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Nicole Kidman è un’aliena. Per la bellezza sovrumana, certamente, ma soprattutto per il coraggio con cui si è lanciata nei progetti più spericolati, alzando sempre di più la posta (e il rischio) in gioco: nessun’altra diva, come lei o quantomeno prima di lei, ha saputo diversificare autori e generi, blockbuster e cult indipendenti, fallimenti e rinascite. Facendo di ogni progetto una sfida personale, e dimostrando un talento anche quello extraterrestre. E non privandosi di niente: dal gossip (con un certo Tom) all’Oscar, da Stanley Kubrick alla tv (con una delle serie più amate e premiate degli ultimi anni: <em>Big Little Lies</em>). Oggi compie gli anni: ecco il suo (incompleto) best of.
Uno dei biopic più brutti degli ultimi anni. Ma solo Nicole avrebbe potuto dare credibilmente il volto alla più divina delle divine: Grace Kelly. Questa però non è solo una gara di algida bellezza. Nic fotografa la principessa nel momento in cui è tentata dal ritorno al cinema (sempre con Hitchcock), restituendone le contraddizioni (e le mise impeccabili) con vibrante sensibilità. E salvando dal completo disastro questo “bellissimo di Retequattro”.
A rendere questo mezzo pasticcio un piccolo cult basterebbe la scena ad altissimo tasso di “<em>weirdo</em>” in cui Nicole orina addosso a Zac Efron punto dalle meduse. Ma la nostra fa di più: in anni in cui non becca un film, si prende il gusto di fallire di nuovo, ma in un ruolo da bambolona “<em>larger than life</em>” che veste con spericolata autoironia. E così l’ennesimo flop diventa un successo personale: a sorpresa, arriva pure una nomination ai Golden Globe. Nic salva sempre tutto: non solo con la pipì.
Tra le grandi star della nostra epoca, Kidman è tra le poche che, fin dall’inizio, hanno voluto e saputo guardare oltre Hollywood, incuriosite dalla diversità delle cinematografie globali. Il “vizio” è arrivato agli anni più recenti, illuminati da performance come la “mammina cara” di questo incompreso family psycho-drama firmato dal maestro sudcoreano Park Chan-wook. Una delle madri (di Mia Wasikowska) più <em>bitch</em> della storia del cinema: che Nicole – con caschetto che autocita <em>The Others</em>– rende indimenticabile, che ve lo diciamo a fare.
Nell’anno dei suoi cinquant’anni, la diva accetta l’offerta di Sofia Coppola: fare l’istitutrice in mezzo a più giovani fanciulle (da Kirsten Dunst a Elle Fanning), passando definitivamente loro il testimone. Ovvio non va così: nel remake del classico <em>La notte brava del soldato Jonathan</em> con Clint Eastwood (qui diventato Colin Farrell), la nostra primeggia ancora. Presentato a Cannes 2017 insieme ad altri tre (!) titoli che la vedevano protagonista: <em>Il sacrificio del cervo sacro</em> di Yorgos Lanthimos, <em>La ragazza del punk innamorato</em> di John Cameron Mitchell e la seconda stagione di <em>Top of the Lake</em> di Jane Campion. Nicole ne è uscita con il premio speciale per il 70esimo anniversario del Festival, assegnato a sorpresa dalla giuria presieduta da Pedro Almodóvar. Ancora la numero 1.
Nicole strega? Sì per ben due volte. La prima è qui, al fianco di Sandra Bullock, in un film senza pretese, magari un po’ sgangherato, ma irresistibile soprattutto grazie alle protagoniste: due sorelle con poteri magici, eredi di una maledizione che uccide tutti gli uomini di cui si innamorano. Sandra è quella tranquilla e giudiziosa, mentre Nicole, qui ancora con chioma rosso fuoco, sciupa un compagno dietro l’altro finché la situazione precipita. Un incrocio spesso bistrattato di thriller soprannaturale, rom-com e drama, che però a suo modo è un piccolo cult. Vedi le scene degli incantesimi.
O lo ami, o lo odi. Di certo, fin dalla première a Venezia 2004, il film di Jonathan Glazer ha diviso la critica (come tutti i film di Jonathan Glazer: ma questa è un’altra storia). In questo raffreddatissimo thriller paranormale, nessuno può però discutere la prova straordinaria (ma dai) di Nicole, con taglio alla Mia Farrow in <em>Rosemary’s Baby</em> (tre le fonti d’ispirazione dichiarate) e almeno una sequenza da applausi a scena aperta: i due minuti di primo piano fisso, con la macchina da presa che “zooma” a poco a poco sul volto dell’attrice, registrando ogni sfumatura, ogni emozione. Il talento puro, senza (apparentemente) fare niente.
L’Oscar sarebbe dovuto arrivare l’anno prima per <em>Moulin Rouge!</em> (vedi più avanti), ma ringraziamo il naso posticcio di Virginia Woolf che l’ha portato comunque. Al di là del make-up, che sull’Academy fa sempre molta presa, il ritratto che Nicole consegna della scrittrice inglese è un capolavoro di sottrazione, nonostante la parabola che porta dalla depressione al suicidio. E rende memorabile – insieme alle compagne di scena “a distanza” Meryl Streep e Julianne Moore – un’opera che rischiava di restare solo un compitino ben fatto. Ci vuole naso anche per svoltare i film (pardon).
