Com’era? Tutte le famiglie felici… ma chissà se poi esistono. Di sicuro in Italia crediamo di saperla lunga, su quelle infelici, diverse ed eternamente simili. Eppure non è diverso in Asia, sicuramente non in Cina e non a Taipei, dove è ambientato il nuovo film della regista Shih-Ching Tsou, La mia famiglia a Taipei (Left-Handed Girl il titolo internazionale) – dico “Cina” perché lo dicono anche i riferimenti nel lungometraggio, e la politica nazionale non è strettamente il tema della narrazione (finito il disclaimer).
Un film arrivato il 22 dicembre nelle sale italiane (distribuito da I Wonder Pictures), che in un certo senso con il Natale non ha nulla a che vedere e che, in un altro, è perfettamente canonico del genere “film sotto l’albero”.
Dopo diversi anni, una famiglia di tre donne torna a Taipei. Si tratta di una madre, Shu-Fen (Janel Tsai), della figlia maggiore I-Ann (Shih-Yuan Ma) e della figlia minore I-Jing (Nina Ye). L’ex marito di Shu-Fen è appena morto per motivi che non sapremo mai esplicitamente, ma che immaginiamo legati a un punto d’onore; la donna gli ha pagato tutte le spese funerarie. La situazione economica delle tre non è rosea: Shu-Fen gestisce un chiosco di cibo in un trafficato mercato notturno, I-Ann lavora part-time in un gabbiotto di drink e si presenta al lavoro in abiti più vedo che non. I-Jing osserva tutto e con tutto interagisce con la sua mano sinistra. È semplicemente mancina, ma il nonno le ha messo in testa che quella è “la mano del diavolo”. Nel frattempo, la nonna gestisce un traffico illegale di passaporti e movimenta persone dentro e fuori il Paese. È la matriarca della famiglia ed è stufa di prestare soldi a Shu-Fen per aiutarla a tirare avanti.
Shih-Ching Tsou non è affatto un’esordiente. È una collaboratrice di lungo corso di Sean Baker (ha lavorato insieme a lui a Starlet, Tangerine, Un sogno chiamato Florida, Red Rocket), e anche se La mia famiglia a Taipei è solo il suo secondo lungometraggio al cassero della nave, la maturità si sente tutta. Non è facile – e in Italia, ripeto, lo sappiamo bene – basare una narrazione sui tragici difetti delle famiglie e spuntarla con successo.
Specie se il racconto arriva attraverso la lente di un iPhone, o meglio, di numerosi iPhone. Soluzione pratica prima che poetica: se giri in un mercato notturno di Taipei con cineprese e cotillon, la folla impazzirà, ti chiederanno chi è la star, si impicceranno. Usando un comune smartphone, tutto cambia – questo quanto ha dichiarato la regista, come riportato da Reuters. «Volevamo che il pubblico vedesse attraverso gli occhi della piccolina. Come in un senso di meraviglia».
Così accade, ed è un tratto che il titolo italiano, effettivamente, restituisce. I fatti si accumulano come una valanga: ma come, siamo appena tornate e già va tutto a rotoli? E perché il nonno mi dice certe cose? E perché sento che la mia famiglia è condannata? Forse sono davvero io a far capitare delle cose cattive… Suggestione che porterà I-Jing a commettere, effettivamente, qualche stupidata innocente. E che – no spoiler – si trasformerà anche nella chiave di volta del film. Che avrà il suo vertice in una sequenza Chinatown-esca, e di più non vi diciamo.
Foto: I Wonder Pictures
Ma tra il ritorno e l’ultima scena (dal punto di vista spirituale) in un ristorante, con tutta la famiglia apparecchiata per il compleanno della capofamiglia, passano altri confessionali, altri tavoli di confronto. È tra ritrovo e ritrovo che accade La mia famiglia a Taipei. Curiosamente, data la forte presenza delle strade della città, dei colori, degli odori che sembrano arrivare, dei motorini cavalcati in troppe persone.
Si rimane insomma nell’intimo. Nonostante le molte urla presenti, il film accade sottovoce. Le azioni durano solo per il tempo che trovano; raccontarle è affare da conversazione. Che sia la bizzarra vicenda di un suricato cascato da una finestra, una liaison pericolosa intavolata nei bagni di un botteghino, o il corteggiamento di uno strillone di aggeggi per la casa.
Foto: I Wonder Pictures
È in questo modo indecifrabile, dove solo le parole sono chiave per decrittare, che si trova inserita I-Jing, e quindi non può fare altro che prendere tutto at face value, come la panzana dei mancini-figli-del-diavolo. Personalmente la frase che Tolstoj inserisce in Anna Karenina avrei sempre voluto girarla: tutte le famiglie felici sono felici a modo loro, ogni famiglia infelice è infelice alla stessa maniera.
Perché a Taipei sembra di stare in qualsiasi parte d’Italia, attanagliati dallo scrutinio dei parenti durante il pranzo di Natale, costretti a ricoprirsi il capo di cenere per l’hybris di aver fatto qualcosa di, a loro dire, balzano, bizzarro, fuori norma. Taipei assomiglia al Dopoguerra o a una provincia stereotipata del Sud, dove il lavoretto fa l’uomo ladro e le occasioni per tirare innanzi non bisogna lasciarsele sfuggire, anche se fosse mettersi insieme al primo che capita per avere un letto caldo e due occhi in più a prendersi cura di noi.
Foto: I Wonder Pictures
Mannaggia che fatica le famiglie, e mannaggia che fatica esser femmine, al loro interno. Left-Handed Girl questa complessità la conosce per natura. E nella sua dolcezza senza sconti ricorda quell’altro gioiellino condannato a transitare in secondo piano dalle nostre parti, The Farewell di Lulu Wang (con una Awkwafina in grande forma), perché chissà che cosa avremo mai da imparare dall’Asia in materia di drammi anzi drama di parenti ma soprattutto di serpenti, non so, immagino che i più abbiano pensato così.
Invece, che sia da questa o quella parte della Grande Muraglia, poco cambia: abbiamo ora più che mai paura delle nostre famiglie (anche perché, si vocifera online, tutto questo slang terapeutichese non ha poi fatto tanto bene alla nostra reale comprensione del mondo); ora più che mai, paradosso del digitale, le nostre famiglie sono il punto di partenza dell’universo. E continuiamo ad arrovellarcici intorno perché, insomma, è una pillola bella amara da inghiottire.
Foto: I Wonder Pictures
E ora passiamo alla parte in cui mi ringraziate per avervi consigliato una visione che, proprio sotto le Feste, vi indurrà in un profondo stato di catarsi e vi permetterà di rigenerarvi in vista dei cenoni. Non correte, anzi, correte in sala. Be’, siete ancora qui?
