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Johnny Depp in 15 ruoli essenziali

Da 'Edward Mani di Forbice' ad 'Alice in Wonderland', tutto il meglio (e il peggio) delle interpretazioni dell'attore per il suo compleanno

Meglio: Edward Mani di Forbice (1990) di Tim Burton

All’inizio della sua carriera Depp si è reso conto che sarebbe stato più interessante fare del suo aspetto un ostacolo più che una forza – e Tim Burton era il regista perfetto per spingerlo nella giusta direzione. Essendo essenzialmente una versione Hot Topic più acuta del mostro di Frankenstein, Depp ha trasformato un personaggio definito dal suo isolamento in una performance che sarebbe stata abbracciata da tutti, persino dagli snob arthouse.

Presenza dark nella perfezione simmetrica dei sobborghi, l’eroe solitario e sfigurato di Burton è venuto al mondo come una figura tragica. Ma Depp non consente mai a Edward di esserne consapevole, con gli occhi impassibili dell’attore che riflettono la gioia di ogni nuova esperienza. Impacciato tranne quando taglia magistralmente gli arbusti locali (ma anche barboncini e capelli di signore), Edward è così gentile e disinteressato alla violenza suggerita dal suo corpo che le cicatrici simili a venature che strisciano sul suo viso cominciano presto a sembrare lacrime. E ogni volta che si taglia, il dolore lo senti anche tu.

Peggio: Benny & Joon (1993) di Jeremiah S. Chechik

In realtà Depp non è poi così male in questa quirkfest Nineties, ma la sua interpretazione di Sam, un eccentrico di Spokane con un debole per le star del cinema muto, predice in modo così preciso i suoi lati negativi da dover essere menzionata per forza. Da un lato, il personaggio permette a Depp di mostrare un talento fisico per la commedia: ricrea le dance routine di Charlie Chaplin con una tale perfezione da farle sembrare semplici. Dall’altro Sam è il tipo di personaggio che risulta dall’assemblare goffamente un pasticcio di eccentricità nella speranza infondata che ne esca una persona reale. Quando viene introdotto è nascosto in un albero per divertimento. E questo dice tutto. Forse nessuna frase ha mai articolato il futuro di Depp meglio di quella che gli viene rivolta qui: “Cos’è? Ti va di fare il taciturno?” (In inglese: “Having a Boo Radley moment, are we?”).

Meglio: Buon compleanno Mr. Grape (1993) di Lasse Hallström

Depp non ha esattamente una lunghissima storia di interpretazione di personaggi normali (The Tourist è probabilmente uno dei più vicini, e meno diciamo meglio è). Perfino nel 1993, la normalità dell’omonimo ruolo della star in questo dramma era decisamente contro quel tipo: nella sua prima scena importante lo vediamo incollare prezzi su lattine di zuppa nel negozio di alimentari dove lavora.

Strappato dalle pagine del catalogo più sensibile di Abercrombie, Gilbert è la colla che tiene insieme una complicata famiglia del Midwest: la sua narrazione sincera gli permette di servire da voce della ragione. Sono i suoi parenti quelli strani, dalla madre obesa che non esce mai di casa al fratello minore con problemi mentali (Leonardo DiCaprio) che ha promesso di proteggere. Depp è meravigliosamente tenero, e la disconnessione tra la bellezza dell’attore e la situazione dell’eroe della storia è al centro del potere favolistico del film.

Peggio: The Libertine (2004) di Laurence Dunmore

“Permettetemi di essere sincero fin all’inizio: io non vi piacerò, i gentiluomini saranno invidiosi e le donne saranno disgustate. Non vi piacerò ora, e vi piacerò sempre meno nel corso della storia. Signore, un annuncio: io ci sto, sempre”.

