Correte a vedere ‘Aragoste a Manhattan’ | Rolling Stone Italia
A chef movie

Correte a vedere ‘Aragoste a Manhattan’

‘La cocina’ (così in originale) del portentoso messicano Alonso Ruizpalacios starring Raúl Briones e Rooney Mara è un racconto dell’America oggi, una partitura jazz, un capolavoro moderno. Non avete scuse

Correte a vedere ‘Aragoste a Manhattan’

Rooney Mara e Raúl Briones in ‘Aragoste a Manhattan’ di Alonso Ruizpalacios

Foto: Teodora Film

A un certo punto arriva il climax, come dicono oggi (e lo dicono pronunciandolo “clàimax”, sic), la scena che spiega tutto, che porta via tutto. E quella scena – lo sfogo di Pedro (Raúl Briones), immigrato che fa il cuoco al falsissimo/verissimo The Grill di Manhattan – è la risposta a tutti i trumpismi di questo tempo, ai migranti ghiblizzati con l’AI sull’Instagram della Casa Bianca, allo shift dall’America dell’inclusione a quella dell’espulsione.

È il climax de La cocina (titolo italiano fuorviante: Aragoste a Manhattan, nelle sale con Teodora Film dal 5 giugno), che però a quel momento ci arriva per gradi, e senza strilli, anche se Pedro strilla fortissimo. È il climax di un cinema, quello del prodigioso messicano Alonso Ruizpalacios (Güeros, Museo – Folle rapina a Città del Messico, A Cop Movie), che procede sempre come una partitura jazz, per sincopi, depistaggi, improvvisazioni d’ensemble e grandi atti solisti.

La cucina del titolo è quella di un ristorante per turisti dietro Times Square, la Manhattan che nessuno vuole più raccontare (lo ha fatto di recente il primo, sgangherato episodio della nuova stagione di And Just Like That…: la suora turista di Rosie O’Donnell che va prima a vedere Wicked e poi al negozio M&M’s per farsi personalizzare le noccioline fa teneramente ridere); è il cuore di New York che non è più cuore di niente e di nessuno, dunque diventa tavola caldissima (pardon) in quanto a temi messi in vetrina.

C’è l’immigrazione, dicevo, perché tutta la cucina è una specie di controllo immigrazione dell’aeroporto: etnie, provenienze, storie, rinfacci, guerra dei poveri, razzismi fra ultimi, stessi sogni piccoli e bisogni grandi. Pedro è la figura che Ruizpalacios – e prima di lui Arnold Wesker nella sua pièce The Kitchen – sceglie come tramite, simbolo, non-eroe di questo viaggio da fermi. Gli mette accanto Julia (Rooney Mara), cameriera statunitense con altre istanze dell’oggi (la maternità, le scelte sul corpo). C’è un amore, ma si potrà amare lì dentro – o da una parte all’altra di un acquario per aragoste, come nuovi Romeo + Giulietta?

ARAGOSTE A MANHATTAN Trailer ufficiale (dal 5 Giugno al Cinema)

Ma sono le micro storie – amplificate in una scena di pausa dal turno in cui ciascuno racconta la sua versione dei fatti, crudissima e immaginifica insieme – a comporre il tableau generale, a far suonare quell’orchestra jazz. Estela che sostituisce una ragazza che non si presenta al colloquio (uno non vale uno, nell’America di oggi); Nonzo che racconta della strana green light che qualche profugo riesce a scrutare (ma che non porta alla Green Card: Gatsby non abita più qui); il manager Rashid che non sta meglio degli altri, anzi.

L’urlo politico di quel climax, dicevo. Ma La cocina, come tutto il cinema del suo autore, resta un film con un animo gentile, scanzonato, incantato. E anche per questo capace di rendere omaggio all’America (e al cinema americano) che attacca a suon di pignatte e sughi d’arrosto. Il bianco e nero è quello della Hollywood classica. La cucina e tutto il ristorante sono ricostruiti in studio secondo un décor che fa pensare alla sophisticated comedy anni ’30 e ’40. La cinepresa così nervosa e mobile fa venire in mente certe libertà del New Cinema anni ’70 (io ci ho visto in continuazione Lenny di Bob Fosse) o le rapsodie nervose, jazz pure loro, di Woody Allen. Pure i piani sequenza (stupefacente il lavoro del direttore della fotografia Juan Pablo Ramírez) sono più una morbida coreografia di Broadway che un guarda-come-sono-bravo in stile Adolescence (senza offesa).

Le voci soliste che si staccano dal coro (Briones è magnifico, Mara sempre intelligente, nella singola performance e nelle scelte di carriera che fa) sono come quella di Ruizpalacios, nome irrinunciabile della nuova scena centro-sudamericana che fa film grandiosi, gira per i festival, ma sembra non aver ancora trovato il suo vero e dovuto riconoscimento di critica e di pubblico. Anche se siete rimasti in pochi, in questo nostro Paese di sale vuote, provate a darglielo almeno voi.