FOTO
«La mia vita è più felice di giorno in giorno. E mi sento sempre meglio col passare del tempo». Firmato: Tilda Swinton. Una dichiarazione da sottoscrivere parola per parola. Oggi, a 60 anni tondi (auguri!), l’attrice scozzese è forse al suo meglio (vedi, in fondo alla classifica, il recente progetto a sorpresa con Pedro Almodóvar). Interprete tra le più versatili, icona fashion, madrina di grandi autori contemporanei (Luca Guadagnino: who else?), ecco il suo best of.
Nel cinecomic che lancia Benedict Cumberbatch nell’immaginario pop, Tilda (con tanto di bald cap) interpreta l’Antico, il maestro che inizia Strange al mondo della magia e delle dimensioni alternative. Il ruolo era stato inizialmente concepito per un uomo di origini asiatiche, ma la Marvel ha parlato di radici celtiche del personaggio nella declinazione cinematografica. Ci sono state le immancabili proteste, ma Swinton (una volt di più perfetta nella sua androginia) ipnotizza e irradia potere ultraterreno. Anche mentre impacchetta edifici nel centro di Londra.
Cosa sarebbe stato il primo film in inglese di Bong Joon-ho senza la nostra? Snowpiercer usava il treno come una surreale e terribile allegoria sociale della lotta di classe. E soltanto un ghoul grottesco come il personaggio di Tilda, Mason, la folle e malvagia boss della sezione di testa, avrebbe potuto tenere in movimento anno dopo anno un quel mezzo mostruoso attraverso una nuova era glaciale, rendendo più plausibile il racconto. Nella recente serie ispirata al lungometraggio, il suo character è stato sostituito dalla sofisticata responsabile dell’accoglienza interpretata da Jennifer Connelly. E non è la stessa cosa.
Ultimo progetto (in ordine di tempo) di Tilda con il suo BFF Luca Guadagnino (gli altri sono, ovviamente, più avanti): nel dialogo ideale con il maestro Dario Argento, da cui poi il regista si distacca, la camaleoticissima Swinton si accolla ben tre ruoli. Il più riconoscibile è quello di Madame Blanc, direttrice della prestigiosa scuola di danza berlinese Markos Tanz, che instaura da subito un rapporto particolare con la nuova allieva Susie Bannion (Dakota Johnson). Per gli altri due personaggi (che non sveleremo, guardate il film e provate a riconoscerla) il merito va anche alle meraviglie (o orrori, in questo caso) del trucco prostetico e del suo mago, il premio Oscar Mark Coulier. E al clamoroso trasformismo di Tilda.
Questo è il one man show di George Clooney, alias l’avvocato da squalo a redento. Ma l’Oscar se lo porta a casa Tilda, nei panni della collega invece tutt’altro che votata alla correttezza. Finalmente la statuetta: ma – possiamo dirlo? – non in uno dei ruoli che definiscono al meglio il carattere di Swinton. O forse è lei che riesce a scomparire così bene nei tailleur e nel caschetto della sua Karen Crowder da farci dimenticare chi è davvero: e anche questa è una mossa da maestra. Che l’Academy abbia siglato il suo talento, anche quello prima poi doveva succedere. E alla fine va bene così.
Prima, coi fratelli Coen, c’era stato il già clamoroso Burn After Reading, dove però il comprimario che rubava la scena era uno scatenato Brad Pitt con cuffiette e tenuta da runner. Ma è nel sottovalutato Ave, Cesare! che Tilda regala ai “bros” tutta la sua verve. Nei doppi panni delle gemelle coltelle Thora e Thessaly Thacker, a loro volta ispirate alle regine del gossip della Golden Age hollywoodiana (nonché acerrime rivali) Hedda Hopper e Louella Parsons. Una performance impeccabile, almeno quanto le mise e i cappellini 50s.
