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È il quesito che continua a dividere il mondo (si fa per dire): Robert Pattinson è rimasto il belloccio di Twilight o è un attore (d’autore) sempre più completo e maturo? Per festeggiare il compleanno dell’attore inglese, ecco i 10 titoli che daranno la risposta definitiva all’annosa questione. O forse no?
Più che per Harry Potter, a un certo punto al Torneo Tremaghi ci troviamo a fare il tifo per Cedric Diggory, il mago leale e fascinoso della casa di Tassorosso. Il debutto di Rob non poteva che avvenire a Hogwarts, e il suo personaggio non poteva che morire in grande stile: ucciso da Codaliscia su ordine di Voldemort, in un finale da brividi. E c’è anche il momento romantico: quando si presenta al ballo con Cho Chang, la favorita del povero Harry. Era il debutto, e Rob sfoggiava già il carisma del rubacuori un po’ bastardo.
Un biopic su James Dean: ma l’ormai divo Rob non fa il divo a sua volta. Interpreta, invece, il fotografo che lo scatta per il celebre shooting di Life Magazine. L’intenzione, per chi ancora non l’aveva capito, è sempre più chiara: non sono io il prim’attore, l’idolo delle folle, il volto da poster in cameretta. Voglio essere “altro”. E ci riesce. Senza lasciare troppo il segno, almeno non stavolta: dopotutto, in quanti ricordano questo film, nonostante la regia di Anton Corbijn?
Altro giro, altro ruolo da comprimario. Largo ai nuovi divi: ovvero Timothée Chalamet, che dà volto e chioma a scodella allo scespiriano (ma contemporaneo) protagonista Enrico V. Ancora nelle mani dell’australiano David Michôd, uno degli artefici della sua svolta indie (vedi una posizione più avanti), Pattinson diventa Luigi “il delfino di Francia”. Un ruolo da spalla in cui può divertirsi a briglia sciolta, tra parruccona bionda e mossette übercamp. Forse non è ancora completamente a suo agio in questo registro: ma apprezziamo lo sforzo.
David Michôd, dicevamo. Quest'altro film da lui firmato, presentato al Festival di Cannes del 2014, è il primo titolo uscito dopo il finalone della Twilight Saga. Tutti aspettavano l’ex vampiro al varco. E lui fa subito capire che di blockbuster romantici e fan impazzite non vuole più saperne. Eccolo dunque tra il sangue e la polvere del bush australiano, in un western post-apocalittico apprezzato dalla critica internazionale. Che si accorge (definitivamente) di lui. C’è un nuovo cinema davanti.
Dopo la tripletta Come l’acqua per gli elefanti (argh), The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 1 (aaargh) e Bel Ami – Storia di un seduttore (aaaaargh), “un film di David Cronenberg”. Ma come, ma che succede? Succede che Pattinson vuole cambiare aria: e ce la fa, eccome se ce la fa. Nelle mani del maestro delle visioni e delle perversioni, è ancora un po’ acerbo. Ma la scena di sesso in limousine tra lui e Juliette Binoche non si dimentica: altro che i batticuori del “Dracula delle mele”.
Il merito filmico (e interpretativo) è quello che è, non dobbiamo nemmeno dircelo. Ma il ruolo del vampiro traslucido Edward Cullen resta insieme la delizia (per fama planetaria raggiunta) e la croce (per marchio indelebile sulla carriera) del nostro. Appena finita la serie, Robert ha fatto capire molto chiaramente che non avrebbe più voluto saperne. Perché i film si sono succhiati (pardon) tutta la sua vita: dai gossip sulla storia con la collega Kristen Stewart alle scene di psicosi collettiva tra set e première. Ma lui almeno era bravo? Prossima domanda, grazie.
Sul finire degli anni ’10, ad ogni nuovo film Pattinson sembra alzare la posta. Stavolta si cimenta in un horror sci-fi diretto da una veterana di Francia (Claire Denis), in cui ritrova la Juliette Binoche lasciata nella limousine. Ma, tra una sequenza sexy-gore e l’altra, questa è soprattutto la storia di un padre perso in uno spazio più esistenziale che fisico. E, anche se il risultato è un ibrido non bilanciatissimo, l’attore si dimostra all’altezza dell’ennesima trasformazione. Unico problema: non l’ha visto nessuno, in nessuna delle galassie finora conosciute.
Il ruolo della consacrazione? Probabilmente sì. O almeno quello che sa tenere insieme meglio di tutti il grande blockbuster (come era stato Twilight) con la deriva d’auteur che ha preso la carriera di Rob negli anni successivi. Emo, tormentato, “Metallico” (in senso rock): l’Uomo Pipistrello versione Pattinson è insieme fedelissimo al fumetto originale e über contemporaneo. Critica e pubblico hanno apprezzato assai, e adesso arriva il sequel: giusto così.
Se c’è una cosa che non manca a Rob, è il coraggio. Quello, soprattutto, di lanciarsi in imprese spericolate con registi che richiedono proprio questo: un’adesione totale al progetto, costi quel che costi. È precisamente quello che vogliono Josh e Benny Safdie (rimandiamo anche al loro ultimo film: Diamanti grezzi, con un monumentale Adam Sandler). Per l’epopea disperata del rapinatore con fratello disabile al seguito (da noi arrivata direttamente su Netflix), il protagonista compie un tour de force come mai prima. E, trovando un “Metodo” tutto suo, pare diventato grande davvero.
Uno dei film più folgoranti dell’anno passato (vergognosamente mai uscito in Italia) diventa il veicolo per la consacrazione artsy finale di Pattinson. Diretto dal Robert Eggers di The VVitch e affiancato da un sempre gigantesco Willem Dafoe, la star veste i panni e i baffoni del guardiano del faro visitato da spettri e orrori assortiti. Un radicale (e sontuoso) bianco e nero contrappunta la svolta altrettanto radicale di Rob, mai stato più convincente. Allora, è bravo? Qui, assolutamente sì. Ora attendiamo il Bat-segnale.
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