britannici mai vissuti, Alan Rickman.

Jude Law, Contagion (2011)

Come dovrebbe suonare: un accento australiano della classe media, potenzialmente della periferia di Melbourne. Immaginatevi un tizio che ordina un caffellatte e parla al telefono mentre il barista si mette al lavoro, non si stacca mai dal cellulare e quando viene servito fa un lieve cenno di apprezzamento.
Come suona: un cockney della classe operaia che sta scimmiottando il Mick Dundee di Crocodile Dundee, ma con un accento troppo marcato che tradisce i natali londinesi. Che poi, perché diavolo il personaggio di Law doveva essere australiano? Se la trama di Contagion si è rivelata spaventosamente profetica, prendere sul serio il buon Jude è davvero troppo.

Julia Garner, Ozark (2017-2022)

Come dovrebbe suonare: una redneck fatta e finita del Missouri che intervalla un fuck a una pistolettata, con una parlata sgraziata e strascicata che mischia southern e midwestern, preferendo di gran lunga il primo.
Come suona: ancora meglio di quanto ce lo saremmo mai immaginato. Ruth Langmore è la perfetta equivalente di una camorrista di Forcella che non ha nessun problema a infinocchiare o ad ammazzare chiunque si metta sulla sua strada.

Kristen Stewart, Spencer (2021)

Come dovrebbe suonare: molto semplice, come Lady Diana.
Come suona: molto semplice, come Lady Diana.

Lady Gaga, House of Gucci (2021)

Come dovrebbe suonare: molto semplice, come Patrizia Reggiani. Lieve inflessione modenese con pretese da sciura milanese portatrice sana di residenza entro i Bastioni.
Come suona: come una escort russa d’alto bordo che incontra i suoi clienti per un aperitivo da Cova in Monte Napoleone. Se nove mesi trascorsi a parlare con un accento marcatamente italiano danno questo risultato, be’, cara Gaga, allora siamo davvero off the deep end.

Lily James, Pam & Tommy (2022)

Come dovrebbe suonare: molto semplice, come Pamela Anderson. Che, attenzione, non è statunitense bensì nata e cresciuta nella Columbia Britannica, in Canada: distinguere accento canadese e americano è osticissimo e significa saper riconoscere il Canadian Raising, ossia la pronuncia di alcune vocali in dittonghi con una parte più alta della bocca rispetto alle persone di altre regioni di lingua inglese. Ad ogni modo, Pamela si trasferì a Los Angeles a ventidue anni, per cui la sua è una cadenza 100% californiana.
Come suona: pure troppo. Mi spiego meglio: Lily James sembra quasi più Pamela Anderson dell’originale. Il Guardian ha scritto che il suo accento è “intenso”, il che mi sembra un’ottima definizione: insomma Lily, a ‘sto giro hai voluto strafare.

Julia Garner, Inventing Anna (2022)

Come dovrebbe suonare: molto semplice, come Anna Sorokin/Delvey. Ossia una ragazza nata a Mosca, cresciuta in Germania, che ha vissuto a Londra, Parigi e si è infine trasferita a New York. Non facile, sia chiaro, ma Garner d’altronde ci aveva abituati benissimo.
Come suona: falso come l’ottone, impostato, recitato, innaturale, finto. Insomma, una tragedia. Avete presente quando siete a cena con gli amici e per ridere vi mettete a prendere in giro le parlate altrui (hobby al quale non ci si può manco più dedicare con tanta leggerezza, pena il rischio di offendere qualcuno)? Ecco, esattamente così.

Martin Freeman, The Responder (2022)

Come dovrebbe suonare: come un perfetto scouse, ossia l’accento della zona di Liverpool. Che, per quanto mi riguarda, è incomprensibile al pari dello scozzese. Le vocali hanno un suono drammaticamente diverso da quello del General British, tanto che, persino nella semplice parola “sir”, la “i” si apre e diventa quasi una “e”. Supponete di essere a Liverpool e di arrivare trafelati a un appuntamento: uno scouser vi dirà «Eeyar! Would you like a bevvie?». Ci state? Bene. Non potete? «No thanks, I’m choker». Sapreste dire di cosa state parlando? Non siete i soli.
Come suona: vedere The Responder senza sottotitoli – rigorosamente in italiano – è impossibile, quindi deduco che Martin Freeman abbia fatto un ottimo lavoro.

Daisy Edgar-Jones, Fresh (2022)

Come dovrebbe suonare: una qualsiasi ragazza americana dell’East Coast. New York? Boston? Washington? Miami? Baltimora? Non ci è dato saperlo di preciso. Comunque, una di quelle.
Come suona: da sei, sei e mezzo, ogni tanto Daisy Edgar-Jones non riesce a tenere a freno tutta l’East London che c’è in lei. Un po’ scialbo, nonostante ciò sufficiente: un po’ come la performance dell’attrice lanciata Normal People in Fresh, a ben vedere.

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