10 anni di ‘Non essere cattivo’, il film che ha cambiato il cinema italiano | Rolling Stone Italia
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10 anni di ‘Non essere cattivo’, il film che ha cambiato il cinema italiano

Caligari resta una ferita aperta: il più libero, il più vero, il più dimenticato. Il più moderno dei classici. E l'ultimo capolavoro che c'ha regalato (feat. Borghi, Marinelli e grazie a Mastandrea) torna in sala oggi per 3 giorni

10 anni di ‘Non essere cattivo’, il film che ha cambiato il cinema italiano

Luca Marinelli e Alessandro Borghi in 'Non essere cattivo' di Claudio Caligari

Foto: Good Films

Non sorprese nessuno quella notizia, il 26 maggio del 2015. Si sapeva che Claudio Caligari stesse male, come che fosse sul set, imprudentemente e indefessamente, per finire il suo terzo film di finzione. Sì, perché questo cinema italiano che sa autosabotarsi come pochi altri – e in questo, diciamolo, assomigliava al cineasta di Arona – lo aveva obbligato a “morire come uno stronzo, ho fatto solo tre film”, come lui stesso disse, a un semaforo, all’amico Valerio Mastandrea. L’uomo grazie al quale aveva almeno ricominciato da tre, l’uomo che aveva scritto una lettera aperta a Martin Scorsese sulle pagine del Messaggero, in cui a Martino chiedeva quel che mancava per mettere su il film di un regista “nato per stare sul set”. Mastandrea, uno che per sé non chiederebbe neanche in punto di morte, aveva preso la penna per una lettera romantica, per un appello impossibile per raccogliere i fondi per il film di quel genio che tutti si ostinavano a ignorare.

Nessuna risposta, ma per una volta qualcosa, nel cinismo indolente dell’arte italiana, si mosse. Quell’uomo che aveva ripreso i movimenti politici degli anni ’70 in indimenticati documentari, che era entrato nel mito con il durissimo e doloroso Amore tossico, e che aveva permesso a due come Marco Giallini e appunto Valerio Mastandrea di entrare in un pantheon irresistibile di protagonisti sghembi con L’odore delle notte, grazie a Simone Isola, lo stesso Valerio, a Giordano Meacci e Francesca Serafini come sceneggiatori, persino a Ginevra Elkann come distributrice (con la sua Good Films, ma che fantastica storia è la vita), a un manipolo di coraggiosi e ad attori scelti con cura e intuito da cui lui ha tirato fuori il talento e loro in cambio gli hanno dato tutto (e continuano a farlo), ha regalato a tutti noi il suo nuovo ma ultimo capolavoro.

Non Essere Cattivo di Claudio Caligari Trailer Ufficiale (2015) HD

Diciamocelo, noi che eravamo a Venezia quell’anno. Con quell’ipocrisia tutta italiana per cui quando sono vivi cerchiamo di ammazzarli e quando sono morti li facciamo diventare santini (esattamente come la sua ispirazione, Pasolini) per cristallizzarli e renderli innocui, eravamo tutti pronti a celebrarlo. Non essere cattivo doveva essere bello. E solitamente, quando c’è quest’atmosfera, l’opera non funziona mai, annega in un mix di paternalismo e nostalgia. Però Caligari anche da morto, in fondo, rompeva il cazzo.

Come disse lui – diventando poi la frase il titolo di un documentario bellissimo su di lui di Simone Isola e Fausto Trombetta – Se c’è un aldilà sono fottuto. E così Non essere cattivo a Venezia ci va, ma fuori concorso. Fece un po’ male sull’immediato, a noi che ostinati e contrari l’avevamo amato anche da fermo, dimenticato, quasi rassegnato. Neanche da morto può competere con gli altri, pensammo. Ma in fondo, forse, è anche lì che lui voleva stare. Fuori. Sempre e comunque. A ripensarci, è proprio così.

