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Con Jordan Peele l’horror suona totalmente diverso

Se la scrittura è andata al cuore del dibattito che sconquassa la società USA, il nuovo ‘master’ del genere ha cambiato le regole anche dal punto di vista musicale. Da ‘Scappa , Get Out’ a ‘Noi’, ecco le prove. In attesa del prossimo cult: ‘Nope’

Foto: Universal Pictures

Quando nel 1928 Alfred Hitchcock si apprestava a realizzare il suo primo film sonoro, Ricatto (Blackmail), la musica nell’industria cinematografica rispondeva ancora al cosiddetto foglio musicale, una lista di brani redatta appositamente per aiutare gli accompagnatori nella creazione di uno spazio sonoro che fosse appropriato al contesto narrato. Ma l’ossessione di Hitchcock per una nuova via musicale avrebbe “perseguitato” per sempre anche il suo pubblico. Bernard Herrmann, compositore di alcune delle colonne sonore più celebri del cinema di Hitchcock come Psycho e Intrigo Internazionale, ha dichiarato che solamente pochi registi come lui conoscevano realmente la funzione di una colonna sonora e si rendevano pienamente conto dell’importanza del suo rapporto con un film. Per Hitchcock la musica non era solo un accompagnamento, era l’elemento che permetteva di rivelare la psiche dei suoi personaggi.

Nonostante alcune egregie “anomalie” come Carpenter e Romero, che ridefinirono il genere horror negli anni ’80 componendo loro stessi la colonna sonora dei propri film tanto da renderli ancora oggi iconici, fino ad oggi la musica nel genere horror ha sempre cercato di mantenere intatti quegli stilemi che rispondevano in modo didascalico alla narrazione, quasi anticipando l’azione in scena. Nel processo di rinnovamento portato avanti dal nuovo maestro dell’horror Jordan Peele, la musica sta ritornando ad essere parte integrante della narrazione rappresentando quasi un personaggio a sé stante. L’elemento sonoro per Peele si può riassumere perfettamente attraverso le parole del giornalista Aaron Williams: «Brandisce spunti musicali, dall’hip-hop all’R&B al funk revivalista, nel modo in cui Leatherface fa oscillare la sua motosega o come Michael Myers incombe con il suo coltello da cucina. Trasforma uno strumento creato allo scopo di evocare un’emozione in un’arma con la quale colpisce le aspettative del suo pubblico, portando urla di orrore e gioia».

Inizialmente Peele, durante la stesura della sceneggiatura di Scappa – Get Out, si era avvalso unicamente della collaborazione del compositore Michael Abels, partendo dall’idea di come si potesse tradurre in musica, contestualmente alla narrazione, la paura per qualcosa di spaventoso. «Voleva che la voce afroamericana fosse presente sia letteralmente che figurativamente nella musica, così abbiamo parlato di come gli spiritual tendano ad essere portatori di speranza», ha svelato Abels all’Hollywood Reporter. «Quindi ho detto: penso che quello che stai cercando sia una specie di orrore evangelico». Mentre il film era in pre-produzione, Abels ha scritto Sikiliza Kwa Wahenga. Interpretato interamente in swahili, il canto vuole avvertire Chris (Daniel Kaluuya) di “scavare lontano” e salvare se stesso dalla famiglia Armitage, interessata unicamente a farne un involucro da vendere al miglior offerente come metafora dell’appropriazione culturale e fisica da parte dei bianchi: «Fratello, ascolta gli antenati, scappa». Ma cosa può spaventare ancora di più se attraverso le canzoni che rappresentano la cultura pop si manifesta il razzismo sistemico e la condizione sociale americana rappresentato dal nuovo black horror di Jordan Peele?

Come teorizzato dalla docente Katrhyn Kalinak, l’utilizzo delle canzoni nel cinema differisce dalla musica composta in quanto richiama direttamente l’attenzione consapevole dello spettatore così da determinarne il significato in modo più rapido ed efficace: «Le canzoni preesistenti sono immediatamente riconoscibili, possono collegarsi a vicende personali dell’ascoltare e scatenare nello spettatore ricordi, esperienze ed emozioni potenzialmente in contrasto con le esigenze drammatiche del film». Inoltre, la colonna sonora mixtape, così definita dalla musicologa Anahid Kassabian, rende possibili processi di identificazione di nuovo tipo per il pubblico, creando nuove opportunità per stabilire una relazione identitaria con il film in cui possono essere ascoltate voci alternative, in particolare delle minoranze. L’elemento che ha reso il cinema di Peele così unico è il modo in cui la musica viene utilizzata per costruire una doppia narrazione parallela, rappresentando un elemento unico e affascinante che lo distingue dalla maggior parte dei film di genere. Se infatti in Scappa – Get Out la musica esercitava il ruolo di guida spirituale per Chris, in Noi si alterna perennemente il significato del doppio inteso come rappresentazione sociale degli Stati Uniti moderni, un Paese segnato dalle soglie profondamente divisorie della stratificazione sociale.

