David di Donatello 2023: il meglio e il peggio della serata | Rolling Stone Italia
Live from Hollywood (sul Tevere)

David di Donatello 2023: il meglio e il peggio della serata

Il red carpet che vuò fà l’americano (grazie, Penélope Cruz), i discorsi di Fabrizio Gifuni ed Emanuela Fanelli, Carlo Conti che gestisce (male) il traffico, i deliziosi belgi delle ‘Otto montagne’. I nostri top e flop

David di Donatello 2023: il meglio e il peggio della serata

Carlo Conti, il vincitore come miglior attore Fabrizio Gifuni e Matilde Gioli sul palco dei David 2023

Foto: Franco Origlia/Getty Images

MEGLIO:

Er tappeto rosso

Un red carpet (via social) all’americana. Anticipato nella mattinata di ieri dalla presentazione dei candidati al Quirinale davanti al Presidente Mattarella (con siparietti irresistibili dei David Speciali Isabella Rossellini, Marina Cicogna ed Enrico Vanzina), la sera va in scena ai Lumina Studios powered by Cinecittà il tappeto rosso vero e proprio. L’Accademia su Instagram (account @premidavid) finalmente lavora bene, e seguire in quasi-diretta la sfilata degli ospiti titilla la fashion police che è in ognuno di noi. In realtà, pochissimi look romano-cafonal (pardon): Elodie ormai è una pro delle soirée anche cinematografare, Jasmine Trinca sbrilluccica, Isabella Rossellini ci mette il tocco chic. Ma poi arriva Penélope Cruz in versione che più flamenca non si può, e manda tutte (e tutti) a casa. Olé.

PEGGIO:

Il vigile Conti

Carlo Conti è quello che si dice “un grande professionista”. E, nelle cerimonie di premiazione, saper fare il vigile urbano che gestisce il traffico senza creare troppe code è un lavoro fondamentale. Ma non sembra mai “dentro” il tema, che in questo caso è – lo ricordiamo soprattutto a lui, che forse non l’ha capito fino in fondo – il cinema: se qui si parlasse di giardinaggio o di pallamano, per lui forse sarebbe uguale. Lo si vede soprattutto quando non sa gestire il momento preziosissimo della consegna del David alla carriera alla superproduttrice Marina Cicogna, verso cui sembra quasi distaccato, forse troppo attento ai ritardi sulla scaletta (o a spuntare nello spot di Poltronesofà: manco Ama a Sanremo). Per fortuna quest’anno c’è una co-conduttrice (miracolo!): Matilde Gioli sarà sicuramente meno tecnica, ma ci mette un po’ di brio e molto cuore. Fosse per noi, lasceremmo i David… nelle tue mani (ok, scusate, addio).

MEGLIO:

Esterno (e interno) Gifuni


Il David per il ritratto insieme terreno e psicanalitico di Aldo Moro in Esterno notte (il secondo dopo quello vinto nel 2014 come miglior non protagonista per Il capitale umano) è meritatissimo, ça va sans dire. Ma Fabrizio Gifuni piazza anche lo speech più bello della serata, dalla parte del cinema come arte da difendere (ma senza fare il predicozzo), degli autori indipendenti e anche un po’ folli (Giuseppe Bertolucci, Antonio Capuano, Claudio Caligari), delle associazioni come Unita che renderanno la vita più facile (speriamo) ai lavoratori del cinema di domani. Ma insieme a questo “esterno cinema”, c’è un “interno vita” irresistibile: la moglie Sonia Bergamasco radiosa in platea, la figlia rimasta a casa perché «troppo emozionata», e il ricordo del padre (per tanti anni segretario generale del Quirinale) che probabilmente guarderà il suo film-serie «su qualche piattaforma stellare». Ah, possiamo anche dire che è sempre più figo? Sì.

PEGGIO:

Le parole (e la forma) sono importanti

La location sbagliata: una sala stretta stretta, lunga lunga, un po’ claustrofobica vista in prospettiva (ce ne saranno stati di studi più “giusti”, magari nella vera Cinecittà, e invece). Gli spottoni di I migliori anni e delle fiction prossimamente in onda (e chi più pubblicità Rai ha, più ne metta) che incorniciano così, de botto senza senso, le immagini della cerimonia. Le frasi fatte, le domande scontatissime («Com’è stato muoversi da donna in un mestiere prevalentemente maschile?» a Marina Cicogna: ma sappiamo che non è colpa tua, Matilde): se gli autori non ci sono, male; se ci sono, ancora peggio. La scelta (?) incomprensibile di non chiamare dei presenter ad annunciare tutti i “the winner is” del caso. E di conseguenza, il ritmo veloce sì, ma a discapito di una solennità che per gli Oscar italiani non solo ci si aspetta, ma si pretende. Se vogliamo un cinema che davvero arrivi di nuovo al mondo, anche la cerimonia che lo celebra deve essere all’altezza. La regia ha inquadrato un paio di espressioni di Penélope Cruz che dicevano tutto.

