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La guida definitiva ai film tratti da Stephen King

Da 'Pet Sematary' (quello vecchio) a 'Carrie' (quello nuovo), il meglio e il peggio del cinema ispirato dagli incubi del Re. In rigoroso ordine cronologico e di simpatia

Artwork by Stefania Magli

C’è questa sorta di luogo comune, o scorciatoia ideologica per critici pigri se preferite, sulle opere di Stephen King trasposte al cinema, secondo la quale “fanno tutte schifo” perché “King non capisce nulla di cinema”; dovendo indicare eccezioni meritevoli a questa regola lapidaria si va di solito a pescare nell’autoriale più spinto, e i nomi che vengono fuori sono sempre i soliti: Shining, Carrie, Misery, Stand By Me, Le ali della libertà. Se va bene pure IT e Il miglio verde.

Situazioni che hanno contribuito alla nascita di questo luogo comune: King è uno scrittore estremamente prolifico e con un gran gusto, soprattutto sulla breve distanza, per i colpi di scena, quelli che da soli ti risolvono un intero film grazie alla botta finale; King è un grande appassionato di cinema, il che da un lato non necessariamente significa che lo sappia fare, dall’altro lo ha portato a mettere il becco in una percentuale rilevante delle opere a lui ispirate.

E poi c’è un discorso più complesso che ha a che fare con il fatto che King è un narratore ficcante cresciuto alla scuola dei racconti brevi e shockanti, e che solo con gli anni ha allargato i suoi confini espressivi e dato pieno sfogo alla sua vena descrittivo-biografica e agli spunti filosofici che necessariamente ti saltano in testa prima o poi a forza di scrivere di mostri e morti ammazzati; il risultato è che viene percepito come il maestro del brivido e del “gotcha!” e spesso anche gli adattamenti delle sue opere più complesse vengono ridotti a una galleria degli orrori che ignora la ricchezza dei mondi creati da King (si veda The Stand, altresì noto come L’ombra dello scorpione).

Fine pippone. Il punto è che se si guarda ai “migliori film tratti da Stephen King” da una prospettiva diciamo storica, o critica, o comunque cercando un minimo di obiettività, è ovvio che la cinquina è quella citata sopra – Shining, Carrie, Misery, Stand By Me, Le ali della libertà. E che scrivere un pezzo a riguardo significa lottare contro, in certi casi, quarant’anni di storia e critica e in sostanza cosa potrò mai scrivere su Shining che non sia già stato scritto, magari meglio, da qualcun altro?

La selezione che segue è… boh, un’alternativa? Una seconda cinquina? “I migliori cinque che non sono quei cinque”? Ed è chiaro che soffrono tutti di un minimo di complesso di inferiorità rispetto ai Giganti che Hanno Indicato la Strada (Shining che spiega come stravolgere un’opera senza farle perdere impatto e qualità, Carrie che dimostra invece come sia possibile fare un capolavoro senza allontanarsi dall’originale). Ma sapete che c’è? STICAZZI, non ho nessuna voglia di essere il sedicimiliardesimo uomo al mondo a parlare del ghigno di Jack Nicholson o della straordinaria Kathy Bates.
Ah: ovviamente “i migliori cinque” chiama a gran voce anche “i peggiori cinque”. Li trovate subito dopo. Anche qui, non sono mica sicuro che siano veramente “i peggiori”, per dire in questa contro classifica anche Dolan’s Cadillac con Christian Slater avrebbe diritto al reddito di cittadinanza. Diciamo che sono tutti selezionati per un motivo, e tra l’altro sono pronto a scommettere che almeno uno di questi non l’avete visto/non sapevate che esistesse; è a questo che serviamo noi, a fare le cose che non avete voglia di fare, e a buon diritto. Prego.

