Appello alle star di Hollywood: smettetela di fare film di me*da per le piattaforme | Rolling Stone Italia
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Appello alle star di Hollywood: smettetela di fare film di me*da per le piattaforme

Le ultime sono Julianne Moore e Sydney Sweeney in ‘Echo Valley’. Ma, da Nicole Kidman a Natalie Portman, ormai è un trend pericolosissimo. Di cui per fortuna non si accorge nessuno

Appello alle star di Hollywood: smettetela di fare film di me*da per le piattaforme

Sydney Sweeney e Julianne Moore in ‘Echo Valley’

Foto: Apple TV+

Secoli fa, ai tempi della mia prima casa, il mobiliere che mi fece il letto mi disse: «Ne ho appena fatto uno per un’attrice, non so se la conosce: Julianne Moore». La conoscevo, e da allora ogni volta penso al suo letto, e mentre l’altro giorno guardavo Echo Valley – il suo ultimo film, appena arrivato su Apple TV+ – pensavo: ma quante case deve mantenere, quanti altri letti deve aver comprato, in questi vent’anni, per ridursi a recitare in robe del genere?

Scrive il nostro collega americano David Fear che Echo Valley è “il più trash film di Lifetime con un cast di Serie A che possiate vedere”, e non c’ha tutti i torti. Lifetime è il canale a target femminile specializzato in filmacci con twist ora erotici, ora strappacuore, ora (quasi sempre) semplicemente tremendi. Quelle trame per cui arriva puntualmente il figo di turno a tirare fuori i mélo di Douglas Sirk, secondo solo a Shakespeare in quanto ad attribuzioni d’ispirazione – e a rigirarsi nella tomba.

Ma Apple TV+, ci è stato detto, è il canale (vabbè, la piattaforma) più di qualità tra le ultime arrivate, quella che ha puntato sulla cosiddetta (e famigeratissima) Prestige Tv, che mette sotto contratto quelle star di prima fascia che al cinema, poverine, non hanno più gli ingaggi di una volta. Al cinema che può pagare le star, quantomeno: l’indie è un territorio florido (vedi Anora & Co.), ma che ovviamente non può garantire a divi e dive i soldi necessari ad arredarsi casa – no: case.

Echo Valley — Official Trailer | Apple TV+

Echo Valley è la storia di una donna, cioè Julianne Moore, rimasta vedova di sua moglie, ma che prima stava con un uomo, cioè Kyle MacLachlan (il più “prendi i soldi e scappa” di tutto il cast: giusto una posa, e poi lascia che siano gli altri a gestire la baracca). Da quell’uomo ha avuto una figlia, cioè the-next-(attuale)-big-thing Sydney Sweeney, che ovviamente è una tossica, e di tanto in tanto ricompare nella casa di famiglia per fare casini assortiti. La casa di famiglia è una specie di fattoria somewhere Upstate, e Julianne Moore si è ritrovata a fare la stalliera – ma sempre con la piega a posto. Il resto lo potete immaginare: un fidanzato (della figlia) tossico pure lui, uno spacciatore cattivo, cadaveri avvolti nei lenzuoli e trascinati nei laghi da donnine che faticherebbero a sollevare due casse d’acqua minerale da sole.

Non scrivo mai di film brutti perché chissenefrega, e soprattutto perché sono la maggioranza (e io li vedo tutti). Ma Echo Valley, oltre ad essere un film brutto, è l’ultimo testimone di una pericolosa moda. Sarà che sulle piattaforme ci sono più soldi che al cinema, dicevo, sarà che l’inflazione ha fatto aumentare a dismisura il prezzo dei letti di design, ma sempre più star di Hollywood accettano progetti da piattaforma anche brutti, soprattutto brutti. Echo Valley l’ha scritto Brad Ingelsby, che aveva firmato il copione di una serie molto acclamata (e molto sopravvalutata): Omicidio a Easttown con Kate Winslet. Io capisco che ti sei fidata, Julianne. Ma fin dalla sceneggiatura si capiva che era una ciofeca, su.

Però c’è un altro dettaglio che consente a queste star – più o meno inconsciamente – di farla franca. Questi film da piattaforma, di fatto, non li vede nessuno. Nessuno ne parla, durano il tempo di una domenica pomeriggio (o forse manco quello) e poi spariscono, puf! Sono rapine veloci e impunite. In mezzo ci metti un bel film per cui verrai candidato a qualche premio importante, e nessuno si ricorderà (o accorgerà) degli Echo Valley di turno.

