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Per il compleanno di George Clooney (auguri!), avremmo voluto stilare una lista di soli film dei Coen: ma non si poteva. Ne abbiamo scelto uno solo per tutti, ma gli abbiamo dato la medaglia d’oro. Il resto è un excursus (quasi) completo nella carriera del <em>gentleman</em> del cinema contemporaneo: dal cult televisivo (serve dire quale?) alle scorribande col Brat Pack di Steven Soderbergh. <em>What else</em>?
Un thriller classico (e un po’ pedante), che però George veste con la solita classe. Al pari dei completi del suo avvocato, disposto a tutto pur di difendere la verità. Una delle tre candidature guadagnate dal divo come “<em>lead actor</em>”: ma ha vinto, tra le non protagoniste, la “<em>bitch</em>” Tilda Swinton.
Qua è la donna (Sandra Bullock) ad essere <em>in charge</em>. Dunque George, che non ha mai voluto fare il maschio alfa, fa da spalla. Senza rubare la scena, ma lasciando la sua indelebile presenza in questo instant classic sci-fi. Fino a (letteralmente) scomparire. Una nomination come non protagonista l’avrebbe meritata anche stavolta.
Tre le sue regie, la più priva di sbavature. E un’altra delle occasioni in cui Clooney sa farsi da parte, lasciando la scena a David Strathairn, alias il giornalista duro-e-puro Edward R. Murrow. Il lavoro grosso, del resto, lo fa alla regia: nominata (generosamente, ma giustamente) agli Academy Award del 2006.
George e Quentin: due ragazzi così posson bastare. L’amico Robert Rodríguez, nel suo horror-divertissement, li vuole addirittura fratelli: incredibile, ma a questo pastiche non si resiste. <em>On the road</em>, valigette piene di soldi, impennate tex-mex e una Salma Hayek infuocata e serpentata. Tra i cult più cult di Clooney, ancora oggi.
La dramedy fatta a regola d’arte. Da Jason Reitman, che offre all’attore la possibilità di essere praticamente se stesso: fascinoso ma di buon cuore, cinico ma tenerissimo. Le regole per il viaggio (in aereo) perfetto le abbiamo mandate tutti a memoria. Come lo sguardo affranto del protagonista quando confessa il suo (vano) amore a Vera Farmiga. Altra candidatura all’Oscar, purtroppo senza frutto.
Nel 1994 Michael Crichton (sì, quel Michael Crichton) portava per la prima volta in tv avventure ospedaliere, love story in corsia e dottorini fighissimi, come il pediatra donnaiolo Doug Ross di Clooney, allora 33enne. Che praticamente dall’oggi al domani si è ritrovato sex symbol adoratissimo, anche se non ancora brizzolato. Trampolino di lancio per il genere medical drama e per il nostro George, passato dal pronto soccorso alla Hollywood che conta.
Strano ma vero: Clooney ha ricevuto il suo unico Oscar come attore (l’altra statuetta è arrivata come produttore di <em>Argo</em>) per la performance da non protagonista in questo thriller politico solido ma piuttosto convenzionale. Il George’s touch, anche nel messaggio liberal, si vede; e la versione barba lunga fa la sua parte: ma l’abbiamo preferito altrove. Quarto posto in classifica solo per l’<em> award</em> (finalmente) guadagnato: era il 2006, era ora.
Altro giro, altra dramedy. Stavolta diretta, su sfondo hawaiano, da Alexander Payne. E altra parte perfetta per George: marito e padre assente che, quando la moglie entra in coma, è costretto a recuperare il rapporto con la figlia (l’allora rivelazione Shailene Woodley). Facce e faccette irresistibili, ed ennesima nomination come miglior attore. Anche stavolta, il premio ci stava eccome.
Clooney è al massimo della sua <em>coolness</em> a fianco del <em>buddy</em> Brad Pitt mentre “scimmiotta” Frank Sinatra e il Rat Pack di <em>Colpo grosso</em>, courtesy del remake action-comedy di Steven Soderbergh, qui scatenato come non mai. Danny Ocean è l’incarnazione dello star power di George. E in assoluto il suo ruolo più gigione, dopo lo spot del caffè, naturalmente.
<em>Prima ti sposo poi ti rovino, Burn After Reading</em>, fino all’ultimo <em>Ave, Cesare!</em>: impossibile scegliere il film dei Coen Bros. in cui Clooney è stato “più George”. Vada per la prima collaborazione: la Southern odissea in cui il nostro sembra davvero un divo della Golden Age. Dopo blockbuster-scult (<em>Batman & Robin</em>), tentativi indie-d’autore (<em>Out of Sight, Three Kings</em>) e incursioni “alte” (<em>La sottile linea rossa</em>), basta indecisioni: con i due amici-fratelli, George può essere finalmente se stesso. Il resto è Storia: e la conoscete.
Fuori classifica ma assolutamente da non dimenticare. Anche George si è unito alla Wes Anderson family per la prima incursione del regista nello stop motion. E la sua è forse una delle performance più spesso dimenticate del clan del cineasta texano, ma Clooney presta tutto il suo fascino <em>effortless</em> al volpone ex ladro di pollame creato da Roald Dahl, che si è ritirato dalla professione per far felice la moglie (Meryl Streep, <em>who else</em>?). Fantastic Mr. Clooney.
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