IL MEGLIO DEL KINGHISMO, IN RIGOROSO ORDINE CRONOLOGICO

La zona morta (1983) di David Cronenberg

Primo film citato e già infrangiamo le regole, perché siamo dei veri ribelli, mamma. La zona morta è un film d’autore quanto lo sono Shining e Carrie! Lo firmò un Cronenberg a un passo dall’esplosione definitiva (La mosca è di tre anni dopo) e reduce dai semi-insuccessi commerciali di Scanners e Videodrome, il primo in particolare già estremamente kinghiano peraltro, sospeso com’è tra splatter e telepatia. La zona morta, storia di un tizio che si risveglia dal coma e scopre di avere acquisito poteri psichici, fu un successone di critica e pubblico, e i meriti vanno divisi in egual misura tra lo stesso Cronenberg (sorprendentemente moderato e più interessato al dramma che al sangue e al soprannaturale, forse a presagio di quello che sarebbe diventato di lì a qualche anno) e i protagonisti Christopher Walken e Martin Sheen, perché nel senso, avercene.

Pet Sematary (1989) di Mary Lambert

King ha sempre avuto la fissa delle cose brutte che si nascondono dietro tutto ciò che è quotidiano e banale, e in particolare per quelle che gorgogliano blasfemie sotto il sottile strato di perbenismo e armonia che ammanta la piccola provincia americana (che è poi il motivo per cui sono convinto che ci sia un filo rosso bello grosso che collega il Re al David Lynch periodo Twin Peaks). Pet Sematary, ispirato a sua volta al racconto The Monkey’s Paw di William Jacobs, non è l’apice di questo suo discorso (quello arriva tra poco), ma tra i romanzi che lo affrontano è quello più genuinamente crudele e maligno, che gioca con la morte di innocenti animali domestici e bambini senza un briciolo di tatto ma con tanta voglia di spaventare. E il film di Mary Lambert? Come sopra: è un’operazione intelligente perché non prova a fare niente di diverso dal farci cagare sotto e stare male nell’animo, e a distanza di trent’anni ci riesce ancora benissimo. Aneddoto divertente, soprattutto se messo in prospettiva: esiste un sequel, con Edward Furlong nel ruolo del protagonista; in origine il suo personaggio avrebbe dovuto avere una vagina invece di un pene, ma Paramount rifiutò la proposta perché convinta che nessuno sarebbe andato a vedere un horror con una protagonista femmina. Fa ridere sia guardando in avanti che all’indietro nel tempo.

Cose preziose (1993) di Fraser Clarke Heston

In teoria immagino che l’apice del parallelismo tra Lynch e King sia IT, se lo chiedete a me però nessuna sua opera esprime la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia quanto Cose preziose, un romanzo dove non succede un cazzo finché non ti rendi conto che tutto quel cazzo che è successo serviva solo a caricare a pallettoni uno dei finali più nichilisti e senza speranza mai scritti dal Re. Il film del figlio di Charlton Heston (davvero!) non riesce appieno a restituire la stessa violenza sociologica del romanzo – in particolare per colpa di un finale wearetheworld che sarebbe francamente insostenibile se non fosse pieno di esplosioni –, ma è un’opera elegantissima, sospesa tra horror e parodia, che non rinuncia alla bellezza quando serve e nella quale peraltro c’è un clamoroso Max von Sydow in versione mi arriccio i baffi con aria malvagia che, nei panni di Satana, si divora ogni scena nella quale compare.

La metà oscura (1993) di George A. Romero

Da qualche parte in classifica Romero ci doveva finire, e visto che Creepshow tecnicamente non è SOLO un adattamento kinghiano la scelta ricade su quel film dove Timothy Hutton interpreta il buono e il cattivo insieme, un po’ tipo quello dove Eddie Murphy fa tutti i ruoli, ma meglio. La storia è quanto di più classicamente kinghiano si possa immaginare (del King che ama guardarsi l’ombelico, quello che scrive robe su cosa significa essere un scrittore), con la metà oscura di un noto autore di thriller che prende vita e comincia a fare le robe brutte che fanno tutte le metà oscure che si rispettino; l’esecuzione è ovviamente impeccabile come tutto quello che ha fatto Romero in carriera (quasi), e come tutti i film con Michael Rooker è meglio di come sarebbe stato se non ci fosse stato Michael Rooker.

