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Lo ha detto lei stessa in un’intervista al magazine W: «Non sono mai stata riconosciuta dall’industria. Non sono mai stata nominata a niente, o quasi. Tante delle cose che faccio le apprezzano dopo. Come Marie Antoinette: ora tutti lo amano». Se non ci pensano le varie “Academy”, lo facciamo noi: diamo a Kirsten Dunst quel che è di Kirsten Dunst. Ovvero: il titolo di attrice tra le migliori in circolazione. Ora è arrivata finalmente anche da noi (su TimVision) la serie che dovrebbe rompere questa maledizione. Si intitola On Becoming a God, e speriamo le porti tutti i premi che non ha avuto finora. La ritroverete sul podio di questa classifica: prima ripassate gli altri ruoli che confermano la nostra (e la sua) tesi.
“Baciare Brad Pitt è stato schifoso!”. Niente paura, la Dunst non è impazzita: è che aveva appena 11 anni quando ha dovuto farlo sul set di Intervista col vampiro, il suggestivo adattamento del romanzo orrorifico di Anne Rice l’ha lanciata. E la piccola Kirsten nei panni della succhiasangue in erba e viziatella tiene in riga star come Tom Cruise, lo stesso Pitt, Banderas e Slater. Prima candidatura ai Golden Globe e il merito di aver plasmato, insieme a quel cast da capogiro, la figura del vampiro nel cinema moderno.
Non si può stilare una classifica su Kirsten senza nominare questo classicone del genere “gonnelline e pon-pon” di Peyton Reed, puro cinema anni 2000. Dunst è la capo cheerleader di un team che scopre che le routine della squadra sono state copiate. E la nostra, che è stata una cheerleader pure nella vita vera, è più a suo agio che mai nella divisa rossa e nera del liceo. Dateci una K!
Prima della Jo di Saoirse Ronan (e Greta Gerwig), c’era quella di Winona Ryder. Lo stesso anno di Intervista col vampiro esce anche quest’altro film con un super cast e una Kirsten Dunst nemmeno adolescente. Nel terzo adattamento del romanzo di Louisa May Alcott, la nostra interpreta Amy March da bambina. Al suo fianco, oltre a Winona, Susan Sarandon, Claire Danes e Christian Bale. Se cresci in mezzo alla Hollywood royalty, il tuo destino è segnato.
Ba-cio! Ba-cio! Rigorosamente a testa in giù. Ma negli annali del cinecomic non è rimasta solo quella scena: in tanti hanno provato a rifare Spider-Man, ma l’originale (o quasi) di Sam Raimi non si batte. Né si può competere con la Mary Jane insieme tenera e sfrontata di Kirsten, in versione rossa. E dire che, per quel ruolo, era stata presa in considerazione Alicia Witt: chi?!
Un anno fa, l’esordio alla regia di Sofia Coppola ha compiuto vent’anni: incredibile ma vero. Dunst, all’epoca, di anni ne aveva 17. E metteva a segno il suo primo ruolo da vera protagonista. Non in un film a caso, bensì in una delle fotografie più precise (ancora oggi) dell’adolescenza al femminile, in cui l’autrice ha saputo cogliere tutta l’essenza della sua futura musa. Era nato un nuovo cinema: e Kirsten ne era la testimonial perfetta.
Nella seconda stagione dell’accaldatissima serie tratta dal cult dei fratelli Coen, Kirsten interpreta una parrucchiera di provincia del Minnesota triste e insoddisfatta. Almeno finché qualcosa non le sconvolge le vita: la nostra investe e uccide con l’auto il figlio minore della famiglia mafiosa della cittadina. La miglior stagione dello show, grazie alla clamorosa performance di Dunst in piena modalità Lady Macbeth. Fun fact: il suo partner sullo schermo, Jesse Plemons, diventerà anche suo marito nella vita vera.
Se il film, liquidato come una semplice rom-com, è stato ampiamente sottovalutato, ancora più sotto silenzio è passata la performance di Dunst. Che invece tratteggia una “sweetheart” che è praticamente impossibile non adorare dalla prima all’ultima scena. Basterebbe la telefonata lunga una notte (con Orlando Bloom) a rendere indimenticabile la sua Claire. Poi c’è il berrettino rosso, e una delle albe più romantiche di sempre. Commentata da una playlist altrettanto di culto, che solo Cameron Crowe avrebbe potuto piazzare.
Biopic punk sulla sfortunata regina di Francia, che i Francesi chiamavano con disprezzo “l’austriaca”, e seconda collaborazione dell’attrice con Sofia Coppola, mai davvero compresa di critici. E invece il clash destabilizzante tra il delizioso décor tardo barocco del periodo e le musiche New Wave ha fatto scuola. E Dunst è una meraviglia tra cofane che sfidano la legge di gravità, pizzi, merletti e macarons: leggera, appassionata, malinconica, devastante. Da qui in poi è impossibile pensare a Maria Antonietta senza pensare a Kirsten.
Ritratto di depressione in un interno/esterno matrimoniale. Kirsten regala una delicatezza inedita ai personaggi extreme di Lars von Trier, caricandosi addosso il peso della sua Justine, ma aggiungendovi una sensibilità del tutto personale. Fino al finale soprannaturale, che lei però sa rendere umanissimo. Palma d’oro per la miglior interpretazione femminile al Festival di Cannes, ma (almeno) la nomination all’Oscar che avrebbe meritato non è arrivata: vergogna.
Il numero 1? Ebbene sì. Alla soglia dei quarant’anni, la star trova il ruolo della vita (almeno per ora). E, in questa serie magnifica (ma ampiamente incompresa) prodotta da George Clooney, fa della sua Krystal una donna “larger than life”, con cui però si riesce a empatizzare fin dal primo momento. Tra mise da sirenetta e balletti nel garage da applausi a scena aperta (vedere il secondo episodio per credere), Kirsten sconfessa il Sogno Americano e innalza un monumento d’attrice a se stessa. Ma questo non è un vanity project, come si dice in gergo: è il risultato più maturo di una carriera costruita con intelligenza mattone dopo mattone. La serie fa ancora in tempo a concorrere agli Emmy di quest’autunno: giurati, siete in ascolto?
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