X Factor 2025, le pagelle dei primi Bootcamp: qualcuno ci salvi dalla noia

Ritmo compassato, tavolo sonnolento, mancano Manuel Agnelli da una parte e concorrenti che spaccano dall’altra. E le nuove regole – le carte semaforo, la discussione tra i giudici silenziata per i ragazzi ma non per noi – non aiutano, anzi rallentano.
Se il cattivo giorno si vede dal giovedì sera, ci avviamo a una delle peggiori edizioni. Ma non sarebbe la prima volta in cui le puntate propedeutiche danno un’indicazione smentita poi ai live.

Abbiamo però scoperto un nuovo pregio di Giorgia: è così buona, gentile e sensibile che quando una cosa le fa proprio schifo dice «il batterista è bravo, eh» esattamente come le donne a me dicono «però sei simpatico». O «hai begli occhi». Non è vero, non mi usano neanche queste delicatezze. Ma questa è un’altra storia. E poi Giorgia è l’unica che ride alle barzellette di Gabbani. Un appello. Date un X Pass anche a lei e un warning con cui può correggere quei quattro. Insomma, deve diventare la nostra Mattarella, rimandi indietro i verdetti più indegni.

La canzone dei vecchi amanti uno non dovrebbe cantarla se fosse sano di mente. Ma Delia è qualcosa di sovrumano, è musica che esce da dita, bocca, pelle e ti assale impedendoti di rimanere lucido. Non so se era la migliore cover possibile di questo pezzo, non so se Piazzolla in mezzo, se quell’interpretazione così oltre è perfetta. So, cazzo, che mi è venuto il magone, la pelle d’oca, una malattia esantematica e un orgasmo mentre era a quel piano. Ah, mi sono innamorato di lei. Cosa che conferma che è sfortunata in amore.

La (seconda) più bella performance della serata. Mentre canta Mercy sembra persino diventare più adulta, più bella, più artista. Come se la sua linea d’ombra fosse stata sorpassata durante un momento davvero speciale. L’altra volta era stata bravissima, come una scolaretta. Qui si è messa in cattedra, riuscendo a rimanere se stessa, dolce e fragile, ma allo stesso tempo a prendersi tutto mentre faceva la cosa che sa far meglio. X Pass di Paola sacrosanto.

Pensa di essere punk, ma lo è più nell’attitudine che nel cantare. Ha un talento enorme, una capacità di cavalcare la musica, di servirla e domarla, che è raro. Drivers License non è facile da cambiare migliorandola, il suo pop-punk lo fa. Lei è davvero una che potrà fare qualsiasi cosa, bisogna solo capire se finirà con un giudice abbastanza bravo perché ciò accada. E soprattutto se c’è, questo giudice.

Uno di quelli con cui un giudice bravo si può divertire. Perché la voce che ha è uno strumento. Uno strumento a cui lui è sicuramente troppo affezionato, e di cui forse è un filo troppo sicuro. Se saprà decostruirsi mantenendo la voglia di stupire (la sua Crazy ha momenti clamorosi e altri improbabili), se saprà mantenere quella sfrontatezza di chi vola pur essendo un calabrone, potrà andare lontano. Ma farà fatica. Perché dovranno togliergli quei balletti dozzinali dalla testa e dalle anche e dovrà usare la voce non solo come un modo per sbatterti in faccia quanto è bravo ma per fare musica. Certo è che lì dentro c’è un’orchestra soul jazz che aspetta solo un domatore.

La volta scorsa i Muse, ora Adele con Rolling in the Deep. Ecco dei ragazzi che sanno come valorizzarsi. Si vede che sanno quello che fanno, in quel muro di suono senza pecche e densissimo c’è il mestiere di chi il palco brutto sporco e cattivo se lo fa da anni e che ora vuole ripigliarsi tutto quello che è suo nel salotto buono. Il cantante è un fenomeno nella vocalità, allo stesso tempo compatta e sfaccettata, agli strumenti ci sono soldati scelti. Ora bisogna vedere se sono “solo” delle macchine da live o hanno l’x factor.

Lui è un artista vero. E serio. Sui pezzi ci lavora, va di cesello, è un producer vocale e di forma e di contenuto di rara precisione. Tanto che quell’Auto-Tune ridondante e un po’ vecchia maniera sembra quasi penalizzarlo. Quando è sul palco, con quella faccia da personaggio di Mare fuori e quegli occhi appassionati e malinconici, ti ipnotizza. Ha bisogno di chi lo guidi senza forzarlo e cambiarne l’identità. E che meraviglia quel pianto al telefono con la mamma che esulta.

Bravo, l’ha fatta perfettamente. Però, continuo a non capirlo del tutto, forse perché si nasconde dietro quel sorriso che serve un cavalcavia per percorrerlo tutto e poi ti spiazza con la frase «volevo ascoltare il silenzio». Ma Sei acqua di Venerus ha un grado di intimità e di musicalità (la fa al piano, lui canta in modo emulativo) che non si sente nella performance pulita e ineccepibile (troppo?) di questi Bootcamp. Però qua emoziona, mentre la volta scorsa sembrava uno dei tanti.