Così dichiara John Wilmot, secondo conte di Rochester, che potrebbe non essere il personaggio più interessante mai interpretato da Depp, ma quasi certamente il più arrapato. È un bel cambiamento di ritmo… anche se desidererete che l’attore non fosse così dedito allo stile di edonista storico per i depravati. La sua tendenza a fissarsi inflessibilmente su un certo modo di recitare una parte dovrebbe funzionare per un personaggio che non può resistere alle sue stesse pulsioni (anche quando viene mangiato vivo dalla sifilide), ma il ruolo ha più capelli finti che intelligenza. Wilmot odia il suo pubblico, e The Libertine è stato il primo film in cui sembrava che anche Depp lo odiasse segretamente.

Meglio: Ed Wood (1994) di Tim Burton

Sarebbe irresponsabile non sottolineare che una delle migliori interpretazioni di Depp è stata quella in cui ha impersonato un uomo entusiasticamente convinto di fare grandi film. Ma sarebbe sbagliato suggerire che l’inclinazione di Ed Wood all’illusione è ciò che ha reso l’attore perfetto per rianimarlo dalle profondità della tradizione hollywoodiana. Al contrario Depp è la persona ideale per la parte perché – come chiarisce il film – l’attore lavora in un contesto pieno d’amore. (Il fatto che non abbia deviato da quell’approccio è ciò che rende la sua performance nei panni di Whitey Bulger un casino così affascinante). Pronunciando anche le battute più patetiche con un sorriso a tutta faccia e una voce che non scende mai sotto la sua ottava più acuta, la star mostra un palpabile affetto per il peggior regista di tutti i tempi – lo stesso amore, in effetti, che Wood aveva per i suoi pacchiani Z-movies. E quei maglioni d’angora!

Peggio: Charlie e la fabbrica di cioccolato (2005) di Tim Burton

Il Willy Wonka di Depp è una specie di bambino che ha avuto gli incubi con la versione di Gene Wilder del film originale. Reinventando l’iconico magnate calorico di Roald Dahl come un incrocio tra Howard Hughes e un soggetto di To Catch a Predator, Wonka 2.0 è così appariscente che allontana l’intero film dal ragazzo il cui nome è stato finalmente restituito al titolo. E il look di Depp è definito dalla pelle pallida Kabuki e dagli enormi occhiali da sole bianchi: è un pasticcio di idee nuove e cattive che lui e Burton avevano già partorito (è abbastanza chiaro che alla base ci sia Ed Wood).

Meglio: Dead Man (1995) di Jim Jarmusch

Sì, potreste dare la colpa allo psichedelico western di Jim Jarmusch per aver fornito a Depp la falsa sicurezza richiesta per interpretare Tonto (vedi sotto) anni dopo. Ma il film è semplicemente troppo buono per trovargli dei difetti; dalla prima scena, in cui Depp si trova di fronte al leggendario e strambo Crispin Glover su un treno, il film sembrava confermare una volta per tutte che il giovane attore non si sarebbe mai trasformato in un interprete commerciale blando e passeggero.

Depp è straordinario nei panni di William Blake (il contabile, non il poeta), un uomo con un biglietto di sola andata per la propria tomba. Muove con mano leggera il suo anonimo eroe borghese attraverso un omicidio accidentale, una ricerca di spiriti, un mucchio di omicidi non così casuali, e alla fine una comunione con l’anima sbiadita in un Paese che non ha mai veramente conosciuto. Fino ad oggi, nessuno degli altri suoi personaggi ha mai sperimentato un così profondo senso di cambiamento. Per uno che viene scambiato spesso per qualcun altro, William Blake è più indissolubilmente reale di qualunque altro personaggio Depp abbia mai interpretato.

Peggio: Alice in Wonderland (2010) di Tim Burton

Cogliendo una seconda opportunità dopo la sua interpretazione in Charlie e la fabbrica di cioccolato, Depp torna a divertirsi con Burton per rendere maniacalmente un’altra amata icona della letteratura per bambini. Ecco Tarrant Hightopp (alias Il Cappellaio Matto), che – va detto – non è la cosa più appariscente in questa orribile e lunghissima bomba di brutte immagini digitali (quell’onore probabilmente appartiene a Helena Bonham Carter). E in realtà potrebbe non essere colpa di Depp tanto quanto delle pressioni degli studios: la visione di Burton per Alice nel Paese delle Meraviglie non sarebbe mai andata giù a nessuno senza un grande ruolo per una delle stelle più spendibili della Terra. Prendi un personaggio piatto dal romanzo di Lewis Carroll e mettigli in testa una chioma di capelli arancioni: il Cappellaio di Depp è un ammonimento per gli attori convinti che percorrere troppe strade per canalizzare un personaggio li poterà naturalmente a trovare quella giusta.

