Dal libro al film: schermo schermo dei miei Nobel – Parte II | Rolling Stone Italia
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Dal libro al film: schermo schermo dei miei Nobel – Parte II

Dal ‘Dottor Živago’ di Pasternak a ‘Furore’ di Steinbeck, passando per autori come Mann, Faulkner, Camus, fino al nostro Pirandello. Incontri ‘alti’ tra pagina e schermo

Dal libro al film: schermo schermo dei miei Nobel – Parte II

Julie Christie è Lara nel ‘Dottor Živago’ di David Lean (1965)

Foto: Silver Screen Collection/Hulton Archive/Getty Images

William Faulkner – già citato nella prima parte del nostro excursus come sceneggiatore di Acque del sud, film tratto dal romanzo Avere e non avere di Hemingway – è intervenuto anche in un grande classico della letteratura gialla, Il grande sonno di Raymond Chandler. Come ispiratore di film Faulkner, non era l’autore ideale, le sue narrazioni vivono di introspezione a scapito dell’azione. L’urlo e il furore, diventato film (regia di Martin Ritt) col titolo L’urlo e la furia, è molto lontano dalla qualità del romanzo. Santuario, forse il titolo più importante dell’autore del Sud, presenta una versione cinematografia dal titolo Perdizione (regia di Stephen Roberts), anche questo inadeguato. Il cinema ricorda invece La lunga estate calda, un racconto, che deve molto all’appeal di Paul Newman. Il cinema ha amato John Steinbeck, Nobel del 1962. La traslazione libro-film è quasi sempre corretta. I titoli sono molti, alcuni classici veri, come Viva Zapata!, Uomini e topi, La valle dell’Eden. Soprattutto Furore, che, assunto da John Ford, divenne capolavoro doppio e non è improprio dire che divide alla pari le due paternità. E non è quasi mai accaduto.

I tedeschi: Thomas Mann (Nobel 1929) e Günter Grass (1999). Mann, autore fra i grandi maestri del Novecento, ha ispirato film dalle sue opere maggiori: fra queste I Buddenbrook, altro titolo citato nella motivazione del premio, del 2008, per la regia di Heinrich Breloer, opera corretta, ma niente di più. La montagna incantata, titolo fondamentale, è diventato un film tv diretto da Hans Geissendörfer nel 1982, ma non rende giustizia al testo. Ma il cinema, nella sua “bizzarria”, privilegia La morte a Venezia, un racconto lungo, ma perché lo ha assunto Luchino Visconti. Günter Grass è noto nel mondo per il suo Tamburo di latta, diventato anche un classico del cinema grazie alla qualità del tedesco Volker Schlöndorff.

Death In Venice (1971) Official Trailer - Luchino Visconti Drama Movie D

I francesi: Albert Camus (Nobel 1957) e Jean-Paul Sartre (1968). Anche Camus deve molto a Visconti che ha filmato Lo straniero nel 1967. Un altro italiano, Gianni Amelio, ha firmato nel 2011 la versione intitolata Il primo uomo, risultato dignitoso. Ricordabile è La peste del 1992, diretto da Luis Puenzo. I premi Nobel russi, Pasternak (Nobel 1958) e Solženicyn (1970), sono autori cosiddetti dissidenti. Per Il dottor Živago di Pasternak può valere il concetto della doppia paternità, visto che David Lean nel 1965 ne ha tratto un film da cinque Oscar. Una giornata di Ivan Denisovič, il racconto più noto di Solženicyn, è diventato un film del regista Caspar Wrede, che non ha toccato la potenza del master letterario.

Quello che può essere definito il capolavoro della britannica Doris Lessing, premio Nobel 2007, è certo Le nonne, diventato Two Mothers per la regia di Anne Fontaine, con Robin Wright e Naomi Watts. Due amiche, madri quarantenni, si innamorano dei rispettivi figli diciottenni. Successo di critica e di pubblico, del libro e del film.

Two Mothers - Clip - Seduzione

Gli italiani. Ai poeti Carducci, Quasimodo e Montale si uniscono i narratori Deledda, Pirandello e il “fenomeno” Dario Fo. Pirandello, Nobel 1934, ha ispirato, direttamente o meno, decine di film. Titoli anche hollywoodiani: Come tu mi vuoi con Greta Garbo nientemeno. Ricordiamo anche l’Enrico IV con Mastroianni, due edizioni del Fu Mattia Pascal (la prima, “muta”, del 1925 e l’altra del 1985, ancora con Mastroianni). E ancora Il viaggio del 1974, ultimo film di Vittorio De Sica, con Sophia Loren e Richard Burton. Della Deledda, Nobel 1926, la memoria va a Cenere, un “muto” del 1916 con Eleonora Duse, e a Proibito del 1954 di Mario Monicelli, con Amedeo Nazzari. Nell’aprile del 1977, il secondo canale della Rai trasmise Mistero buffo, l’opera identitaria di Dario Fo (Nobel 1997) in otto puntate. La serie si attirò una denuncia per vilipendio della religione e una condanna dal Vaticano. La personalità di Fo, travolgente, vampirizzante, non è per il cinema. Appartiene solo… a Fo.

È stato, questo, un excursus parziale di titoli e autori, un’antologia incompleta. Un promemoria, mi auguro, per chi abbia voglia di… studiare.

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