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Bello, bravo, furbo e inafferrabile: evviva John Krasinski

Dal boom con ‘The Office’ alla consacrazione con ‘A Quiet Place’, passando per tanto cinema d’autore, invenzione come ‘Lip Sync Battle’ e ‘Jack Ryan’. Ecco perché non si può più fare a meno di lui

Foto: Charley Gallay/Getty Images for Turner

John Krasinski me l’immagino come il classico tipo che porti a casa a conoscere i genitori e sai già con un certo anticipo che andrà tutto liscio, che non ci saranno attriti o disagi, che piacerà tanto a tua madre e che a fine cena si farà un cicchetto con tuo padre in balcone. John Krasinski sembra – anzi, è – il bravo ragazzo, anzi, ragazzone (un metro e novantuno: «John Krasinski altezza» è nella top search di Google, ché passano gli anni, ma «altezza mezza bellezza» non passa mai) per antonomasia: simpatico, rassicurante, solido.

Bostoniano, classe 1979, la sua è la tipica parabola di qualsiasi ragazzo benestante – ma c’è chi preferirebbe l’accezione/accusa “privilegiato” – del New England: famiglia cattolica, papà medico di origine polacche, mamma infermiera di origini irlandesi, studi alla Brown, laurea in drammaturgia, trasferimento a New York con un sogno in testa, recitare. Inizia a farsi le ossa alla corte di Conan O’Brien nel 2000, come sceneggiatore per il suo Late Night with Conan O’Brien, e intanto arrotonda con particine in spot pubblicitari, spettacoli off-Broadway, show televisivi. Nel 2004, la svolta: viene scelto per la sitcom creata da Ricky Gervais in onda su NBC The Office, riuscito remake dell’omonima serie cult britannica, insieme a Steve Carell, Rainn Wilson e all’ex compagno d’università B.J. Novak. Il suo Jim Halpert passerà alla storia come l’impiegato intelligente che non si applica: pigro, dispettoso, un po’ bambinone, amante degli scherzi scemi ai danni del ligissimo e pignolissimo Dwight, con una cotta al limite dell’adolescenziale per la segretaria Pam. The Office va in onda dal 2005 al 2013, conquistando cinque Emmy (su quarantadue candidature), un Golden Globe a Steve Carell, due Screen Actors Guild Award (su tredici candidature).

In otto anni, Krasinski dirige alcuni episodi debuttando con il quindicesimo della sesta stagione, Sabre, con Kathy Bates come guest star d’eccezione: la regia, più che un hobby, diventa una specie di pallino, coltivata di pari passo alla recitazione, dimostrando una certa furbizia e lungimiranza. Più o meno nello stesso periodo – siamo nel 2009 – si fidanza con Emily Blunt, quella Emily del Diavolo veste Prada che lui si narra abbia visto settantacinque volte prima di chiederle di uscire. Esagerato, sì, ma tanto tenero. I due si sposano a Cernobbio, su quel ramo del lago di Como, l’anno dopo: John ai tempi ha già alle spalle un film, e mica un film da ridere. Dopo aver lavorato con George Clooney in In amore niente regole, infatti, decide di prendere la raccolta di racconti di David Foster Wallace – Brevi interviste con uomini schifosi –, di farci un film e di produrlo pure.

Brief Interviews with Hideous Men viene presentato al Sundance, e, sorpresa, nonostante il materiale “scivoloso” (DFW va maneggiato con parecchia cura, è cosa ormai nota) riceve critiche per la maggior parte positive: il New York Times e il New York Daily News lodano l’ambizione e il coraggio di John, che intanto macina commedie romantiche (American Life di Sam Mendes ed È complicato di Nancy Meyers, performance unanimemente definite «terrific»). Doveva essere Steve Rogers/Captain America in Captain America: The First Avenger, ma il ruolo andò a Chris Evans: col senno di poi, meglio così. Nel 2012 torna al Sundance con Nobody Walks di Ry Russo-Young, al fianco di Olivia Thirlby, film che vince il premio speciale della giuria; poi recita, co-scrive e co-produce insieme a Matt Damon Promised Land, basato su un racconto di Dave Eggers e diretto da Gus Van Sant. A questo punto la domanda è più che lecita: a John è venuta la puzzetta sotto al naso? Macché.