Altro giro, altra trasformazione mindblowing, altro capolavoro di Coulier. E di Tilda che, al contrario di colleghe e colleghi ossessionati dalla giovinezza, si fa invecchiare più che volentieri, soprattutto se è per il film più celebrato di Wes Anderson. Ancora una volta grazie a lattice, parrucconi e finte cataratte, Swinton si siede pazientemente per 5 ore di trucco ogni giorno e si trasforma in Madame Céline Villeneuve Desgoffe und Taxis, la ricca vedova di 84 anni con un debole per Gustave, il concierge interpretato da Ralph Fiennes (i due lavoreranno di nuovo insieme l’anno successivo thanks to Guadagnino, vedi più avanti).
Dopo gli esordi “baconiani” con Derek Jarman (da Caravaggio a Edoardo II), è Sally Potter ad offrirle il ruolo che la consacra sulla scena internazionale. Quello dell’eroina fluida (allora però l’aggettivo non si usava) di Virginia Woolf, in una storia sulla ricerca dell’identità che va dall’era elisabettiana (favolosi i costumi di Sandy Powell) al giorno d’oggi. La protagonista avrebbe meritato una nomination all’Oscar: ma era nato un nuovo idolo cinéphile, e (al momento) tanto bastava.
Nella sua prima incursione nel genere horror Jarmusch non poteva trovare musa migliore di Tilda. Che, in questo languido romance in cui due vampiri amanti (Swinton e Tom Hiddleston) combattono con le noie dell’immortalità, la nostra è Eve, edonista, raffinatissima e colta, che vive a Tangeri tra stoffe pregiate e libri in mille lingue diverse. Una Swinton lunare, inguaribilmente snob, fuori dal tempo eppure dentro il tempo. La miglior vampira al cinema dai tempi di Catherine Deneuve e Miriam si sveglia a mezzanotte. Tildissimamente Tilda.
Il dimenticato, purtroppo o per fortuna, The Protagonists (1999) aveva avviato il sodalizio professionale (l’amicizia già c’era) tra Tilda e Luca Guadagnino. Ma è Io sono l’amore a definire la loro collaborazione sullo schermo. La nostra è credibilissima come lady milanese residente a Villa Necchi e obbligata da una travolgente passione (per il cuoco Edoardo Gabriellini) a portare scompiglio nel quadretto altoborghese-viscontiano. Non solo la regia, il décor, lo stile subito inconfondibile dell’autore: anche la presenza di Tilda contribuisce a lanciare Guadagnino sulla piazza globale. Un passaggio cruciale per entrambi.
Ancora Tilda by Guadagnino, e per noi la migliore. Nella voluttuosa danza erotica mediterranea di Guadagnino, basata su film La piscina di Jacques Deray, Swinton è una rockstar in vacanza a Pantelleria con il fidanzato (Matthias Schoenarts) perché deve riposare le corde vocali. Tutto bene, finché non arriva il suo ex manager (e amante), interpretato da Ralph Fiennes, con la figlia Dakota Johnson. Guadagnino toglie la voce a Swinton (tranne per qualche occasionale sussurro). E lei, novella sirena muta del cinema, trasforma una mancanza in un trionfo. Impossibile staccarle gli occhi di dosso.
Si può creare un capolavoro in tempi di lockdown? Sì, se Pedro Almodóvar prende il più famoso monologo di Jean Cocteau e lo affida a Tilda Swinton. Il primo progetto in lingua inglese dello spagnolo più amato del cinema diventa un corto di trenta minuti in cui la star giganteggia, tra asce comprate dal ferramenta (e forse mai usate) e la telefonata al vecchio amore che già conoscevamo (ma stavolta con gli AirPod, non più alla vecchia cornetta). E un guardaroba strepitoso, che siano abiti da gran scena o dolcevita a costine rosse. Il (mini) film più applaudito a Venezia 77: speriamo che possano vederlo tutti molto presto.
Restiamo
in contatto
Ti promettiamo uno sguardo curioso e attento sul mondo della musica e dell'intrattenimento, incursioni di politica e attualità, sicuramente niente spam.