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Chi ha paura di Miles Teller?

Di sicuro non noi: l’ex (presunto) stronzo di Hollywood torna alla grande mettendo a segno tre colpacci, tra cui ‘Top Gun: Maverick’. E dimostrando a tutti che risorgere, dopo che si è stati dati per spacciati, è possibile

Foto: Paramount Pictures

Tutte le volte che mi capita tra le mani un ritratto di Miles Teller, viene puntualmente citata la famosa intervista del 2015 di Anna Peele su Esquire in cui gli si dà senza troppe mezze misure dello stronzo. Non so in quanti si siano presi la briga di leggerla per intero, ma in caso non siate tra questi ve lo anticipo io: è al limite dell’imbarazzante. E non per colpa di Teller. Peele esordisce così: «Sei seduto di fronte a Miles Teller al ristorante Luminary di Atlanta e stai cercando di capire se è un coglione. Gli hai appena detto, per fare conversazione, che secondo la leggenda la coppa di champagne che hai in mano ha la forma del seno sinistro di Maria Antonietta». Ora, non so quanti si siano trovati davanti a una perfetta sconosciuta che pensa bene di cominciare una chiacchierata discutendo di tette, ma il buon Miles non si lascia intimidire e formula una risposta da manuale: «Gli highball glass (i bicchieri cilindrici, lunghi e larghi, utilizzati solitamente per servire il gin tonic, nda) sono modellati sulla forma del mio cazzo».

E ancora: «Gli chiedi dei suoi capelli, dato che ha tirato fuori quanto sia bello in più di un’intervista. È un po’ sulla difensiva, come se si stesse riappacificando col fatto di non essere il ragazzo più bello in qualsiasi film dove ha recitato (…) Il naso è storto, le palpebre carnose, il mento morbido, le guance arrossate. Ha ragione: ha dei bei capelli, folti. È alto e muscoloso, con una bella abbronzatura. È attraente, un ragazzo di bell’aspetto che non dovrebbe saperlo, che dovrebbe credere ai commentatori, peccato che esca con una modella/aspirante stilista/fidanzata di ventidue anni che crede sia abbastanza seducente da tatuarsi le iniziali di Teller sul suo culo perfetto». Due pensieri automatici: cosa sarebbe accaduto se al posto di Miles Teller ci fosse stata una donna? Peele avrebbe avuto il coraggio di usare le stesse parole e lo stesso approccio? Ma anche: se una celeb si rende conto di avere a che fare con un intervistatore scarso, non dovrebbe essere autorizzata a trattarlo in quanto tale?

Miles Teller in ‘Whiplash’ di Damien Chazelle. Foto: Sony Pictures

Chiusa parentesi: Miles Teller è uno bravo, ha mille e più talenti, possiede una voce sexyssima, forse è uno stronzo, forse no, ma a noi che ci frega. Nato nel 1987 a Downingtown, Pennsylvania, vanta origini ebraiche, russe, inglesi, irlandesi, polacche e francesi. Da ragazzino impara a suonare il sassofono, la batteria, il pianoforte e la chitarra, si laurea in Arti visive alla Tisch School of Fine Arts della New York University e studia il Metodo al Lee Strasberg Theatre and Film Institute. Si fa le ossa in un po’ di cortometraggi, e nel 2010 arriva la grande occasione con Rabbit Hole di John Cameron Mitchell, al fianco di Nicole Kidman e Aaron Eckhart: Teller racconterà poi con una certa tenerezza d’essere stato talmente intimidito da superare a malapena la prima scena con quest’ultimo. Dopo arrivano il remake di Footloose di Craig Brewer, The Spectacular Now insieme a Shailene Woodley, Un compleanno da leoni di Jon Lucas e Scott Moore, e nel 2014 bussa alla porta Damien Chazelle, che lo vuole in Whiplash nel ruolo del giovane batterista jazz Andrew Neiman, tiranneggiato dall’inflessibile e spietato direttore d’orchestra Terence Fletcher (un J.K. Simmons che nel 2015 vincerà l’Oscar, il Golden Globe e il BAFTA come miglior attore non protagonista).

