FOTO
«La Dunaway… entriamo, c’è anche lei». Così cantava Lucio Battisti nella sua Al cinema. È lei l’unica donna citata nel testo, accanto a colleghi come Al Pacino e Dustin Hoffman. Perché di Faye una ce n’è: volto dagli zigomi ineguagliabili, nome che ha definito gli anni ’70 (e non solo), star da Oscar (e, in posa con la statuetta a bordo piscina la mattina dopo la vittoria, protagonista della foto forse più bella nella storia dell’Academy). Nel giorno dei suoi 80 anni, 8 film imprescindibili.
In originale: Bonnie and Clyde. Al terzo film (incredibile ma vero), Dunaway piazza il ruolo che la consacra a primadonna dello schermo. Nelle mani di Arthur Penn, è la bandita più famosa degli States. Solo lei e un altro figo come Warren Beatty avrebbero potuto dare corpo a quelle leggende. E il basco sfoggiato da Faye è uno degli accessori più imitati di sempre.
The Windmills of Your Mind, si sente gorgheggiare nella (mitica) colonna sonora di Michel Legrand. Sullo schermo, un’altra coppia strafiga: Faye Dunaway e Steve McQueen, protagonisti di uno dei giallorosa più famosi e amati di sempre. Rifatto nel 1999 con Pierce Brosnan e Rene Russo (più un cammeo della stessa Faye): ma non era la stessa cosa, proprio no.
Altro giro, altro Arthur Penn. Con una piccola grande parte, nel film che resta “di” Dustin Hoffman. Ma a cui l’attrice regala la sua presenza indimenticabile. Nei panni di Louise, la moglie del pastore protestante che diventerà una prostituta di nome Lulù. Tanto basta, per confezionare un cult.
l noir più bello di Polanski, per alcuni addirittura il suo film più bello in assoluto. Fatto come si facevano i noir negli anni ’40. E Faye, accanto a un come sempre gigantesco Jack Nicholson, è il volto per cui qualsiasi regista dell’epoca avrebbe fatto carte false. Segni particolari della sua Evelyn: il difetto nell’iride, «una specie di… voglia». Non c’è altro da aggiungere, vostro onore.
Nel novero dei registi che hanno “inventato” gli anni ’70, non può mancare Sydney Pollack. E Dunaway non avrebbe potuto non lavorarci. Lo fa grazie al personaggio di Kathy Hale, la donna tenuta in ostaggio dal Condor del titolo (un altro fighissimo: Robert Redford) in uno dei thriller più tesi e fortunati di quel periodo. Il resto è storia (anche d’amore).
Alla terza nomination (dopo quelle per Gangster Story e Chinatown), finalmente arriva l’Oscar. Condiviso col co-protagonista Peter Finch, che vinse la statuetta (postuma) nel ruolo dell’anchorman che annuncia il suo suicidio in diretta. Faye è Diana Christensen, la cinica responsabile del programma: una bitch in piena regola, che l’attrice incarna alla perfezione. Unforgettable.
Prima di Jessica Lange in Feud, c’era stata un’“altra” Joan Crawford più vera del vero. Ovvero quella di Dunaway, ritratta soprattutto nel privato, come madre che dire stronza è poco. Le scene madri in questo melodrammone hollywoodiano non si contano, noi scegliamo quella che insegna una grande verità in fatto di stile: mai grucce di metallo nell’armadio (altrimenti mamma s’incazza…).
Così è stato titolato in italiano (ebbene sì) il progetto americano di Emir Kusturica. Ovvero Arizona Dream, osteggiato all’epoca anche da alcuni suoi fan e oggi invece ampiamente rivalutato. Merito soprattutto del cast che, a leggerlo sulla carta, ancora non ci si crede: Johnny Depp, Jerry Lewis e Faye, alias una vedova allegra che ha ucciso il marito. Magistrale.
Restiamo
in contatto
Ti promettiamo uno sguardo curioso e attento sul mondo della musica e dell'intrattenimento, incursioni di politica e attualità, sicuramente niente spam.