Dato è che è simpatico, in gamba, e sa benissimo che agli americani piace da morire cazzeggiare, s’inventa uno dei programmi più divertenti (e demenziali, ma provateci voi a non ridere) della tv statunitense. In coppia con Stephen Merchant, che conosce dai tempi di The Office, s’inventa e produce Lip Sync Battle, un reality show musicale condotto dal rapper LL Cool J e dalla modella Chrissy Teigen dove diverse celebrity si sfidano, appunto, a suon di lip sync. La prima puntata del programma, andata in onda il 2 aprile 2015 su Spike (poi Paramount Network), sfonda letteralmente gli indici d’ascolto, e Lip Sync Battle prosegue per cinque stagioni, trasformandosi in un successone. Se un giorno vi doveste svegliare tristi o di cattivo umore, le puntate con Tom Holland che canta e balla – perfettamente! – sulle note di Umbrella o con Channing Tatum che si cimenta nella sua personale versione di Beyoncé sono in grado di rimettervi in pace col mondo, parola di chi ce li ha salvati tra i preferiti.

Rimanendo in tema di buonumore, nel 2016 Krasinski torna a collaborare con Matt Damon co-producendo il drammone Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan: ha fiuto, perché la pellicola vince l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale e per il miglior protagonista maschile, Casey Affleck. Lo stesso anno, una valle di lacrime dopo, dirige Sharlto Copley, Charlie Day, Richard Jenkins e Anna Kendrick in The Hollars, commedia in cui «affronta il genere più cliché nel mondo del cinema: il dramma familiare disfunzionale», cavandosela «con umorismo e compassione non comuni», secondo l’edizione americana di Rolling Stone. Kathryn Bigelow lo vuole per un ruolo in Detroit, ricostruzione romanzata degli scontri che ebbero luogo a Detroit nel luglio del 1967; infine arriva il 2018 e il fenomeno-Krasinski esplode. Dopo Alec Baldwin, Harrison Ford, Ben Affleck e Chris Pine, il nostro diventa il quinto (e il migliore, ci dispiace per gli altri) Jack Ryan della storia, nell’omonima serie tv di Amazon Prime Video: il thriller politico basato sul personaggio inventato da Tom Clancy entusiasma gli animi e mantiene alta la promessa di suspense e cardiopalma, al punto da essere rinnovato per ben tre stagioni.

John Krasinski e Emily Blunt in ‘A Quiet Place’ (2018). Foto: Eagle Pictures

Parallelamente, quel furbastro di John mette a segno l’ennesimo colpaccio: sempre nel 2018, dirige e co-scrive A Quiet Place, thriller horror post-apocalittico nient’affatto scontato dove recita insieme alla consorte. Si urla al miracolo, su Rotten Tomatoes l’ex ragazzone del Massachusetts viene salutato come un «talento emergente»: il film incassa oltre 340 milioni di dollari in tutto il mondo (a fronte di un budget di 17) e, cosa assai più importante, si presta benissimo allo sviluppo di un sequel. Che esce a fine maggio 2021, con più di un anno di ritardo causa Covid: A Quiet Place II sbanca il botteghino e diventa il primo film dell’era della pandemia a superare i 100 milioni di incasso. Meno innovativo rispetto al suo predecessore (il grande problema di ogni sequel, esclusi Il padrino – Parte II e L’Impero colpisce ancora) ma comunque efficace e ben confezionato, introduce un nuovo co-protagonista, Cillian Murphy, e anziché chiudere il cerchio lo apre a infinite possibilità e sviluppi. Leggi: ci sarà uno spin-off, che non si sa esattamente quando sarà collocato a livello temporale; l’ideatore rimarrà John Krasinski; la regia passerà a Jeff Nichols (Midnight Special, Take Shelter, Mud); la data d’uscita è fissata il 31 marzo 2023.

Attore, sceneggiatore, produttore, doppiatore, regista cinematografico, televisivo, teatrale: Wikipedia ha dovuto aprire una pagina, “List of awards and nominations received by John Krasinski”, nel tentativo di mettere ordine ai tanti, inafferrabili talenti del bel John. Lui resta un tipo concreto, simpatico e con i piedi per terra; uno che, quand’era piccolo, da grande sognava di fare il professore d’inglese «perché mi piacevano le giacche di velluto a coste con le toppe sui gomiti». Sì, io a questo punto mi sto immaginando i miei genitori che se la ridono di gusto e gli appoggiano una mano sul braccio parecchio compiaciuti: voi no?

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