La vita da grandi
Greta Scarano
Per il suo debutto dietro la macchina da presa, Greta Scarano rischia grosso. Con una storia (vera) che mischia commozione, sentimenti e leggerezza. L’esito è sorprendente. Per tono, fluidità, direzione degli attori. Matilda De Angelis è sempre più fuoriclasse (vedi più avanti), ma il suo “fratello” Yuri Tuci, bravissimo attore neurodivergente, non è da meno. Candidato agli EFA, gli Oscar europei.
Cinque secondi
Paolo Virzì
La solita, precisissima commedia umana di Paolo Virzì, che però ci infila anche il family drama, il mélo e un azzardo (riuscito) di legal thriller. Il film che lo riconcilia col suo pubblico è una storia che dal buio cerca la luce, anche letteralmente. E che è retta sulle spalle di un Valerio Mastandrea anche più che bravissimo, come le raggianti Valeria Bruni Tedeschi e Galatéa Bellugi.
Diciannove
Giovanni Tortorici
Un esordio ruvido, punk, leggero, profondissimo. L’ha scritto e diretto Giovanni Tortorici (e prodotto, tra gli altri, Luca Guadagnino). Dentro c’è molto del suo autore, 28 anni da Palermo, e del suo sguardo laterale e centralissimo. Letteratura, educazione sentimentale, un protagonista (il notevole Manfredi Marini) che non vuole fare il piacione come quasi tutti i ragazzi del cinema italiano. Una voce che mancava.
Fuori
Mario Martone
“Le ore del presente sono già leggenda”, si legge su un muro di Roma. Era leggenda (bistrattata in vita) Goliarda Sapienza, che Martone racconta in un falso biopic spezzato, dove il tempo si confonde come la partitura jazz che lo accompagna. Valeria Golino, in un atto di psicomagia, è gloriosa nel ritratto dell’autrice che ha conosciuto da ragazza, e di cui ha adattato (magnificamente) L’arte della gioia. Con lei, Matilda De Angelis nel suo ruolo per il cinema forse più bello e una Elodie sempre più centrata come attrice.
Agon
Giulio Bertelli
Un oggetto inusuale, probabilmente senza fratelli nel nostro cinema. È la storia di tre campionesse sportive, ispirata a fatti reali. È un film di finzione e insieme un documentario. È un reportage divulgativo. È un’opera sperimentale che si interroga sul linguaggio del cinema e il suo futuro. Ed è l’esordio (un altro, segno che il nostro cinema è vivissimo) che ci segnala che è nato un autore: Giulio Bertelli.
Il maestro
Andrea Di Stefano
Non un film sull’ultima passione di tutti gli italiani (leggi: il tennis), ma una commedia all’italiana classica e contemporaneissima che racconta di iniziazioni, fallimenti, sliding doors della nostra vita, piccoli o grandi che siamo. Dopo L’ultima notte di Amore, Andrea Di Stefano riconferma la mano da autore alto che sa essere pop, e ritrova un Favino che è il solito gigante. Meritava di più in sala.
Testa o croce?
Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis
Un western sghembo e affascinante, girato come sanno girare i suoi due autori (prima c’era stato Re Granchio) che stanno in un territorio (im)preciso tra Herzog e il B-movie anni ’70. Lì nasce questo duello tra cowboy (John C. Reilly alias Buffalo Bill) e butteri (Alessandro Borghi, che perde letteralmente la testa) dove però la vera protagonista è una donna (la splendente Nadia Tereszkiewicz) forte tosta indipendente. Un prisma che rifrange luce, classico e totalmente di adesso.
Breve storia d’amore
Ludovica Rampoldi
Altra esordiente ma non in senso assoluto, perché è una sceneggiatrice tanto brava e tanto premiata (Il traditore, Esterno notte, quest’anno Il maestro e Primavera), Ludovica Rampoldi fa un Closer, o un Carnage, insomma un gioco al massacro tra formichine che s’inventano una vita forse più grande di loro. Un quartetto di personaggi (e di attori: Fogliati-Giannini-Golino-Carpenzano) intelligente, divertente, sorprendente, soprattutto adulto. Attendiamo trepidanti l’opera seconda, se il cinema italiano la lascia un po’ libera.
La città proibita
Gabriele Mainetti
Un film di kung fu, una storia d’amore, una commedia all’italiana, un dramma scespiriano. Gabriele Mainetti è un caso raro: tre film in dieci anni, cominciando da un instant cult, Lo chiamavano Jeeg Robot, per cui si può dire che esiste un prima e un dopo, nel nostro cinema; e poi un altro film bellissimo, Freaks Out, da molti incompreso. Anche questo romance di arti marziali all’Esquilino è stato disertato fin troppo: è ora di recuperarlo.
Il rapimento di Arabella
Carolina Cavalli
Carolina Cavalli è una costruttrice di mondi. Dopo l’esordio con Amanda, ne mette in piedi un altro che è ugualmente pieno di ironia e tenerezza. E affida di nuovo a Benedetta Porcaroli (attrice sempre più grande) una giovane donna che non vuole – o non sa – dirsi adulta, infondendola di una profondità ancora maggiore. Dopo il successo internazionale dell’opera prima e lo Spirit Award come sceneggiatrice di Fremont, la voce di cui il nostro cinema aveva bisogno.
Queer
Luca Guadagnino
Recitato in inglese, è tecnicamente un film di produzione italiana (a differenza dell’americano After the Hunt, dello stesso autore: aspettate la prossima classifica). Nella fedeltà quasi religiosa nei confronti del romanzo di Burroughs, Guadagnino trova lo spazio personale per il suo film forse più intimo, certamente ispiratissimo, pieno di cose che sono solo sue, il mystery of love e il gioco della seduzione, fino al body horror però in chiave romantica. Con un Daniel Craig bigger than life. Sottovalutatissimo.
Le città di pianura
Francesco Sossai
Il caso italiano dell’anno, senza se e senza ma. Per hype, incassi (1 milione e 600mila euro, nel momento in cui scriviamo, son tanti, per un film come questo) e imposizione di un nuovo autore: Francesco Sossai. Un road movie bellissimo e stralunato che trasforma la provincia in epos collettivo, con uno spirito orgogliosamente anti-sistema e tre protagonisti a cui vuoi bene dal primo secondo (Filippo Scotti e “il gatto e la volpe” Sergio Romano e Pierpaolo Capovilla). Ci si vede tutti alla Tomba Brion, per l’ultima birra.