C’è un irresistibile aneddoto su Caligari, che è talmente vero da sembrare finto. O il contrario, può pure essere. In una bellissima e seminale intervista su Internazionale a Caligari stesso (che in AT – Amore tossico lo chiamava così, in contrasto ironico e provocatorio con ET – amava dire di vedere Pasolini e Scorsese, come scrissero sui Cahiers: ecco il perché della lettera proprio a quest’ultimo), lo accenna Christian Raimo. Il resto è leggenda metropolitana.

Marcello Mastroianni vede Amore tossico. E già questo è meraviglioso e ti dice tanto di chi erano i divi un tempo e cosa sono gli attori oggi. Ne rimane estasiato, lui che di grandi registi ne sa, eccome. Lo ha visto su suggerimento di Marco Ferreri (è già un soggetto clamoroso, vero?), che li mette in contatto. Si organizza una cena e l’attore confessa a quell’underdog che vuole fare un film con lui (e, pare, Hanna Schygulla). La cena scorre in modo amabile, ma quella richiesta rimane sospesa. Mentre si accomiatano, Claudio con la ruvidità che lo contraddistingue dice all’icona attoriale italiana per eccellenza: “Se avrò la storia per te, ti chiamerò”. Chiunque altro, ovviamente, gli avrebbe cucito un’opera addosso, avrebbe preso la storia che aveva nel cassetto e gliel’avrebbe adattata su misura, avrebbe parlato di scommessa reciproca. Lui, no. Lui doveva fare solo ciò che era giusto, che sentiva come urgente e inevitabile. Anche di fronte a un incontro artistico che avrebbe cambiato il suo destino.

Una scena di "Non essere cattivo". Foto: Angelo Turetta

Una scena di ‘Non essere cattivo’. Foto: Angelo Turetta

Basta questo per capire perché ogni volta che si incontrano – è successo qualcosa del genere alla proiezione all’ultima Festa di Roma di Libero dempre comunque mai di Alessio Maria Federici su Picchio De Rienzo, e non è un caso – la banda Caligari ti catapulta nell’universo più tenero, divertente, struggente, intimo che ci sia. Aneddoti che partono da Mastandrea e vengono regolarmente completati da un altro, risate che sono superiori agli occhi lucidi, l’impressione che si sia creato un Caligariverse in cui questi supereroi dal cuore grande (il loro vero superpotere, insieme a un talento non etichettabile, da allora e finora) si muovono con fiducia, allegria e un senso di vuoto impossibile da colmare. E la consapevolezza che noi possiamo ascoltare, ma non capire del tutto.

Perché Claudio Caligari, lo ha raccontato Valerio Mastandrea, che della sua legacy – perdonatemi, ma non esiste davvero una definizione altra per raccontare ciò che ha lasciato questo cineasta – è il curatore artistico, umano, emotivo, morale, etico, c’è ancora tanto da raccontare. E il desiderio – ma anche il timore reverenziale – di prendere i suoi tanti progetti incompiuti e realizzarli. Questa volta non servirà Martino Scorsese – che pure, dopo 11 anni, un telegramma potrebbe mandarlo, fosse solo per il suo ruolo di conservatore mondiale del cinema che altrimenti sarebbe scomparso – perché questi ragazzi e ragazze, donne e uomini, sono diventati grandi. In tutti i sensi. Centrali nel mondo del cinema, nonostante tutto e tutti.

Fa male che lui non li abbia visti fiorire, ancora di più del fatto che lui non sappia che Non essere cattivo, dopo un successo di pubblico e critica clamorosa, sia diventato un capolavoro amatissimo. Tanto da avere una tre giorni in sala (oggi, domani e mercoledì) dopo 10 anni. Celebrato come un classico.