Sempre nel 2014 è nel cast del fortunato Divergent di Neil Burger, nonché dei successivi sequel: Insurgent (2015) e Allegiant (2016), entrambi di Robert Schwentke, dove divide la scena con Shailene Woodley, Theo James e Zoë Kravitz. Nel 2015 Teller non ha manco trent’anni, è travolto da un improvviso successo e di tanto in tanto si fa scappare qualche spacconata, al punto da conquistarsi la fama dello stronzo gradasso (rimarrà negli annali il suo tweet di risposta all’articolo di Peele: «Non credo ci sia nulla di figo o divertente nell’essere uno stronzo o un coglione»). Mettici quello, mettici che pare non imbroccare più un film (il reboot dei Fantastici Quattro, Get a Job, Trafficanti, Bleed – Più forte del destino, Fire Squad – Incubo di fuoco e Thank You for Your Service: uno più dimenticabile dell’altro), mettici che Chazelle – nonostante l’interessamento iniziale – gli preferisce Ryan Gosling per la parte di Sebastian Wilder in La La Land: morale, quasi tutti lo danno per fatto e finito, uno la cui carriera è morta sul nascere.

Miles Teller è il produttore del ‘Padrino’ nella miniserie ‘The Offer’, ancora inedita in Italia. Foto: Paramount+

Esce un’intervista su Vanity Fair, e lui, da uomo ferito ma scaltro, pesa bene le parole: «Credo fermamente che tutto accada per una ragione. Sono felice che Damien abbia realizzato il film che voleva fare. Non sono invidioso delle buone recensioni: ci sono film che sono stati recensiti malissimo a cui comunque tengo. Una volta che inizi a provare invidia per i riconoscimenti altrui, i riconoscimenti che riceverai non saranno mai abbastanza». Hollywood pare ripensarci: magari non è un totale coglione, magari era (è) un ragazzino un po’ impreparato a gestire le luci della ribalta. Nel frattempo, Teller è nella miniserie di Nicolas Winding Refn Too Old to Die Young, uscita nel giugno 2019 su Amazon Prime Video e accolta con giudizi estremamente discordanti di critica e pubblico, dopodiché scompare per tre anni, salvo tornare nel 2022 in una forma a dir poco smagliante.

L’ex (presunto) stronzo mette a segno tre colpacci uno dietro l’altro: prima The Offer, miniserie creata da Michael Tolkin e distribuita da Paramount+ che narra le vicende dietro la produzione del Padrino, nel ruolo del mitico produttore Albert S. Ruddy. Poi nella parte più difficile, quella di Bradley Bradshaw detto Rooster, figlio del Goose morto in missione accanto a Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise) nel riuscitissimo Top Gun: Maverick, sequel del cult anni ’80 firmato Joseph Kosinski che è l’asso pigliatutto di questa calda estate post-pandemica. Infine, nel film arrivato in cima alle classifiche mondiali di Netflix soltanto un giorno dopo la sua uscita, ossia Spiderhead (di nuovo diretto da Joseph Kosinski), thrillerone al fianco di Chris Hemsworth. Tre performance diversissime tra loro in cui dimostra una bravura sconcertante, con quella sua faccia vagamente da vecchia Hollywood, le cicatrici sulle guance e sul collo ricordo di un incidente automobilistico del 2007 che no, non ha voluto cancellare.

Tutti lo venerano, tutti lo desiderano, tutti hanno dimenticato il Miles Teller spaccone che paragonava gli highball glass alla forma del suo pisello: la stampa e il pubblico s’infiammano con la stessa facilità e rapidità con cui s’indignano, perché il problema sta ancora nella nostra incapacità di separare l’individuo dall’artista, il talento dalle dichiarazioni, la bravura a fare il proprio mestiere dagli scivoloni personali. Forse, col senno di poi, Anna Peele oggi potrebbe mettere una pezza alla rovinosa intervista su Esquire chiedendogli proprio questo: come si fa a risorgere quando non hai più credibilità e il mondo ti considera un mezzo coglione, dandoti per spacciato? Scommetto i miei due soldini che Teller apprezzerebbe più questa, che una domanda sui suoi capelli: magari esibirebbe un dito medio, ma di sicuro gradirebbe l’impegno.

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