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Iniziamo la strada verso la Notte delle Stelle con le nostre previsioni, a partire dagli indispensabili supporting. In principio (e cioè nell’adattamento cinematografico del 1961) fu Rita Moreno, che per il ruolo di Anita vinse l’Oscar come non protagonista. Ora la storia sembra destinata a ripetersi con la versione di Spielberg del celeberrimo musical. L’Anita del nuovo millennio si chiama Ariana DeBose e, quando è sullo schermo, ruba la scena a quasi tutto il cast: lo dimostrano Golden Globe, SAG, Critics' Choice e il BAFTA già portati a casa. L’Oscar è on its way.
Pare assurdo, sì, ma questa è la prima candidatura all’Academy Award anche per Kirsten Dunst, nonostante il talento e la presenza nella serie A hollywoodiana fin dagli anni ’90. Nel post-western da camera di Jane Campion è una vedova con un figlio all’apparenza fragile, che viene bullizzato dal fratello del nuovo marito. Splendida nel tirare fuori tutta l’estrema sensibilità e le nevrosi del suo personaggio, ha diversi duetti da applausi con Cumberbatch. Sarebbe una vittoria comunque meritata, ma non probabilissima.
Nel film che Maggie Gyllenhaal ha tratto dal romanzo di Elena Ferrante è la giovane Olivia Colman (seriously?), e convince più di quella “vera” (candidata tra le lead). Già protagonista di A proposito di Rose e Sto pensando di finirla qui, è una delle nuove Irish da tenere d’occhio. E la quota “Ok, ci siamo accorti che ci sei e che sei brava” di questa annata di Academy Award.
L’Oscar del “best lead” tra gli uomini è già di Will Smith. Colei che sullo schermo interpreta sua moglie (e la mamma di Venus e Serena Williams) merita la candidatura, che l’Academy le ha riservato anche se prima non sono arrivate quelle di SAG e Critics’ Choice. Ma in passato ha avuto due nomination agli Emmy per When They See Us e Lovecraft Country: è un “underdog” che si sta facendo notare sempre di più.
Tutti pensavano che la casella “female supporting di Belfast” l’avrebbe spuntata Caitríona Balfe: e l’avrebbe meritato. L’Academy ha invece preferito la Dame del cinema British, già nominata 7 volte e vincitrice nella stessa categoria per la performance-lampo (solo 8 minuti!) in Shakespeare in Love. Anche qui il tempo sullo schermo è risicato: ma il primo piano finale non si dimentica facilmente.
Il favorito tra i supporting è l’attore non udente che interpreta il padre dell’ex famiglia Bélier, ora americanizzata nel feelgood movie dell’anno. Nei panni del papà di Ruby (Emilia Jones, che avrebbe meritato una nomination tra le protagoniste), è insieme severo e tenerissimo. E la scena notturna del litigio/riappacificazione con la figlia vale un premio. Una vittoria (pare) annunciata.
Forse l’avete già visto in The Road o nei panni di Nightcrawler in un paio di film di X-Men, ma è grazie a Jane Campion e al ruolo nel Potere del cane che il 26enne Kodi ha la sua prima, grande occasione agli Oscar. Meritatissima. L’attore australiano riesce a bilanciare le varie anime del suo personaggio (e a tenerne nascosti sino alla fine alcuni aspetti) attraverso anche un impressionante linguaggio del corpo e degli occhi. E a confrontarsi più che da pari con un super cast capitanato da Cumberbatch. Una performance clamorosa, che lo lancia dritto tra i favoriti.
Nel pazzesco quartetto di interpreti diretti da Campion, Plemons è probabilmente l’unsung hero, il più sottovalutato. Invece il suo personaggio, il fratello gentile e amabile del protagonista rozzo e omofobo interpretato da Cumberbatch, ne è il perfetto contraltare. La chimica con la moglie (nella vita vera) Kirsten Dunst fa il resto. Se Potere del cane sarà in questa categoria però, probabilmente toccherà a Smit-McPhee. Ma intanto la nomination porta giustamente Plemons sul radar del premi.
Nella semi-autobiografia di Kenneth Branagh è il nonno che tutti vorremmo avere. Il suo personaggio, il patriarca malato di una famiglia protestante che fatica ad arrivare a fine mese nella Belfast nel 1969, è un'anima gentile, che fa da saggio e affettuoso consigliere al nipotino. Già amato caratterista Irish DOC e pilastro del cinema d’autore (ha lavorato con Paul Thomas Anderson e Martin Scorsese), interpreta spesso character più severi. La sua prima nomination arriva a 69 anni. E il nostro voto-simpatia va senza dubbio a lui.
Una statuetta nella stessa categoria l’ha già vinta (per Whiplash di Damien Chazelle), e il ruolo nel biopic su Desi e Lucy (ovvero Javier Bardem e Nicole Kidman, entrambi candidati tra i protagonisti) è davvero di supporto. È sempre impeccabile, ma diciamo che quest’anno è più in quota “usato sicuro”. Non vincerà, ed è giusto così.
Foto: Glen Wilson/Prime Video
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