Nell’anno in cui muoiono tutti, ma proprio tutti, cosa dobbiamo dire ancora, a parte che ormai ci arriviamo preparati. Il Novecento ha fabbricato, in due-tre decenni, tutte le icone pop (pardon) che ci portiamo fino ad oggi, e che questo nuovo secolo inutile uccide una alla volta. Poi però muore Brigitte Bardot, e puoi mica stare zitto.
“Non è Dio che ha creato gli uomini, sono gli uomini ad aver creato Dio”, dice Fritz Lang nel Disprezzo di Godard. E Dio creò la donna è il titolo francese del film di Roger Vadim che ha creato BB (da noi Piace a troppi: per una volta non so chi vince la gara di sessismo, però che titoli bellissimi entrambi). Il cinema creò BB, bambola Sixties che non assomigliava a nessun’altra. Non alle bombe americane alla Marilyn, disegnate come un fumetto ma schiacciate dallo sguardo altrui; non le maggiorate italiane, prorompenti ma castigate dai costumi local. BB, in fin dei conti, si è creata da sola.
BB era la Francia e la liberazione: sessuale, culturale, politica. Piace a troppi è del ’56, ma lei sembra già un’attrice (una donna) di dieci anni dopo o poco più, quando esploderà tutto. È stata pioniera probabilmente a sua insaputa, ma consapevole del fatto che essere troppo bella poteva essere sì un’arma di seduzione, ma anche di distruzione: dell’ordine, della noia, di tutto quello che c’era prima.
Brigitte è da subito “la ragazza del peccato”, come da titolo (italiano) di un film di due anni dopo, che porta “a briglia sciolta” (idem) lo scompiglio dei bikini e dei je m’en fous, l’unica descrizione possibile per quel broncio lì che nessuna ha mai potuto imitare. Ma anche la Marianna di Francia che diventa simbolo di tutti: bellissima ma popolare, moderna ma a suo modo raggiungibile.
È “il disprezzo”, per tornare al suo unico film con Godard (il film più bello di BB?), con cui guarda tutto e tutti, facendo girare a tutti la testa e, per questo, costringendo a cambiare la morale comune, ma continuando a ridere delle piccinerie degli altri.
Ha traghettato la produzione francese dal cinéma de papa alla Nouvelle Vague, l’hanno diretta tutti o quasi – Malle, Truffaut, Clouzot, Duvivier, Autant-Lara – e spesso non nei loro film migliori; ma alla fine il cinema ha vinto in ogni caso, perché ci si ricorda solo di lei. È stata moglie e pistolera, puttana e madonna, assassina e sirena del Mississippi. Ha cantato le spiagge di Saint-Tropez e ha preso in giro il suo stesso mito con un altro mito, cioè Serge Gainsbourg. La loro Bonnie and Clyde è stata anche, indirettamente, un modo per spernacchiare l’America, che l’ha sempre corteggiata (come tutti) e a cui lei, fiera provinciale, non ha mai ceduto.
È stata amata da tutti ma, in fondo, sempre sola in mezzo ai suoi animali, in anni in cui non era di moda né l’animalismo né niente. Si faceva quel che si voleva fare e basta, mica per collezionare cuoricini. Era diventata una vecchia megera isolata e sempre bellissima, un po’ destrorsa chissà se per posa o per davvero, chiusa nel suo fortino anti-invasione tra una Maga Magò e un’Oriana Fallaci piena di rabbia e d’orgoglio. Il paradosso era che sembrava voler difendere un’idea di Francia più vecchia ancora di quella che aveva spazzato via lei coi suoi film, con sé stessa.
Era stata la presenza erotica del dopoguerra – dallo schermo a Warhol, dalle camicie annodate sull’ombelico alle paparazzate con Gigi Rizzi, a tutte le citazioni e le dediche in tutte le canzoni possibili: Bob Dylan, Baglioni, il trenino di Capodanno – e poi la grande assenza. Fatta la rivoluzione, puf!, Brigitte non c’è più. Più Garbo che Mina, o forse nessuna delle due.
Initials B.B. era il titolo dell’album di Gainsbourg dove canta anche lei. Per una a cui davvero bastavano solo le iniziali, che sarà mai la morte. Je m’en fous.









