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Checco Zalone è il premier che vorremmo

Perché è l'unico che sa parlare a tutti gli italiani (sì: tutti). E perché nel nuovo film 'Tolo Tolo' lancia un messaggio antifascista e antirazzista forte e chiaro. Rischiando come nessun altro

L’italiano col borsello Louis Vuitton e la cintura Gucci, chi se ne importa se veri o tarocchi. L’italiano con improvvisi attacchi di fascismo. L’italiano eterna vittima: dello Stato, della famiglia, delle sue stesse scelte che però fa sempre passare per sventuratissimi destini. L’italiano capra che scambia Neruda per un pittore. L’italiano vanesio ossessionato da creme e cremine per il contorno occhi. L’italiano che non usa i congiuntivi ma fa carriera nelle istituzioni: ogni riferimento a persone reali, eccetera. Soprattutto, l’italiano razzista: dell’Africa gli va bene solo la gnocca.

Lo disegna Checco Zalone nel suo Tolo Tolo, quinto film di cui è protagonista e primo da regista (as Luca Medici), al cinema a Capodanno. E pure quello in cui ci va giù più pesante. Del resto, è l’unico italiano che può parlare a tutti gli italiani, più di premier e ministri, più di conduttori e (certamente) intellettuali, a patto che ne siano rimasti. Tutti vuol dire: tutti. Non serve ricordare che Quo vado?, uscito nel 2016, ha incassato 65 milioni di euro e spicci. Il film italiano che ha guadagnato di più nel 2019 è Il primo Natale con Ficarra e Picone: giusto oggi ha superato i 10 milioni. Le differenze trovatele voi.

Dunque, Checco l’arcitaliano contro gli italiani tutti, o forse proprio tutti no. Di certo contro la maggioranza non più silenziosa, ma anzi esondata e spesso esodata, xenofoba e machista, analfabeta e tracotante. Detto così pare un’inchiesta di MicroMega, fortuna Zalone (featuring Paolo Virzì al copione) ci mette lo sberleffo, in forma di battuta o, ancora meglio, di canzone: vi basti la rima, nel finale alla Mary Poppins, “la cicogna strabica / porta i bambini in Africa”.

La trama di Tolo Tolo si riassume in poche righe: Checco che al paesello sperduto nelle Murge non riesce a sfondare (c’ha provato pure con un sushi bar: ma poi l’Iva, le tasse, l’incomprensione generale) va in Kenya a fare il cameriere in un villaggio per italiani cafoni. Scoppia la guerra civile, si trova costretto a mettersi in viaggio coi migranti. Il viaggio al contrario è il pitch (si dice così) vincente, anche se in tanti non lo capiranno. I turboleghisti, con tutta probabilità, non coglieranno la disperata ironia alla Age e Scarpelli. Da sinistra, invece, arriveranno le critiche da editorialisti del Bar Luce: è troppo edulcorato, a quei poveri cristi mica va così liscia, le prigioni libiche sono un’altra cosa (perché ci siamo stati tutti, no?). Hai voglia a dire: è una commedia. Anzi: una commedia pura, con la solita maschera al centro e attorno tutte le altre, i parenti serpenti e gli africani eruditi, il Sud che campa di assistenzialismo e il Nord che s’inventa fantomatici Festival della Contaminazione (ancora rido).

Forse proprio perché sa di essere protetto, agli occhi di chi guarda, dalla commedia, Checco stavolta si prende tutti i rischi: la scena del naufragio del barcone nel Mediterraneo diventa un musical balneare alla Esther Williams; la spartizione dei migranti tra i Paesi dell’Unione Europea è una specie di lotteria televisiva con il jingle di Ok, il prezzo è giusto! in sottofondo; le coperte isotermiche dorate consegnate ai naufraghi si trasformano, nelle mani del protagonista, in uno specchio abbronzante. Ci leviamo il cappello di fronte a cotanta spericolatezza, in un’epoca in cui tutti hanno paura di dire qualsiasi cosa, in cui la complessità (pure dell’ironia) fa spavento, in cui bisogna fare massima attenzione a non offendere nessuno.

E, per la prima volta, Zalone/Medici non fa sconti a quell’italiano lì: l’italiano incolto, griffato, incremato, ma anche ancora qualunquista, sempre razzista, di nuovo fascista. C’è più rabbia che tenerezza, più rassegnazione che accondiscendenza. O meglio: Checco, grazie a quel viaggio, si salva. Ma a tutti gli altri basterà andare in massa al cinema per vedere con occhi nuovi l’immigrato? (Che, non dimentichiamolo, fa rima con “chi ha lasciato il porto spalancato?”. Meno male che Checco c’è).

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