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Cannes è di nuovo fortissimamente Cannes

Dopo la svolta più pop degli scorsi anni e con la vittoria scontata (ma non per questo meno giusta) del regista dissidente iraniano Jafar Panahi, il Festival torna a investire in un cinema più squisitamente d'auteur, più "piccolo" se vogliamo, ma dal fortissimo ritorno in termini di impegno e di sguardo sul presente. E lo fa in un cartellone molto solido, capace di coniugare poetiche e sentire comune

Cannes è di nuovo fortissimamente Cannes

'Un simple accident' di Jafar Panahi

Foto: courtesy ofFestival di Cannes

La fine è nota: e, diciamocelo, per una volta anche scontata. Ma non per questo meno giusta, meno opportuna. La vittoria – meritata – della Palma d’oro di Jafar Panahi con Un simple accident, un film secco, schietto e con la schiena dritta assai, apologo implacabile e potente sull’inutilità della vendetta (no, non è solo “un semplice incidente“…) e sul rifiuto di chi è stato vittima di trasformarsi in carnefice, parte da lontano; e il luogo del “delitto” è sempre lo stesso.

Anche quell’anno, il 2010, eravamo a Cannes: Juliette Binoche era la protagonista di Copia conforme del padre di tutti i registi iraniani, Abbas Kiarostami. Alla domanda di una giornalista che le faceva presente della decisione di Panahi, arrestato dal regime, di iniziare lo sciopero della fame, scoppiò in lacrime. Un pianto rabbioso e irrefrenabile, oltre che empatico ed emozionante, che fece il giro del mondo.

It Was Just an Accident new clip official from Cannes Film Festival 2025

Quindici anni dopo, Binoche a Cannes è presidente della giuria, Panahi in concorso con un gran film: come poteva andare a finire? Una vittoria che era nelle premesse, quindi (capita: a Venezia il presidente Bertolucci si ritrovò in concorso Godard: Leone più telefonato di così era difficile…), ma non per questo, è bene ripeterlo, inopportuna. Il regista iraniano è infatti arrivato sulla Croisette con un film molto forte, girato in clandestinità, acclamato dalla critica e capace di toccare, non superficialmente, il pubblico.

Il Festival, facendolo trionfare (e permettendogli di chiudere un clamoroso triplete: Panahi infatti aveva già vinto a Venezia con Il cerchio e a Berlino con Taxi Teheran), lancia, inoltre, due messaggi importanti a livello politico e artistico: da una parte cerca di mettere al sicuro un regista, già incarcerato e torturato dal regime iraniano, che adesso, con la visibilità  di questo premio, sarà forse più difficile “toccare”; dall’altra, dopo una serie di Palme più pop (Triangle of Sadness, Anatomia di una caduta, Anora…), torna a investire con maggiore incisività in un cinema più squisitamente d’autore, più “piccolo” se vogliamo, ma dal fortissimo ritorno in termini di impegno e di sguardo sul presente.

The Secret Agent new clip official from Cannes Film Festival 2025 (2/2)

Ma quindi, archiviata la Palma, come sta il Festival di Cannes? Bene, grazie: e voi? Il concorso, in particolare, quest’anno ha dimostrato una grande dinamicità, con una ricchezza di titoli buoni quando non ottimi e poche, se non pochissime cadute (il mio peggio è Die, My Love di Lynne Ramsay; quello dei critici internazionali, ahimè, è Fuori di Mario Martone, mentre i francesi hanno bocciato senz’appello Alpha, relegando la Ducournau, esaltata forse frettolosamente per Titane, al contrappasso).

Subito centrato, nel tentativo, al di là dei soliti fedelissimi (i Dardenne, che però non sbagliano un colpo), di inseguire un ricambio generazionale quanto mai necessario (il concetto? Meglio un film bello di un autore non particolarmente conosciuto e di richiamo, ma nato magari negli anni ’80, che uno brutto di un venerabile e ottuagenario maestro che ormai ha esaurito la vena), il Festival ha proposto un cartellone solidissimo, capace di coniugare autorialità e sentire comune. 

In tutto questo, il passe-partout è stata la famiglia, i suoi conflitti, le sue storie: mai come in questo caso dominante, in particolare al femminile. A portare sullo schermo storie – e crisi – universali, mettendosi in spalla uno zaino di dubbi, di rancori o semplicemente di affetti, sono le figlie: quella (anzi quelle) di Sentimental Value di Joachim Trier, alla resa dei conti, tra cinema e verità, con il padre; quella di Alpha, ghettizzata, emarginata e difesa solo da una famiglia disfunzionale; quella di Renoir di Hayakawa Chie, costretta ad accompagnare il padre all’addio. Ma anche la suora mancata della Trama fenicia di Wes Anderson, costretta ad avere che fare con un padre piuttosto complicato. La famiglia spezzata di Woman and Child e di Sirât; quella di fatto, all’insegna della sorellanza, di Fuori; quella in nuce, e già in grandissima crisi, di Die, My Love. O quella che manca, di cui cerca di riappropriarsi la protagonista di Romería di Carla Simón. 

Sentimental Value new clip official from Cannes Film Festival 2025

Sono le adolescenti come lei le grandi protagoniste dell’edizione 78, il Festival delle ragazze: quelle del bellissimo Sound of Falling, unite da un filo rosso che si dipana nel corso del tempo, ma anche la protagonista di La petite dernière, sospesa tra ricerca dell’identità e fede, fino alle madri ragazzine dei Dardenne.

Il resto non è mancia, ma politica. Quella che esce forte non solo dal film di Panahi, ma anche, con sguardo retroattivo, dal premiatissimo brasiliano O agente secreto (Prix de la mise en scène a Kleber Mendonça Filho e Prix d’interprétation masculin a Wagner Moura) e Two Prosecutors di Sergei Loznitsa, dimenticato del palmarès. In Dossier 137 irrompe poi il passato più recente (gilet gialli e sbirri violenti), mentre Eagles of the Republic affonda la lama nell’Egitto del presente. È il mondo, è la vita: è, fortissimamente, Cannes.

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