Basta chiamare Xavier Dolan ‘enfant prodige’ | Rolling Stone Italia
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Basta chiamare Xavier Dolan ‘enfant prodige’

'Matthias & Maxime' mixa i sentimenti che il regista ha sempre dominato, ma è meno di pancia, più 'adulto'. Forse non ancora il film della maturità, ma certamente l’opera di chi sa cos'è il suo cinema. Ora più che mai

Basta chiamare Xavier Dolan ‘enfant prodige’

Xavier Dolan e Gabriel D'Almeida Freitas

Dopo l’euforia iniziale, Xavier Dolan quel marchio deve averlo sofferto parecchio. E per “quel marchio” intendo la definizione di “enfant prodige”, che è sacrosanta quando hai 19 anni e giri un film con la ferocia e l’urgenza di J’ai tué ma mère. Va ancora bene quando di anni ne hai 25 e con Mommy vinci il Premio della giuria a Cannes ex-æquo con Godard, o a 27 ti porti a casa il Grand Prix grazie a È solo la fine del mondo. Inizi a soffrirlo ormai 29enne e al primo vero passo falso della tua carriera, La mia vita con John F. Donovan, con tutti a sentenziare che “il ragazzo prodigio si è bruciato troppo in fretta”, che alla “grande occasione (primo film in inglese e super cast) Xavier non ha retto”, che “forse ci eravamo sbagliati sul suo talento”. E non ci sta proprio più a 31 anni (perché mica ovunque sono tutti sempre gggiovani fino a 50 anni come da noi) e all’ottavo – ripeto, OTTAVO – film, Matthias & Maxime. Dove Dolan torna a dirigere se stesso per la prima volta dai tempi di Tom à la ferme e “quel marchio” lo rende visibile sul volto del suo personaggio, Maxime: una voglia rossa sulla guancia destra, espressione inequivocabile di quello che si porta dentro, «delle mie insicurezze o delle mie paure, lenite solo dalla presenza rassicurante degli amici». Che poi è ciò che succede nel film. E la parola chiave è, appunto, “amici”: ancora scosso dal flop infatti, Xavier è tornato a casa nel suo Québec a leccarsi le ferite, e ha lavorato a questo buddy movie meets coming of age meets romance con i suoi BFF storici.

Soltanto che il buddy e l’oggetto del desiderio qui sono la stessa persona: Matthias, alias Gabriel D’Almeida Freitas, attore canadese di origine portoghese (più bono che intenso si può dire?). Già, perché Matthias e Maxime sono amici da una vita, almeno finché non si scambiano un bacio durante le riprese di un cortometraggio amatoriale e, boom, tutto cambia. O forse no, dato che il primo ha una fidanzata e una promozione in arrivo e il secondo sta partendo per l’Australia. Sì, si spunta tutta la check-list della filmografia di Dolan: la ricerca della propria identità sessuale con tanto di tsunami interiore, il rapporto tra diverse generazioni e, soprattutto, la sofferta relazione madre-figlio. Rivediamo persino “mamma” Anne Dorval, sua attrice-feticcio che aveva già lavorato con lui in J’ai tué ma mère, Les amours imaginaires, Laurence Anyways e Mommy. Insomma, siamo su un terreno familiarissimo, saldamente all’interno della zona di comfort del regista, ed è un sollievo vederlo tornare di nuovo in sé dopo la batosta e ripartire con una certa umiltà dalle origini: Xavier c’è e lotta ancora con noi.

C’è in quel disagio, quell’imbarazzo, quel desiderio represso che porta sull’orlo dell’autodistruzione, in quella lotta degli uomini per essere vulnerabili, in quell’energia idiosincratica, in quell’incertezza nei suoi personaggi che si scontra meravigliosamente con l’eleganza del pacchetto. Dolan torna nelle sue scelte – perfetta quella di non mostrare il bacio “galeotto” – anche stilistiche, spesso sensuali pure nei colori, e nelle sue sequenze musicali signature: qui in particolare la selecta pop-indie sembra una compilation messa insieme per suggerire a un amico qualcosa di troppo difficile da dire.

Gabriel D’Almeida Freitas e Xavier Dolan in ‘Matthias & Maxime’



Matthias & Maxime è una festa del linguaggio, parlato in quel québécois meticcio che è un grande carnevale, è un film spesso gridato nella forma – urlano tutti, e lo fanno sempre faccia a faccia; un saluto al distanziamento, Dolan è un’altra cosa – ma interno nell’azione, nel tumulto nascosto e sofferto, nella tenerezza trattenuta. Custodisce i sentimenti che Dolan ha sempre dominato, ma è meno impetuoso, meno di pancia, più morbido, più maturo. Qualcuno l’ha definito “meno coraggioso”, come se il cinema di Xavier non fosse stato audace fin dal primo minuto. Di certo ci sono lo slancio e la sincerità di sempre in questo inno all’amicizia che è insieme pure fenomenologia dell’amore inespresso, ma anche meno urgenza emotiva. Perché non sarà perfetto, ma non è nemmeno più un film da enfant prodige, è ”adulto”. È la storia di due ragazzi che si isolano dal cazzeggio degli amici negli ultimi anni della giovinezza per provare a crescere. Forse non ancora il titolo della maturità, ma certamente l’opera di chi ha sempre saputo benissimo quel che vuole dire e quali sono i suoi punti di forza. Probabilmente Dolan non ha ancora girato il suo capolavoro, e questa è una buona notizia. Ma, intanto, è bello vederlo fare ciò che gli viene meglio.