The Mist (2007) di Frank Darabont

Io lo so che molti lo odiano e altrettanti ritengono che il nuovo finale pensato da Frank Darabont – in difesa del quale vorrei dire che King stesso lo ha adorato, il che abbiamo però stabilito che forse non significa granché – sia un insulto all’originale, ma la verità è che la scienza ha dimostrato più volte che The Mist è un filmone. Certo è un’opera fatta di metafore scritte con il pennarellone nero indelebile con la punta grossa così, e si regge su un’idea semplicissima ai limiti della didascalia (c’è la gente al supermercato; arrivano i mostri; la gente rimane intrappolata nel supermercato; i mostri sono quelli fuori O QUELLI DENTRO?), ma possa Chtulhu banchettare con le mie interiora se non è un monster movie con i sempiterni controcazzi. I mostri ci sono quando serve e sono bellissimi, la loro presenza aleggia sempre sul gruppetto di protagonisti e ne informa ogni scelta, tutto il film è un continuo strappare i momenti di quiete con un urlo o un tentacolo o una morte mala o un* che sbrocca… e a proposito di gente che se ne dice di ogni mentre là fuori ci sono i mostri, segnalo che metà del cast di The Mist è finito a fare The Walking Dead, cioè Darabont che ci riprova ma con gli zombie.

IL PEGGIO DEL KINGHISMO, IN RIGOROSO ORDINE CRESCENTE DI SIMPATIA

I sonnambuli (1992) di Mick Garris

Rispetto ai disastri successivi, I sonnambuli ha solo il difetto di essere un film non particolarmente riuscito, una puttanata che parte serissima parlando di violenze sessuali e sopravvissute e finisce a caciotte. Nessuno di coloro che l’hanno visto ha particolare voglia di rivederlo, ma lo segnalo in quanto scritto da Stephen King in persona per l’occasione – nessun adattamento, quindi, semplicemente una sceneggiatura di merda che viste le tematiche e la delicatezza con cui sono trattate sarebbe con ogni probabilità finita male anche se fosse stata un romanzo.

Secret Window (2004) di David Koepp

David Koepp scrive e dirige l’adattamento di un raccontino di King carino ma non imprescindibile, che gioca con il tema del doppio e per questo motivo funziona infinitamente meglio senza l’apporto del mezzo visivo. Sto dicendo che adattare Secret Window, Secret Garden è di base un’idea un po’ della minchia, e David Koepp, che ne approfitto per ricordare ha scritto il quarto Indiana Jones, che purtroppo è un film che esiste, non sa granché come gestirla, e quindi si affida allo stile e alle faccette di Johnny Depp nella speranza che nessuno si accorga del fatto che ci sta vendendo aria fritta.

L’acchiappasogni (2003) di Lawrence Kasdan

«con i mostri che ti entrano nel culo, la scenografia di Harry Potter nel cervello di un personaggio e Morgan Freeman che legge le battute dal gobbo».
Ringrazio un collega di Rolling Stone per avermi risparmiato di dover scrivere qualcosa su questo pasticcio fornendomene la descrizione perfetta.

Carrie (2013) di Kimberly Peirce

Te lo ricordi Brian De Palma signo’? Te lo ricordi il film definitivo (insieme a Mean Girls) sul bullismo scolastico? Te lo ricordi quando lo rifecero aggiornandolo al 2013, con i telefonini e i video dei socials del Facebook che ti rovinano la vita? Quando Julianne Moore faceva la pazza con la stessa convinzione con cui il Manchester City affronta un’amichevole estiva contro i lettoni dello Staiceles Bebri? Quando la più brutta della scuola era una sventola con le labbra tumide che il resto del liceo può accompagnare solo? Te lo ricordi LO SBAGLIO?

Julie Ganapathi (2003) di Balu Mahendra

Julie Ganapathi è un musical di due ore e mezza nonché remake bollywoodiano di Misery. Questa ve la lascio qui così, senza ulteriori commenti.

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