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Com’è ‘Asteroid City’, l’odissea nello spazio di Wes Anderson

La nostra recensione da Cannes dell’attesissimo nuovo film dell’autore dei ‘Tenenbaum’. Un super cast, da Tom Hanks a Scarlett Johansson, il solito décor stavolta 50s e la voglia mai sopita di raccontare storie
Jason Schwartzman, Wes Anderson, Scarlett Johansson e Tom Hanks sul red carpet di Cannes per 'Asteroid City'

Foto: Andreas Rentz/Getty Images

È l’extraterrestre tenero e inoffensivo – anzi, un po’ timido – che si mette pure in posa per la foto, ma è anche, di sicuro, quei ragazzini prodigio più intelligenti degli altri, buffi geni precoci che vogliono farsi notare e, come lui, si sentono fuori dal mondo. Perché una sola cosa è certa: in un film di Wes Anderson, Wes Anderson c’è sempre. Lo vedi, lo senti, lo “riconosci”. Lui, l’alieno del cinema, uguale a nessun altro: texano di un altro pianeta, orgoglioso della sua diversità, inclassificabile se non nella sua squadra, sempre quella, di amici e fedelissimi, banda a parte di un’isola che non c’è.

Autore per definizione imprevedibile che, per sopravvivere alla noia della pandemia, ha girato la sua personalissima quarantena: bloccando per giorni, negli anni ’50 dei test nucleari e della corsa allo spazio, un variegato gruppo di personaggi ad Asteroid City, la città immaginaria che dà il titolo al suo ultimo film (nelle sale italiane dal prossimo 14 settembre). La stessa dove un giorno invece dell’eclissi arriva uno smilzo E.T., lasciando tutti a bocca aperta. E costringendo l’American way of life a una convivenza forzata ma che per molti si rivelerà non così spiacevole.

Costruito a vasi comunicanti, in un gioco di scatole cinesi, come una pièce teatrale raccontata da un drammaturgo – in 4/3 e in bianco e nero – che viene, via via, messa in scena per il nostro divertimento, lasciando che, con ironico cortocircuito, i personaggi di un universo narrativo si ritrovino, magari per errore, nell’altro, il film – come d’abitudine corale, coloratissimo e affollato di star (da Tom Hanks a Scarlett Johansson, da Jason Schwartzman a Margot Robbie, da Bryan Cranston, nel ruolo del narratore, a Steve Carell, da Matt Dillon a Tilda Swinton… molti dei quali ieri sul red carpet del Festival di Cannes) – è in pieno mood andersoniano, con il cineasta che una volta di più conferma il suo straordinario sguardo da illustratore nella ricostruzione fantastica di un’epoca in cui il fumetto incontra il realismo romantico alla Rockwell, in una ricerca figurativa di contagiosa leggerezza.

Ma se il décor e il concetto di spazio e di rappresentazione (dove tutto, anche una città che pare di cartone, diventa palco, non luogo) restano il punto di forza dell’idea cinematografica di Asteroid City, il rischio per il regista americano è quello di diventare un po’ “alla maniera di” (sé stesso), rivelando nella ripetizione anche buffa ma a tratti noiosa di stilemi mandati a memoria una voce (e un’ispirazione) che si è fatta nel corso del tempo più sottile, come se avesse (o, semplicemente, ci fosse) meno da dire. Ma forse il gioco vale ancora la candela e tutto fa parte del percorso, del viaggio. Quello che, a quarantena finita, si può finalmente riprendere. Nella speranza che qualcuno ci sussurri: “Non fermarti: continua a raccontare la storia”.

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