Secondo David Vanden Bosschd, docente di Studi cinematografici presso l’Università del Wisconsin-Madison, la musica in Noi gioca un ruolo fondamentale perché attraverso l’uso di alcuni temi musicali ricorrenti altera e sovverte in modo significativo le questioni del razzismo e della stratificazione di classe che Peele vuole esplorare. «Durante il prologo, la giovane protagonista indossa una t-shirt di Thriller di Michael Jackson: una dichiarazione piuttosto ironica, dato che questa icona della musica afroamericana ha fatto di tutto per essere percepita come la più bianca possibile. Questa idea che la cultura afroamericana non possa esercitare la propria identità si evidenzia in tutto il film, in particolar modo nell’utilizzo di I Got 5 on It dei Luniz. Questa canzone è un esempio modello di cultura afroamericana istituzionalizzata che è stata privata di qualsiasi rilevanza politica o sociale e serve solo a una narrativa culturale omogeneizzante che collega la cultura nera all’abuso di droghe e a molti altri stereotipi».

«Quella “forma grezza” emerge anche nell’uso di un’altra canzone, che contrasta il successo dei Luniz: Fuck tha Police degli N.W.A.», continua. «Se la canzone dei Luniz rappresenta la versione addomesticata dell’accettabile cultura afroamericana, N.W.A scopre i sentimenti di frustrazione, rabbia e perdita che sono oscurati dalla forma patinata appropriata». In un’intervista per IndieWire, Peele ha commentato il fatto che il significato della canzone nel film assume due funzioni differenti: da un lato viene gestita come uno scherzo morboso – viene riprodotto quando l’assistente vocale interpreta erroneamente una delle richieste dell’abitante di chiamare la polizia – dall’altro la canzone aggiunge un ulteriore livello di significato alla scena. «Commenta il modo in cui l’ambiente culturale più ampio si appropria di alcuni elementi dell’identità culturale afroamericana e li priva di ogni possibile controversia o significato».

Lo stesso regista ha sottolineato l’importanza di un’altra canzone nel film, presente nella stessa scena di Fuck tha Police: Good Vibrations dei Beach Boys. Ovviamente, anche l’uso del classico del 1966 non è privo di significato: è risaputo che i membri del gruppo, contraddicendo la mitologia popolare creata intorno alla band, in realtà non avevano nulla a che fare con la cultura del surf e non erano affatto surfisti esperti. «È proprio questo elemento che entra in gioco durante la straziante scena in cui viene suonata la canzone: riecheggiando chiaramente Scappa – Get Out, l’intera scena è incentrata su una famiglia bianca che si presenta come l’apice della correttezza politica quando si tratta di affrontare questioni di razza e classe, ma che in realtà fa parte della spina dorsale del sistema che sostiene queste linee di segregazione. Una canzone di surfisti che non hanno mai effettivamente surfato diventa così la colonna sonora della brutale scomparsa di autoproclamati idealisti culturali che non hanno la resistenza per sostenere le proprie idee».

«Jordan è molto intelligente ed esperto di musica, e sa esattamente cosa vuole», ha detto Mike Knobloch, presidente di Universal Pictures Film Music. «Fin dall’inizio della produzione, non riesco a ricordare un momento in cui Good Vibrations non fosse la canzone di quella sequenza: era una scelta creativamente molto potente da parte di Peele, e non solo perché non era la musica che ti saresti aspettato in quella scena». Ogni elemento sonoro può spaventarci, dal classico jump scare a una registrazione vocale, e il modo in cui questi elementi culturali possono essere ribaltati è diventata una peculiarità anche per la casa di produzione del regista, la Monkeypaw Productions, i cui film e serie tv, come Candyman e Lovecraft Country, reinterpretano alcuni classici della musica afroamericana donandoli di una nuove veste.

«A completare il notevole uso delle canzoni in Noi c’è l’ingegnoso tocco che Peele aggiunge nel finale, quando la hit di Luniz ritorna in una versione più cruda che libera la canzone dal suo machismo e dagli stereotipi razziali. In Noi si instaura lo stesso dialogo tra il film e le canzoni di accompagnamento: mentre i personaggi del film sono perseguitati dai fantasmi di cose che sono state sepolte per troppo tempo, le canzoni sono lì per ricordarci che, attraverso un processo di appropriazione, gli elementi culturali sono stati ridotti allo status di accessori: squisiti ma innocui».

Come raccontato da Michael Abels a Composer Magazine, «a volte Jordan sperimenta ciò che la musica che si trova in un posto diverso può rivelare del film e sui personaggi», come si nota anche nel suo nuovo film Nope, in uscita in Italia l’11agosto. «Ci sarà qualcosa che non funzionerà totalmente, e ci sarà qualcosa che lo farà sembrare un genio solo per il modo in cui è capace di “muovere” la musica. Ma Peele prenderà anche la musica e la sposterà in una scena completamente diversa. Puoi sentirti come se fossi estraniato dalla narrazione, oppure puoi considerarlo una sorpresa davvero unica».

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