Meglio: Donnie Brasco (1997) di Mike Newell

Quando la gente si riferisce a Depp come a un “bravo attore”, di solito pensa alla saga gangster di Mike Newell che ha dimostrato che la star, quando ne ha voglia, mette a segni prestazioni serie e riflessive. Nei panni dell’agente dell’FBI sotto copertura Joseph D. Pistone (alias Donnie Brasco), Depp alterna le modalità 21 Jump Street e Quei bravi ragazzi. Sì, spende all’incirca l’82% del suo tempo sullo schermo chiamando il mafioso Lefty di Al Pacino “figlio di puttana” (e per il restante 18% nega di esserlo lui stesso), ma pronuncia ogni battuta nel crudo linguaggio della malavita con l’angoscia appena percettibile di un ragazzo che sta facendo audizioni per il ruolo della sua vita. Ogni volta che Brasco va in giro con i suoi simboli mafiosi o prende a pugni un vecchio conoscente che si riferisce pubblicamente a lui con il suo vero nome, Depp lavora per rendere il personaggio simultaneamente autentico e spaventatato. Il tutto per costruire uno dei suoi migliori momenti sullo schermo, ovvero quando Pistone spiega a sua moglie: “Non sto diventando come loro, Maggie. Io sono loro”.

Peggio: Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare (2011) di Rob Marshall

La carriera di Depp non è stata più la stessa da quando ha incrociato il passo con il capitano Jack Sparrow ed è diventato una bomba atomica; il ruolo al centro del franchise comedy action della Disney ha sostanzialmente trasformato l’attore in una licenza umana per stampare denaro. Sparrow è il pirata più innocuo nella storia del cinema ed è stato creato mixando la biasciata di Keith Richards con la divina goffaggine di Buster Keaton. Nel momento in cui lo stordito principe dei sette mari è tornato per la sua quarta avventura la sua performance è meno “dio della chitarra perennemente ubriaco” e più “tipo con un’infezione cronica all’orecchio forse si è un po’ lasciato prendere la mano con il cosplay”. Potresti anche trovare ironico il fatto che la trama metta Sparrow sulle tracce della Fonte della Giovinezza, ma non c’è bisogno di concentrarsi per capire il motivo per cui il suo yo-ho-ho ormai sembra dannatamente vecchio.

Meglio: Paura e delirio a Las Vegas (1998) di Terry Gilliam

“Chi fa di se stesso una bestia…”

Hunter S. Thompson vive nella performance di Depp, che recita per l’intero film parecchio sopra le righe. La cosa più incredibile dell’interpretazione non è che azzecchi in pieno la voce e il look dello scrittore gonzo e sembri in grado di sostenerli per quasi due ore – inizia con le droghe che fanno effetto e Raoul Duke che scaccia i pipistrelli della sua immaginazione, e può andare solo a rotoli da lì.

Con sguardo di paranoia comica incisa sul suo viso, il Duke di Depp diventa rapidamente una sorta di Virgilio sommerso dalla mescalina che ci guida attraverso un folle inferno del deserto, che intercetta il sogno americano e trova ogni sorta di creature sgradevoli nascoste nei suoi strati più profondi. Divertente e terrificante, è incredibile quanto di questa esibizione finisca per informare il Capitano Jack Sparrow, l’iconica spina dorsale del franchise Disney da miliardi di dollari. In effetti, Depp era così bravo come il “dottore” del giornalismo che, come una cocciuta etichetta di acido, non avrebbe mai veramente lasciato la parte.

