40 anni di ‘Ritorno al futuro’, il film che ha insegnato al cinema a viaggiare nel tempo | Rolling Stone Italia
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40 anni di ‘Ritorno al futuro’, il film che ha insegnato al cinema a viaggiare nel tempo

Il 3 luglio del 1985 Robert Zemeckis cambiava la grammatica del cinema d’intrattenimento con ironia, ritmo perfetto e un’indimenticabile coppia protagonista (Michael J. Fox e Christopher Lloyd). Quattro decenni dopo, resta un punto di riferimento per chiunque voglia raccontare il passato, il presente e tutto ciò che sta in mezzo

40 anni di ‘Ritorno al futuro’, il film che ha insegnato al cinema a viaggiare nel tempo

Christopher Lloyd (Doc) e Michael J. Fox (Marty McFly) in 'Ritorno al futuro'

Foto: Universal

Il tempo vola, letteralmente, quando hai una DeLorean che ruggisce nel parcheggio del Twin Pines Mall. Era il 1985: Huey Lewis and the News mandavano in orbita The Power of Love e noi guardavamo Marty McFly saltare sul palco con una Gibson ES-345 rosso ciliegia mentre sfoderava (in netto anticipo sui tempi) una versione un po’ hair metal di Johnny B. Goode. Peccato che poi quella chitarra sia andata perduta prima del sequel del 1989: “Si trova da qualche parte nel continuum spazio-temporale, oppure nel garage di qualche camionista”, ha detto Fox in un video di un mesetto fa che ne annunciava la ricerca.

Ecco 40 anni dopo, oggi, Ritorno al futuro resta la macchina del tempo più potente che il cinema abbia mai costruito e non ha perso un grammo della sua velocità di fuga verso l’immaginario collettivo. Il 3 luglio 1985 il film by Robert Zemeckis faceva il suo ingresso nei cinema USA, poi una lunga scia planetaria lo avrebbe portato il 29 agosto alla Mostra di Venezia per la prima italiana. Con le sue battute immortali (“Strade? Dove stiamo andando non ci servono strade”), le scarpe auto-allaccianti e i “1.21 gigawatt!”, ha fatto più per la cultura popolare che mille sedute di terapia transgenerazionale.

Ma non è (solo) una questione di nostalgia. Ritorno al futuro ha cambiato la grammatica del cinema di intrattenimento. Ci ha insegnato che si può mescolare commedia e fantascienza, slapstick e romance, azione e cuore, senza sembrare schizofrenici. È riuscito là dove molti blockbuster odierni inciampano: essere popolarissimo senza risultare banale, divertente senza essere stupido, profondo senza diventare pesante.

A livello di struttura narrativa, è un esempio di meccanismo perfetto. Ogni oggetto introdotto nella prima parte (l’orologio della torre, la foto con i fratelli, il libretto delle scommesse nel sequel…) ha una funzione, un ritorno, un payoff. È un film che sa essere giocattolo narrativo, ma con dentro qualcosa di profondamente umano: la paura di non essere all’altezza dei propri genitori, o peggio, di essere esattamente come loro.

RITORNO AL FUTURO (1985) | Trailer italiano

Non solo: Back to the Future ha dato al mondo una nuova idea di viaggio nel tempo. Prima del 1985, era quasi sempre un dramma filosofico o un trip fantascientifico à la L’uomo che visse nel futuro o Il pianeta delle scimmie. Zemeckis e soci lo trasformano in una corsa in skateboard con un amplificatore gigantesco e un bacio che cambia la timeline. Produce Steven Spielberg, e infatti c’è l’America da cartolina anni ’50, i sogni suburbani con garage e giardinetti, la famiglia disfunzionale che però si ama. Ma c’è anche la ribellione, il mito del self-made teenager, il ragazzo che cambia la storia con un assolo di chitarra.

Marty McFly è cool, ironico, ma pieno di ansie vere. E Michael J. Fox ci mette la faccia giusta, quel mix irripetibile di carisma e insicurezza che oggi Hollywood fatica persino a immaginare. E poi c’è Christopher Lloyd, il Doc per antonomasia, con quella chioma elettrificata e gli occhi fuori dalle orbite, un Einstein sotto acido che ha riscritto per sempre l’archetipo dello scienziato pazzo, trasformandolo in una figura tragicamente dolce, geniale e fuori dal tempo, come il film che lo ospita.

Ritorno al futuro anticipa pure molte delle ossessioni del cinema contemporaneo: il multiverso, le timeline parallele, le conseguenze impreviste delle nostre scelte. Ma lo fa con una leggerezza che oggi sembra persa nei meandri della CGI. Non servono cento personaggi Marvel, bastano un adolescente con un walkman, un professore matto e una macchina che va a plutonio.

A quarant’anni dalla sua uscita, l’eredità di Ritorno al futuro è ovunque. Nei sequel, ovviamente (una trilogia diventata immediatamente cult, con momenti più discutibili ma comunque storici, tipo il “futuro” 2015 con gli hoverboard, da noi i volopattini). Ma anche nei film che sono venuti dopo: da Avengers: Endgame (che lo cita esplicitamente) a Stranger Things, fino a Rick & Morty, che ne è praticamente la versione animata e lisergica.

Ha anche fissato per sempre nel nostro immaginario cosa significhi “viaggiare nel tempo”: salire su un mezzo improbabile, pigiare qualche pulsante, e vedere l’universo cambiare attorno a te. Ogni generazione lo rivede e ci rilegge dentro qualcosa di nuovo: la paura di sbagliare, la voglia di tornare indietro, la domanda eterna: “E se avessi fatto una scelta diversa?”. Ricordandosi però anche ogni volta che possiamo correggere gli errori, ma non possiamo sfuggire a chi siamo davvero.

In un’intervista recente, Zemeckis ha detto che oggi Back to the Future non verrebbe mai approvato da uno Studio. Troppo rischioso, troppo originale, troppo incrocio di generi. È la stessa Hollywood che oggi sforna reboot a ogni latitudine, ma che non oserebbe mai commissionare un’idea così fuori dagli schemi per un film da centinaia di milioni di dollari. Gale ha persino messo per iscritto che non ci sarà mai un quarto episodio. “Il film è perfetto così”, ha detto. Di questi tempi, chapeau.