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Dal libro al film: il Romeo di Orlando non è quello di Leonardo

Bloom, attore di cinema prestato al teatro, non è all’altezza del DiCaprio versione Luhrmann. Né di altri divi dello schermo poco ‘shakespeariani’ sulla carta ma grandissimi nella resa. Leggi: Marlon Brando

Il focus è su Romeo e Giulietta versione musical. Il film riprende la pièce, uno dei maggiori successi di qualche stagione fa a Broadway, appunto. Sì, teatro-cinema, con un unico palcoscenico. I distributori hanno concesso un passaggio di tre giorni nelle sale, nelle città principali. Non è un titolo da cassetta, è l’ennesima rappresentazione della “storia d’amore più bella di tutti i tempi”, si aggiunge alle molte che hanno rappresentato Shakespeare secondo stagioni, progresso sociale, estetiche.

La chimica letteratura/cinema, come molti sanno, mi sta molto a cuore. Parto da un assunto di base: Shakespeare è talmente grande che è molto difficile… rovinarlo. Ed è talmente grande e perfetto da imporre sé stesso nelle epoche: significa che gli autori, di teatro e di cinema, hanno preferito partire da lui, che aveva tutto rappresentato degli esseri umani e delle loro vicende, e lavorare sui “contorni” di una sostanza non migliorabile, appunto. E non è un paradosso se dico che Shakespeare conosceva le regole del cinema trecento anni prima che fosse inventato. E il cinema ha davvero approfittato di lui. Troppo grande era la tentazione.

In Shakespeare tutto è, come detto, perfetto: il ritmo del racconto, gli artifici, il sangue (soprattutto quello blu), gli amori e le guerre. I film ci hanno proposto Amleto in costumi da corte viennese, Riccardo III fra i nazisti, Romeo e Giulietta a Los Angeles e Titus nel palazzo dell’Eur. Oltre a tutto il resto. Un altro concetto può essere la “lesa maestà”. Certi puristi non tollerano le contaminazioni citate sopra. Ma è un discorso inutilmente complesso, che porta a una sintesi, al di là delle licenze che può permettersi il cinema: vale la qualità. Grande qualità posseggono titoli come West Side Story e Romeo + Giulietta (di Baz Luhrmann, con Leonardo DiCaprio).

Sono film da cinque stelle. Il primo è un musical che riscrive completamente il testo e vale anche per il travolgente spartito di Leonard Bernstein: vinse 10 Oscar. L’altro è un’invenzione alla Luhrmann, dove i due innamorati si muovono a tempo di rock, in una Los Angeles di adesso, ma dove viene rigorosamente rispettato il testo del Bardo. Mai il cinema è entrato tanto pesantemente su un testo classico come in questo caso. E, parlando di qualità, Luhrmann l’ha ritradotto con grande talento, quasi genialità: la famosa scena sul balcone avviene invece in una piscina e uno dei personaggi più importanti, Mercuzio, è proposto come un divertente, trasgressivo gay.

Tornando al musical Romeo e Giulietta, in lingua originale coi sottotitoli, è firmato da David Leveaux, i protagonisti sono Condola Rashād e Orlando Bloom. La comunicazione puntava naturalmente su Bloom attore di cinema di grande richiamo, diciamo così. Il fatto nuovo sta nei Capuleti, che sono di colore, dunque lo è Giulietta. Un’idea che può starci, a riaffermare in modo ancora più radicale differenza e antagonismo. Va detto che Orlando/Romeo si impegna molto, è costretto a declamare, non può valersi delle pause recitative che offre il cinema. Ma non riesce a uscire dall’immagine di attore di cinema prestato al teatro. E Shakespeare non è semplice. A meno che tu non sia Marlon Brando. Anche lui, una volta, fu prestato a Shakespeare. Accadde nel 1953, nel Giulio Cesare di Mankiewicz. Marlon merita una digressione. Il suo monologo nei panni di Antonio – “… e Bruto è uomo rispettabile” – viene considerato e studiato nelle accademie come il più alto modello di retorica mai composto.

Brando non era uno “shakespeariano”, in teatro aveva rappresentato soprattutto autori americani contemporanei come Ben Hecht e Tennessee Williams. Nel cast del film c’erano attori inglesi, come James Mason (Bruto), soprattutto John Gielgud (Cassio), uno shakespeariano apicale della scuola Old Vic, alla Laurence Olivier. Ebbene, Gielgud si inchinò alla performance del giovane Marlon. Ma Bloom non è Brando, appunto. Il registro degli attori vuole essere attuale e popolare, “giovane” e aggressivo. Tutto “buttato via”. E così i due innamorati di Verona, pure attenendosi al testo originale, sembrano quelli di una sitcom alla Friends che dicono parole diverse. E poi i due protagonisti sanno di “essere” Romeo e Giulietta, toccati dalla grazia e dalla storia, eterne, di Shakespeare, non di Orlando e Condola. E Giulietta, fisico da nuotatrice, è aggressiva, dinamica all’eccesso. Niente della dolcezza e dello charme di quella “vera”.

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