MEGLIO:

Cor David dint ’o core

Quando vince come supporting per Siccità, Claudia Pandolfi le si lancia addosso per abbracciarla. Invece lei, Emanuela Fanelli, è incredula, quasi frastornata. «Mi sembra di essere in Champions League: c’era bisogno della metafora calcistica? No», butta lì. Il discorso, per una volta, non è preparato, e ci piace moltissimo così. Saluti a casa, ché la famiglia è sul divano con le magliette dedicate, e ovviamente «grazie a Virzì perché mi ha guardata, mi ha vista, non so come abbia fatto vedendo i miei sketch sui film “di periferia romana”», ma pure a Valerio Lundini & C. «Mo fate come con il prete di Viaggi di nozze, mi staccate il microfono». Da Roma a Napoli per direttissima, con il David come attore non protagonista a Francesco Di Leva per Nostalgia. La dedica alla moglie che piange in platea (e ai figli), i suoi ragazzi che lo guardano al NEST, il teatro militante che ha fondato a San Giovanni a Teduccio («in una ex palestra abbandonata stiamo allenando i loro sogni») e «maggio che è un mese fortunato»: sì, per i tre scudetti del Napoli. Ma pure l’inchino al grande dimenticato di questi David: «Questa sera state premiando due uomini: senza Pierfrancesco Favino io questo riconoscimento non l’avrei potuto vincere».

PEGGIO:

Ma ’ndo vai, se il momento musicale non ce l’hai

L’In memoriam è sempre delicatissimo e difficilissimo, anche se – agli Oscar – hai a disposizione una colonna sonora by – chessò – Billie Eilish o Lenny Kravitz. Ecco, per quanto Matteo Bocelli (nepo baby) ci metta del suo, cantando e suonando Love of My Life dei Queen, l’effetto è un pochino saggio di fine anno. Meglio Noemi che ricorda Anna Magnani a cinquant’anni dalla morte con Com’è bello fa’ l’amore quanno è sera piano e voce. Again: basta per gli Oscar italiani? No. Una modesta proposta: facciamo esibire i candidati alla miglior canzone originale per movimentare la situazione. Siamo sicuri che Elodie avrebbe fatto faville.

MEGLIO:

I vecchi leoni

Troppo facile dire: una volta era tutto più bello. Ma i vecchi leoni premiati ai David quest’anno sono ancora attivissimi: di testa, di cuore, e anche professionalmente. E danno la m… vabbè, ecco, ai più giovani. La nobile, in tutti i sensi, Marina Cicogna che fa una lezione di produzione nonostante l’età e la malattia («Una volta c’erano i produttori coraggiosi, ora i registi si producono da soli»); Isabella Rossellini, premiata da Matt Dillon, che arrota la sua splendida erre per raccontare «l’amore per il cinema e l’avventura» dei suoi genitori – sì: quei genitori – ma anche l’amore suo per le galline della fattoria (bio)diversa vicino a New York in cui vive; e poi Enrico Vanzina che ricorda i padri della commedia «che hanno ridato il buonumore all’Italia del dopoguerra» e insegna (da una vita) a non confondere la leggerezza con la superficialità. Mettiamoci pure Marco Bellocchio, che vince come miglior regista (evviva!) per Esterno notte. «Vabbè dai», esordisce, e poi: «Non me l’aspettavo… ma lo accetto». «Moderatamente emozionato», promette che ringrazierà «tutti quelli che si aspettano di essere ringraziati» in privato. Così si fa, imparate dal maestro (e dai maestri).

PEGGIO:

I cine-saldi estivi

Siamo sulla Rai, gli spottoni governativi ce li aspettiamo. Ma questa “Cinema Revolution” venduta come salvezza del settore quando invece sembra la promozione dei saldi del centro commerciale (vabbè, delle arene estive) coi film svenduti a 3 euro e 50 siamo sicuri che faccia bene a tutte le categorie del cinema qui rappresentate? E che non si trasformi, invece, in un autogol che rischia di rendere ancora più evidente agli occhi degli spettatori la “svalutescion” del cinema stesso, con le nuove generazioni che «stanno a guardare le serie», come dice Michele Placido (ironicamente premiato con il David Giovani per L’ombra di Caravaggio) a proposito dei suoi figli? La buttiamo lì…

MEGLIO:

Daje tutta Belgio (anzi: Europa)

L’entusiasmo di Felix van Groeningen quando ritira il premio per il suo direttore della fotografia e il «vi teniamo AL cuore» di Charlotte Vandermeersch per il David alla miglior sceneggiatura non originale sono adorabili. Le parole della regista – «il nostro film è un’unione tra l’Italia e il Belgio, siamo europei, siamo cittadini del mondo» – sono il più bello spot all’Europa unita che qualunque politico avrebbe mai potuto concepire. E poi ci sono i “soliti” Alessandro Borghi e Luca Marinelli, che hanno dato corpo e voce alle parole di Paolo Cognetti. «È stato bellissimo condividere di nuovo questa cosa con mio fratello, che sta qua», dice Borghi. «Solamente grazie, qui ci sono due anime gigantesche che ci hanno regalato questa avventura meravigliosa», chiude Luca. Awww.