Peggio: The Lone Ranger (2013) di Gore Verbinski

Il super flop di Gore Verbinski è molto meglio di quello che tutti dicono, ma la performance nominata ai Razzie (gli Oscar al peggio del cinema, ndt) di Depp nel ruolo del nativo americano Tonto sembra il frutto di un dirigente della Disney che ha visto la star nei panni di Jack Sparrow e pensato: “Grande, ma perché non lo rendiamo più offensivo del 412%?”. Se il lavoro della star in Benny & Joon è stato parzialmente preso in prestito da Buster Keaton, la sua performance qui ruba tutto il pacchetto al maestro del muto, creando una sbadataggine acrobatica con il potere di trasformare un treno in corsa nella sua personale palestra nella giungla. Ma a questo punto della sua carriera, Depp si stava principalmente citando se stesso. Innestando la traballante camminata di Jack Sparrow su una voce che è in parte William Blake e in parte Hunter S. Thompson, il Tonto con gli occhi spalancati di Depp ruota attorno alla periferia di questa epica gonfiata come un pastiche zombificato delle scelte di maggior successo di Depp. Il corvo in testa non è un oggetto di scena, è una metafora.

Meglio: Il mistero di Sleepy Hollow (1999) di Tim Burton

Al momento della terza collaborazione di Depp con Tim Burton, le due anime affini sapevano esattamente quello che volevano l’uno dall’altro. Nei panni dell’agente di polizia ben intenzionato ma impaziente Ichabod Crane è in perfetta armonia con il resto del film, e il suo lavoro si percepisce meno come una performance e più come un’estensione dell’atmosfera meditabonda della storia. È nello stesso mood per la stragrande maggioranza del film (dentro fino al collo al caso, goffo ma brillante) e, dalla sua faccia, sembra sempre che abbia appena annusato qualcosa di terribile. Certo, aiuta che il personaggio effettivamente lo faccia spesso. C’è qualcosa di molto Gilbert e Sullivan (autori di numerose opere comiche a fine ‘800, ndt) in ogni aspetto, come se il regista avesse raccomandato al suo protagonista che ogni sua espressione facciale doveva essere vista dall’ultima fila di un grosso teatro – ma la passione e l’entusiasmo dell’attore fanno funzionare tutto.

Peggio: Mortdecai (2015) di David Koepp

“La sofisticazione ha un nome”, recita il poster – e, a dire la verità, non specifica nemmeno che il suo nome sia Mortdecai. Il personaggio principale di questa figuraccia cinematografica è un commerciante d’arte aristocratico e bon vivant, ma il suo tratto distintivo sono un paio di baffi terribili, costretti a diventare il soggetto di quasi ogni battuta (che, comunque, sono meglio delle cose che escono dalla bocca di Mortdecai). Sotto i baffi c’è il fidato accento britannico di Depp, che questa volta suona come se fosse stato immerso nel brandy.

Dite la verità, non avete visto questo film – nessuno l’ha visto. Quindi non sapete che una delle scene più dolorose del film vede Mortdecai confondere una chiave d’albergo con una carta di credito e citarla come causa della recessione del 2008. O un’altra sequenza segue Depp ed Ewan McGregor che stanno per ben cinque minuti su sedie di pelle fantasia cercando di non mangiare un grosso pezzo di formaggio. Consideratevi fortunati.

Meglio: Rango (2015) di David Koepp

Depp è sempre stato sull’orlo di interpretare un cartoon, quindi non sorprende che abbia accolto con tanto entusiasmo l’idea di farlo davvero (la sua rigida svolta nella Sposa Cadavere non conta). Gran parte del merito spetta a Gore Verbinski e al suo team di animatori, che hanno insistito sul fatto che il cast interpretasse effettivamente le parti piuttosto che registrare soltanto le loro parole in un microfono – il che ha portato a quella che rimane la migliore e più convincente performance in CG, Andy Serkis a parte. Strizzando l’occhio a una serie di tentativi passati di Depp, da Don Juan De Marco ad Arizona Dream, l’omonimo camaleonte che la star doppia in questo western animato non è solo intriso del precedente lavoro dell’attore, ma potrebbe essere la cosa più vicina a un autoritratto che Depp abbia mai fatto.

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