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Ci ha messo 50 anni Morgan Freeman perché a Hollywood lo prendessero davvero sul serio come attore. Già sembra impossibile, ma è andata proprio così. E oggi che di anni ne compie 83 (auguri!), vi sfidiamo a trovare qualcuno che sia più universalmente amato di lui. Merito anche di una voce fuori dal comune. E di una leggenda, che si può riassumere più o meno così: non avrai altro Dio all’infuori di Morgan Freeman. Uno status alimentato dai ruoli che ha interpretato. Abbiamo scelto i migliori.
Oltre che Dio (ma ci arriveremo più avanti), Morgan il grande è stato anche uno dei politici più venerati di ogni tempo: Nelson Mandela. Nel film tra lo sportivo e il biopic – e non indimenticabile, va detto – che l’amico Clint gli ha cucito addosso. Nei panni di Madiba, l’attore è inappuntabile. Tanto che l’Academy gli ha riconosciuto il merito della performance, con l’ennesima candidatura tra i “lead” di quell’anno.
La guerra di secessione americana vista “dall’interno” di un reggimento composto perlopiù da soldati neri: ma con un occhio ancora troppo bianco, come ebbe a dire la critica dell’epoca. In un cast all-star, il nostro è l’anziano sergente maggiore con cui uno dei protagonisti (Andre Braugher) si ritrovava a dividere la tenda. Per il film vinse l’Oscar la neo-star Denzel Washington: ma anche l’interpretazione del “supporting” Freeman non si dimentica.
Un flop al botteghino, nonostante la presenza di Christopher “Superman” Reese riciclato come attore drammatico, nei panni di un reporter che indaga nel giro della prostituzione di Manhattan. Ma è il veicolo che fa guadagnare a Morgan Freeman, alias il pappone Fast Black, la sua prima nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista. A 50 anni: incredibile ma vero.
Quando Nolan ha deciso di dare un twist più epico e sinistro a Batman con una nuova trilogia, ha scelto la serie A: Christian Bale, Heath Ledger, Michael Caine, Gary Oldman. Poteva mancare uno come Morgan? Ovviamente no. Il regista gli affida la parte di Lucius Fox, il geniale inventore che fornisce a Bruce Wayne tutto il nécessaire da Uomo Pipistrello. Una parte secondaria sì, e dove poteva lasciare il segno solo uno come lui
Altro giro, altra nomination. Stavolta la prima da protagonista. Freeman è l’autista della petulante signora ebrea (Jessica Tandy) che viaggia per l’America e riconsidera i suoi pregiudizi razziali. Quasi un Green Book ante-litteram, del resto ottenne lo stesso successo di statuette: dal miglior film alla miglior attrice protagonista, mentre Morgan fu battuto da Daniel Day-Lewis per Il mio piede sinistro. Succede, anche a Dio.
La “voce più bella del cinema” (e come dare torto a questa tesi: basta vedere, pardon ascoltare, i documentari da lui narrati) non poteva che diventare quella del Padreterno. Morgan, però, qui ci mette anche la faccia: black, perché è giusto così. Nella comedy in cui Jim Carrey sfodera (da maestro) tutto il suo armamentario di facce e di mosse, Freeman è la magnifica presenza che ci rasserena tutti. A questo Dio crediamo senza dubbio alcuno.
Clint fa rivivere i fasti del western e sceglie come braccio destro del suo personaggio Morgan. I due, pistoleri in pensione, decidono di accettare un ultimo lavoro prima di ritirarsi, ma scoprono di non avere più lo stomaco per uccidere. Il lato oscurissimo e mai così profondo della frontiera in un film che si è portato a casa ben 4 Oscar. A ‘sto giro niente per Freeman, ma va bene così.
incher al suo meglio nel thriller psicologico per eccellenza con un cast da far tremare i polsi: i detective sono il nostro e un giovane Brad Pitt sulla rampa di lancio. Il terrificante serial killer da catturare è Kevin Spacey. La damsel in distress è Gwyneth Paltrow. Ma è Morgan a rubare la scena nei panni del poliziotto esperto, ma soprattutto saggio: “L’apatia è una soluzione. Diamine, l’amore costa… costa impegno, lavoro”. E il finale è uno dei più disturbanti della storia del cinema.
Silenzio, parla Morgan Freeman. Clint va sul sicuro e chiede a uno dei suoi favourite di narrare (e di interpretare come non protagonista) la storia di un ex-pugile disilluso (lo stesso Clint) che decide di allenare una giovane cameriera (Hilary Swank). E finalmente Morgan si porta a casa il primo Oscar (come supporting) dopo 5 nomination. Come? Con un pep-talk da antologia rivolto al personaggio di Eastwood.
Nel racconto di Stephen King, Red era un’irlandese bianco, ma Freeman ha dato più anima di chiunque al saggissimo ergastolano che rende la prigione più sopportabile a Tim Robbins. Non avrebbe potuto esserci un altro film in vetta alla classifica (e tra i film più amati di sempre: “O fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire”. E nuova candidatura all’Oscar, of course.
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