Un Hitchcock senza Hitchcock: fatte le debite proporzioni, si può fare. Prima di perdersi in filmetti che (per fortuna) non ha visto nessuno, Alejandro Amenábar aveva stile, visione, tensione. E un’attrice da far davvero invidia alle favorite di Sir Alfred. In questo Kammerthriller non è impeccabile solo l’acconciatura con onde anni ’40 della protagonista: è perfetta la sua totale adesione alla claustrofobia fisica e psicologica dell’affresco orrorifico, in cui anche lei omaggia e insieme aggiorna la storia del genere (e le sue eroine). Era il 2001, come <em>Moulin Rouge!</em>: che ottima annata.
Nelle mani di due australiane eccezionali come Jane Campion e Nicole Kidman, il capolavoro di fine ’800 firmato Henry James diventa una miniatura esattissima del bisogno di emancipazione femminile di ieri come di oggi. E anche la protagonista fa della sua Isabel Archer una figura al contempo classica e modernissima, proprio come la sua recitazione. Dopo il flop di <em>Batman Forever</em> (in cui comunque lasciava la sua magnifica presenza), Nic è ormai un’attrice totale. Avrebbe dovuto tornare a lavorare con Campion per <em>In the Cut</em> (poi sbolognato a Meg Ryan), lo farà molti anni dopo con la serie <em>Top of the Lake</em>: è andata meglio così.
Quando Nicole fa una capatina in tv, lascia il segno: nel cast al femminile più clamoroso della serialità, tra Reese Witherspoon e Laura Dern (che fanno quello che sanno fare meglio), c’è lei. Che interpreta Celeste, una donna bellissima e dolente intrappolata in una relazione violenta con il vichingo Alexander Skarsgård, nonché nuora di Meryl Streep. Kidman ha occhio per le hit: è anche produttrice di questo sguardo lucidissimo e disilluso sulla ricca borghesia californiana. E per il ruolo si è portata a casa un Golden Globe e due Emmy.
Dicevamo della passione di Nicole per il rischio. In questo esperimento tra cinema, teatro e letteratura by Lars Von Trier (da cui, pare, uscì parecchio turbata), Kidman interpreta una donna in fuga che viene accolta da una comunità in Colorado, fino a diventare il fulcro dei loro desideri repressi. Una parabola brechtiana che è anche un revenge movie, girata su un set astratto, con l’assenza pressoché totale di scenografia e con il massimo della stilizzazione. Un Von Trier in purezza, che si mette al servizio degli attori: senza la grazia misteriosa di Nicole, non ci sarebbe nessun film.
Il discusso canto del cigno di Kubrick segna anche l’inizio della fine per la coppia più potente e amata degli anni ’90: Nicole e Tom Cruise si erano conosciuti dieci anni prima sul set di <em>Giorni di tuono</em>, poi qualche anno dopo erano stati protagonisti di <em>Cuori ribelli</em> ma, soprattutto, di una delle love story più chiacchierate dello showbiz. E Stanley vuole proprio loro, bellissimi e apparentemente perfetti, per questo psicodramma erotico, in cui due coniugi dell'alta borghesia entrano in crisi quando cominciano a incrociarsi desideri, fantasie sessuali, adulteri sognati o mancati. Un instant cult assolutamente inseparabile dalla storia matrimoniale di Tom e Nicole. E la malizia di Nic con gli occhiali e la camicia sbottonata è un brivido caldissimo.
Matrimoni a parte, l’ingresso di Kidman nella A-list arriva grazie a questa commedia nerissima e grottesca di Gus Van Sant, che la vuole in versione Barbie di provincia e le serve su un piatto d’argento il suo primo Golden Globe. Il film racconta la vicenda della meteorina di una stazione locale che vuole diventare una star del giornalismo televisivo. E per inseguire il suo sogno non esita a sfruttando il suo potere di seduzione su tre adolescenti complessati (uno è Joaquin Phoenix) con l’obiettivo di far uccidere il marito in odore di mafia (Matt Dillon). 25 anni dopo è ancora una delle performance più clamorose di Nicole.
È il musical jukebox di culto by Baz Luhrmann a regalare a Nicole il ruolo della vita: quello della cortigiana stella del più famoso locale notturno di Parigi, il Moulin Rouge. L’Oscar quell’anno andò a Halle Berry per <em>Monster's ball – L'ombra della vita</em>, dimenticabilissimo e infatti dimenticatissimo. La storia d’amore tra Satine e lo scrittore squattrinato interpretato da Ewan McGregor sui tetti della Ville Lumière di fine ‘800 ha fatto la storia del cinema e del costume. Tra medley con <em>Your Song</em> all’ombra di elefanti e di cover di <em>Diamonds Are a Girl's Best Friend</em> sull’altalena, Nicole è una visione. Satine una volta, Satine per sempre.
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