La specialista in questo campo è la più amata delle mie attrici amatissime: Nicole Kidman. La mia non è dunque una critica (come potrei mai criticare Nicole Kidman, suvvia), ma la semplice constatazione di un metodo pressoché infallibile. Parlando solo di film – dunque tralasciando le varie The Perfect Couple, Nine Perfect Strangers, eccetera – gli ultimi sono stati l’inguardabile A Family Affair (per Netflix) e l’inguardabile Holland (per Prime Video). Film inguardabili e, di fatto, inguardati (tranne che da me). In mezzo, Kidman ci ha però piazzato Babygirl, che non sarà Bergman ma ha acceso la conversazione, le ha fatto vincere la Coppa Volpi a Venezia (e sfiorare l’ennesima nomination agli Oscar), ed è entrato nel lessico famigliare del letterboxer, rendendola di nuovo cool presso platee che l’avevano un po’ dimenticata. Il delitto perfetto.

Nicole Kidman in ‘Holland’. Foto: Prime Video

È così da sempre, tutti i grandissimi hanno sempre fatto film bruttissimi, ma almeno una volta c’era la prova inconfutabile di critica e pubblico: le recensioni non perdonavano, le sale restano vuote, ed eri costretto a correggere il tiro. Qui tutti rimangono, appunto, impuniti, proprio perché certi film restano sepolti nella piattaforma: spesso manco l’algoritmo li mostra.

Qualcuno – parlando di recentissimi brutti film con grandi nomi – ha forse visto Fountain of Youth – L’eterna giovinezza di Guy Ritchie, starring Natalie Portman e John Krasinski (sempre su Apple)? O Misteri dal profondo con Miles Teller e Anya Taylor-Joy (Apple pure questo)? O G20 con Viola Davis (su Prime)? O Un matrimonio di troppo con Reese Witherspoon e Will Ferrell (sempre Prime)? Io li ho visti tutti, perché sono pazzo. Ma non li ho sentiti citare da nessuno, e dire che viviamo in un’epoca in cui nessuno (NESSUNO) va più in sala ma guarda solo le piattaforme. La gente ha persino visto i film con Ryan Reynolds e Jennifer Lopez su Netflix (o così dicono), che sembrano scritti dall’intelligenza artificiale (no, chiedo scusa all’intelligenza artificiale: lei farebbe di sicuro meglio) e che sono diventati il benchmark di “star che fanno ciofeche solo per i soldi”, ma adesso non clicca più nemmeno su quelli.

Oppure, semplicemente, il pubblico non sa più dove arriva cosa, e nella confusione si perde tutto. Cos’è oggi un film per la sala, e cosa un film per la tv (vabbè, per la piattaforma)? Siamo d’accordo sul fatto che un film è sempre un film ovunque lo si guardi (io almeno la penso così), ma la casualità non fa certo bene alla causa del cinema. L’altro giorno un’amica mi scrive: «Ma Spike Lee da noi esce?», con riferimento a Highest 2 Lowest, il remake di Anatomia di un rapimento di Kurosawa passato fuori concorso all’ultimo Cannes. Le rispondo che uscirà su Apple dopo l’estate. Constatiamo entrambi, per la occentoventiquattresima volta, che è davvero finito tutto.

Ci sono due eccezioni recenti. La prima è Bridget Jones – Un amore di ragazzo, una deliziosa commedia per spettatori adulti (incredibile ma vero) che, solo negli Stati Uniti, è uscita direttamente sul canale Peacock, dunque può concorrere agli Emmy nella categoria “film per la tv”. «Una volta esistevano i cosiddetti “film tv”, che avevano certe caratteristiche, un certo aspetto, un certo tema o un certo tono», dice il regista Michael Morris. «Adesso gli streamer vanno a caccia di film [anche] al mercato di Cannes, con il risultato che alcuni lungometraggi davvero interessanti ora finiscono in tv». Ciò che rende “film per la tv” un film pensato per il cinema è quindi, in molti casi, una pura ragione di mercato. L’ultimo Bridget Jones è un bel film per il cinema che al cinema – almeno nei Paesi in cui è uscito – ha incassato meno di quanto avrebbe meritato, e che nell’ancora rilevantissimo (nonostante tutto) mercato statunitense diventa un film da piattaforma.

L’altra eccezione è Mountainhead, ottimo esordio alla regia di Jesse Armstrong, già creatore di Succession. È stato prodotto da HBO Max, da noi arriverà su Sky prossimamente. È tecnicamente un film per una piattaforma, dunque può concorrere anche lui come “film per la tv” ai prossimi Emmy. Che uno dei maggiori autori di cinema/tv in circolazione non faccia un film per la sala non stupisce nessuno, nel 2025, ma poi non lamentatevi se in sala trovate poco o niente. La differenza sostanziale è che Armstrong non ha manco avuto bisogno di grandi star. In Mountainhead di “famoso famoso” c’è solo Steve Carell, gli altri sono volti più o meno noti che però non devono manco comprarsi il letto nuovo. Volevano fare, per una volta, solo un bel film.