Sì, perché quando lo vedemmo, alla Mostra di Venezia, quella benevolenza pelosa con cui eravamo pronti ad accoglierlo venne spazzata via dallo stupore, dalla bellezza, dalla potenza registica, espressiva, di scrittura. Non essere cattivo è Caligari in purezza, è un monolite di talento che dimostra di essere moderno perché in possesso di un’arte assoluta, di essere il cantore degli Accattoni di Ostia, della droga che si mischia alla rabbia, del dolore e dell’amore, delle amicizie invincibili e selvagge. Di un Paese che ha annegato la lotta contro il sistema dell’“anno finale” del 1977 in un fiume di stupefacenti dragati su una generazione straordinaria e fragile.

 

 
 
 
 
 
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Come ve la raccontiamo la salvezza disperata di Borghi o l’autodistruzione di Marinelli, che poi è proseguita in un sodalizio inossidabile, che ha saputo scalare otto montagne e dieci anni di successi e di capacità di non corrompersi con l’Olimpo pariolino del cinema italiano, cercando oltre e altrove le loro sfide. E Roberta Mattei e Silvia D’Amico, donne àncore e compagne di vita e di seduzione della morte. E quella periferia romana e marina che ora darà alla piazza del baretto dove quei due, Cesare e Vittorio, hanno costruito il loro abisso terribile e meraviglioso, il nome del loro regista, del loro padre artistico, di quell’uomo che ha lasciato amore a tutti e per nulla tossico, perché tossico è stato solo quel cinema che si è rifiutato di capirlo e valorizzarlo.

Lo sappiamo che lo guarderete in sala di nuovo, quel film, come faremo noi. Che le sue frasi così rotonde e a volte al limite del verdonian-pasoliniano – “Nun me guardà così che me innamoro” – le ripeterete a bassa voce, con l’affetto e il dolore di sapere che non ce ne saranno altre e che ce ne sono state troppo poche.

E fattelo di’, Claudiè, che non sei tu ad aver fatto solo tre film come uno stronzo. Ma noi ad avertene fatti fare solo tre. Perché con te non siamo stati cattivi, siamo stati proprio stronzi. Ti dico pure perché. Non eri solo il nuovo Pasolini, l’uomo che aveva ereditato la sua arte dal ’77, l’eredità dallo scrittore e regista, anche in termini temporali, ma anche dallo Scola di Brutti, sporchi e cattivi e dallo Scorsese che in quegli anni imperversava con le sue opere più folli.

No, eri anche un fottutissimo regista commerciale. Pensaci: Non essere cattivo è l’incontro tra Breakfast Club e Accattone, capace di essere indipendente e originale e feroce ma anche di creare (come pure L’odore della notte per la generazione di attori romani di fine anni ’90) un Caligari Pack che poi ha determinato le storie dell’asfittico star system italiano.

Come Caligari solo Sollima – che gli deve parecchio –, che ha fatto lo stesso con Romanzo criminale e Gomorra. E un po’ ci è riuscito Sydney Sibilia con la trilogia di Smetto quando voglio (ancora droga, è un caso?). E i ragazzi di Boris, la serie, che assomigliano un po’ alla Banda Caligari, ma un po’ più borghesi. Entrambe le bande però incollate da un’amicizia di quelle antiche, gruppi cementati dall’amore per geni che dicevano troppe cose vere, uno con un neorealismo nudo e crudo, l’altro con un’ironia affilata e un linguaggio costantemente reinventato, per essere ascoltati. E con noi convinti che a un certo punto il dio del cinema e dell’arte avrebbe fatto giustizia. E aspettando passivi, loro se ne sono andati.

Ci ha pensato la morte, invece, a render loro giustizia. E loro, come due stronzi, non se la sono goduta. Ma avrebbero saputo raccontarlo, questo paradosso demenziale, con la loro capacità di metterci a sedere con una battuta, una scena scritta bene, un’inquadratura, una frase che rimarrà nella storia, nel linguaggio di tutti noi, nell’immaginario collettivo. Se siete stati su Marte e non avete ancora visto Non essere cattivo, correte in sala tra il 27 e il 29 ottobre. Se non vi piacerà, vi rimborserò io. Anzi no, Martin Scorsese. È il minimo.