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‘A Big Bold Beautiful Journey’ non è affatto un viaggio straordinario

Sembra una specie di strambo film anni ’90 (non è un complimento). E per tutto il tempo vorresti che qualcuno venisse a salvare Colin Farrell e Margot Robbie da questo pasticcio

Foto: Matt Kennedy/Sony Pictures

Ah, la fine degli anni ’90: quando la stravaganza era una forma di valuta, le persone bellissime che si comportavano in modo bizzarro diventavano immediatamente dei cult (o addirittura ricevevano nomination agli Oscar) e si poteva girare un film, ad esempio, su due persone che intraprendono un magico viaggio on the road attraverso porte piazzato a caso nei campi ed essere parte dello zeitgeist. La capacità di viaggiare indietro nel tempo è una parte fondamentale di A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario (nelle sale italiane dal 2 ottobre, ndt), una commedia romantica che non merita nessuno dei due aggettivi del titolo. Ma è anche un po’ un desiderio irrealizzato da parte del film stesso, che vorrebbe tanto attraversare un portale e finire in un multisala accanto ai classici di Spike Jonze, Michel Gondry e Charlie Kaufman. Ci sono molte ragioni per cui il 1999 è considerato un anno fondamentale per il cinema americano. Questo tentativo di rivisitare il tipo di narrazione fantasiosa, spensierata e stravagante che ha contribuito a caratterizzare quel momento culturale è una grande ambizione, ma anche un fallimento ancora più grande.

Il che sembra davvero strano, dato che questo ritorno al passato ha, almeno sulla carta, dei lati positivi. Per cominciare, c’è Colin Farrell, attualmente immerso in una rinascita professionale che include alcuni dei lavori più audaci che abbia mai fatto (Gli spiriti dell’isola, The Penguin, ma anche Sugar ha i suoi momenti), e che è invecchiato magnificamente entrando nella fase di protagonista rodatissimo. La sua spalla è Margot Robbie, che sta ancora godendo del successo post-Barbie ed è senza dubbio una delle attrici di Serie A più affidabili e audaci attualmente in attività. Il regista, Kogonada, si è formato coi videoclip per poi diventare un regista dal tocco abile e un occhio formalista da urlo: Columbus (2017) è il tipo di debutto che regala una nuova visione estetica senza sacrificare i personaggi, e la sua precedente collaborazione con Farrell, After Yang (2021), incorpora tocchi bizzarri in un racconto di fantascienza esistenziale che ne esaltano anziché eclissarne la carica emotiva (la sequenza dei titoli di testa è di per sé un classico).

E ha una premessa high concept che potrebbe essere stata rubata dal computer di uno sceneggiatore di fine XX secolo. David (Farrell) è un bell’uomo single che sa cantare a squarciagola One di A Chorus Line. Sarah (Robbie) è una splendida donna single che tende a lasciare cuori infranti al suo passaggio. Si incontrano per caso al matrimonio di un amico. Entrambi sono rimasti scottati da precedenti relazioni sentimentali e sono diffidenti nei confronti dell’attrazione reciproca che provano. Sono entrambi soli a modo loro, unici e speciali, come personaggi di un dipinto di Edward Hopper che hanno la fortuna di avere dei personal stylist piuttosto eccentrici.

Ma per fortuna c’è un sensale, un’agenzia di autonoleggio mistica. David si ritrova ad aver bisogno di un nuovo mezzo di trasporto per raggiungere la cerimonia. I proprietari – interpretati da un Kevin Kline decisamente sottoutlizzato e una Phoebe Waller-Bridge con un incomprensibile accento tedesco – convincono David a ricorrere al GPS, nel caso in cui il suo telefono improvvisamente si guastasse. Il giorno dopo il matrimonio, questo sistema (doppiato in lingua originale da Jodi Turner-Smith) gli chiede se gli piacerebbe intraprendere quel big bold beautiful journey. David, come prevedibile, risponde di sì.

Quindi il GPS gli dice di “andare a mangiare un hamburger in un fast food”. E chi dovrebbe mai beccare davanti a un Whopper in un Burger King se non Sarah? Si scopre che anche lei ha noleggiato un’auto nella stessa agenzia. Solo che la sua non parte. Così David offre a Sarah un passaggio per tornare in città, e a quel punto la versione autoradio di Tinder, con la sua cadenza melliflua, li indirizza verso una misteriosa porta rossa in mezzo al nulla. Attraverseranno molte di queste porte nel corso della loro avventura. Una li conduce a un faro che David ha visitato in passato, un’altra al suo vecchio liceo, riportandoli alla notte in cui il suo cuore si spezzò dopo una rappresentazione di How to Succeed in Business Without Really Trying. Altre li porteranno in un museo che ha un significato speciale per Sarah, o all’ospedale dove sua madre è morta molti anni fa. Non è la destinazione che conta, ovviamente. È il viaggio, bla bla bla bla bla.

Colin Farrell e Margot Robbie in una scena del film. Foto: Matt Kennedy/Sony Pictures

Scusate il cinismo, ma questo è il tipo di mix di sdolcinatezza e di un tono imbarazzante, pensato per sembrare significativo e profondo, che farà emergere il Grinch delle commedie romantiche che è in voi. Aggiungeteci la pessima confezione e vi ritroverete di fronte a un gran bel pasticcio. Di nuovo, visti i talenti coinvolti, è sorprendente che nulla sembri emergere dal pantano, sebbene Kogonada inserisca abbastanza fronzoli visivi da tenere almeno gli occhi occupati.

Eppure, niente sembra funzionare. E molto prima che Farrell e Robbie si concedano un dialogo profondo con i loro genitori lontani o defunti da tempo, solo per trovare l’amore tra le braccia l’uno dell’altra mentre la cover di Mitski di Let My Love Open the Door di Pete Townshend risuona nella colonna sonora – perché in questo film ci sono amore e porte, capito? – potreste ritrovarvi a dimenarvi sulla sedia, un po’ per impazienza e un po’ per imbarazzo, desiderando che A Big Bold Beautiful Journey arrivi finalmente a destinazione e finisca.

Da Rolling Stone US

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