La vedi vestita da Barbie sudameripoletana, da Ariana Grande dei bassi, con quella coreografia che sembrerebbe eccessiva pure agli Aqua e dici «ma che ci fa qua». Però quella voce è cristallina, lei non sbaglia nulla e alla fine, per dirla alla Jake, è una «che le cose tamarre le fa bene». Certo per levarsi i brillantini dalla pancia ci metterà una settimana buona, ma ne è valsa la pena. Il punto è che alle Last Call voglio sentirle cantare Fiorella Mannoia, che se mi rifà il trash pop mi viene l’orticaria.

Foto: Virginia Bettoja

Le tasche piene di sassi, amico mio, dovevi portarla la prima volta. E poi le Last Call te la giocavi con Pippetta e a nanna. Scherzi a parte, pur rimanendo convinto che oggi sia venuto il gemello, va detto che portare questo Jovanotti dopo che è diventato il claim trash di questa edizione è da artista con gli attributi. Non vocali, però, merita di essere salvato dall’insufficienza per questo.

Foto: Virginia Bettoja

Passi ai Bootcamp con un inedito originale e graffiato, una delle cose più difficili da queste parti. E cosa fai? Ti metti nei guai con una versione di Amore disperato – che è uno di quei pezzi ghigliottina, che ammazzerebbero un cavallo – di sicuro divisiva e altrettanto certamente non riuscita. Perché teoricamente è una figata mixare Nada con The Weeknd, ma nella “pragmaticità” come direbbe Gabbani, è come camminare con gli anfibi sulle uova. Un gran peccato, perché su di lei si poteva lavorare. Esce fuori, probabilmente, perché è sembrata supponente. E un po’ leziosa. Quando gli artisti sono i primi a non capirsi. Però a un suo concerto ci andrò. Come ha detto Paola Iezzi «qualcosa c’era».

La loro Come Together è una paraculata fatta male. Ma conquistano un Achille Lauro in animazione sospesa, sempre con un tempo in più, quando parla e quando giudica. E il suo X Pass per loro è davvero incomprensibile. Però oggi deve aver passato troppo tempo davanti allo specchio per diventare Dylan Dog (come ha notato Fabio D’Innocenzo: voglio un cinecomic sull’inquilino di Craven Road 7 diretto da te e tuo fratello Damiano!). Con loro senti tutti i limiti di X Factor. Se vai in un locale ne troverai tanti come loro, anzi meglio di loro, che prendono i Beatles e sanno massacrarli con stile e tirarne fuori una figata. Qui una cosetta facile facile sembra musica ribelle e spettinatissima. E ci cascano tutti.

Che incazzatura. Quella voce poteva fare più strada, ma la sua Alicia Keys è decisamente scolastica, perché doveva tornare, lei sì, sui percorsi alla Ready or Not che le consentivano di dare tridimensionalità alla voce che proprio perché notevole, deve essere un trampolino per osare, non per specchiarsi. Poi quel “quando avrò tempo” sul pezzo sbagliatissimo fa capire che non ha voglia di imparare. Da far vedere agli aspiranti concorrenti per far capire loro tutto quello che puoi fare se vuoi rovinarti con le tue mani. Stessa cosa per Luciano Dattoli che però, diamine, ha un alibi grosso quanto una casa: ha 16 anni. Persino la sua battuta infelice sulla chitarra la fa meglio.

Foto: Virginia Bettoja

Bella storia di amicizia, da buddy movie. Il cantante che per tenere a sé il migliore amico, si adatta a lui e probabilmente perde l’occasione della vita, ma senza rimpianti. Una bella storia, ma la bella voce di Ale si adagia su una schitarrata banalotta e non capisci se è il primo che non sa fare a meno della comfort zone (emotiva e musicale) o se il sentimento è più forte dell’ambizione. Temevamo che quella voce roca e grattata fosse un’opportunità, alla fine è diventata una prigione. Però che belli che sono. Pure se va detto che Repetto poi alla fine se n’è andato, in caso ragazzi tornate insieme per una serie televisiva.

Foto: Virginia Bettoja

Questo voto feroce ha una sola motivazione. Tu porti Italodisco e, quando arriva il ritornello tu perdi l’occasione di cantare “questa non è Ibiza, ma è Milano ed è piena di figa!”. Non vi perdoneremo mai, eravate gli eroi di cui avevamo bisogno.

Foto: Virginia Bettoja

Alle Audition un inedito, questa volta la cover di Per dimenticare degli Zero Assoluto. E tu li inviteresti anche a suonare al sesto compleanno di tuo figlio, ma chiedendoti perché due pezzi decisamente diversi finiscono per sembrare simili. Non solo nei suoni e nelle armonie, ma persino nei gesti, nelle tonalità vocali. Per dimenticarli, sinceramente, non faremo una gran fatica. A loro uno zero relativo.