Ecco com’è un festival di cinema ai Caraibi | Rolling Stone Italia
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Ecco com’è un festival di cinema ai Caraibi

Siamo andati al primo Cana Dorada International Film Festival, un ponte tra il Sudamerica e Hollywood. Dove, tra El Puma e Paz Vega, il vero protagonista è l’orgoglio latino

Ecco com’è un festival di cinema ai Caraibi

Madalina Ghenea al galà di chiusura del primo Cana Dorada Film & Music Festival

Foto: Daniele Venturelli

Ho capito cos’è davvero l’orgoglio latino quando ho visto una folla di celebrità locali vestite di bianco – era il White Night Party – correre sottopalco e tirar fuori in massa il telefonino. C’era da riprendere il concerto di José Luis Rodríguez González più noto come El Puma, icona máxima from Venezuela, crooner alla Julio Iglesias ma pure volto di telenovelas, idolo delle folle soprattutto oggi che è tornato a esibirsi dopo il doppio trapianto di polmoni di tre anni fa. Già questo sarebbe un bellissimo film. Poi, c’era tutto il resto.

Set: un paradiso tropicale, la Repubblica Dominicana, anzi la sua estremità occidentale, Punta Cana, spartiacque letterale tra l’Atlantico e il mar dei Caraibi. Cast: nomi locali e internazionali, attori e personalità Tv, star e generone come si conviene a ogni happening simile. Regia: Raquel detta Raquelita Flores, figlia della biondissima venezuelana Raquel Bernal, che fa con l’infanta gli onori di casa e sigla quello che, a occhio, pare il primo festival a impronta totalmente matriarcale della Storia. Titolo: Cana Dorada International Film Festival, numero uno anzi zero, visto che, alla vigilia, era ancora tutto da inventare. «Sono qui principalmente per l’amicizia con Raquel», mi dice Paz Vega, una delle star internazionali invitate. Che torna all’orgoglio latino: «È il link che tiene insieme tutto». Ne è prova vivente: è nata in Spagna, è sposata con un venezuelano, lavora in tutto il mondo.

Dunque non l’ho immaginata, questa cosa dell’orgoglio è vera, del resto l’intenzione del Festival pare esattamente quella, trovare un luogo che faccia da crocevia tra il Centro-Sudamerica e Hollywood, di passaggio ma non troppo. C’è Paul Haggis, sceneggiatore di Million Dollar Baby e regista premio Oscar quindici anni fa per Crash – Contatto fisico (a sorpresa: tutti pensavano sarebbe toccato ai Segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee); e il superproduttore Avi Lerner, quello delle saghe action come The Expendables e Attacco al potere; e appunto Paz Vega, europea, sì, ma pure tra i volti dell’ultimo Rambo con l’immarcescibile Sly. C’è la nostra, almeno un po’, Lola Ponce, avvinghiata al bel marito Aarón Díaz, attore da quattro milioni di follower su Instagram, lei argentina, lui messicano, i collegamenti tra popoli ormai non si contano più.

L’occhio sarà anche rivolto a Hollywood, ma è l’orgoglio latino, sempre lui, a dettare l’agenda. La prima sera viene presentata una docufiction alla Game of Thrones sulla storia di Santo Domingo, poi Nebaj, titolo guatemalteco già premiato a vari festival, si mostrano trailer di film futuri sui narcos locali. La famigerata “splendida cornice” stavolta lo è per davvero, prima lo sciampagnino sul tappeto rosso e poi tutti al cinema che è dentro un cenote (ma senz’acqua) nascosto tra le palme dell’Eden Roc, qua pure gli hotel sanno di giungla dei pirati. Si dovrebbero vedere i film sempre così, sprofondati dentro divani di velluto, con uno schermo ad altissima definizione seppure all’aperto e ragazze vestite da Betty Boop che ti offrono popcorn caldi. Vecchia e nuova America insieme, e vai con un altro link.

Il cinema dentro la grotta del Cana Dorada Film & Music Festival. Foto: Daniele Venturelli

L’orgoglio latino fa presto a contagiarti. La mora che presenta le serate – Zuleyka Rivera, leggo sul programma – è portoricana ed è stata una Miss Universo incoronata da Trump, poi – lo scopro alla festa dell’ultima sera – la protagonista femminile del video di Despacito: c’è tutto, non manca niente. E, appunto, ci sono le feste, coi latinos mica si va a dormire dopo il film. Le feste e, prima, le magnifiche cene allestite in luoghi che non possono mancare nella mappa del lusso caraibico (il golf club, il circolo equestre, la marina con gli yacht), tra enormi palle di rose come centrotavola (non osiamo chiedere il prezzo) e piatti d’aragosta e asado. Qua tutti i link s’allacciano: il modello, più che un semplice festival, è un evento in cui fare rete, ballare e chiacchierare, e scambiarsi numeri di telefono per progetti futuri. Il filmato prima delle proiezioni della sera, dopotutto, lanciava la Repubblica Dominicana come luogo ideale per i set cinematografici che verranno: mica c’hanno torto. Se ce l’ha fatta la Puglia (anzi: l’Apulia), questa film commission dei Tropici potrà ben superarla.

Torniamo a ballare anche noi accanto alla divina Madalina Ghenea, bellezza d’un’altra specie ma senza pose, anzi piena d’ironia, che letteralmente svetta su tutti e sta insieme al gruppo degli italiani: eravamo io, e i produttori Nicola e Marco De Angelis premiati per la serie Baby, e il “loro” neodivo teen Lorenzo Zurzolo, e il regista Andrea De Sica, che fa video in slow-motion con l’iPhone, pure lui preso dall’orgullo tutt’attorno.

Arrivati all’ultima sera, il numero zero pare riuscito, anzi riuscitissimo. Sarà l’aria dell’oceano, sarà lo spirito local, sarà quel che sarà, ma si percepisce l’allegria e non la stanchezza di certi festival da levatacce e badge al collo, con gli invitati e gli accreditati che, tra una proiezione e l’altra, hanno solo il tempo per sbuffare. Ci si prenota per il numero due l’anno prossimo, sottopalco per El Puma prometto che mi lancerò anch’io.

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