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Parlando di <em>supporting actress</em>, che cosa sarebbe il secondo, geniale <em>Borat</em> senza la figlia Tutar, in fuga dalle gabbie del Kazakistan verso l’American Dream? Basterebbe solo il suo ruolo centrale nell’epica figura di merda di Rudy Giuliani. E invece c’è molto di più: Maria Bakalova è la rivelazione della stagione cinematografica. La nostra preferita della cinquina, senza se e senza ma. La nomination del film anche per la sceneggiatura originale potrebbe dare una mano.
Se non sarà Maria Bakalova, noi votiamo per Amanda, che i bookmaker non considerano una frontrunner. Seyfried infatti è una <em>newbie</em> degli Oscar, ma <em>Mank</em> ha portato a casa ben 10 nomination, e questo aiuta, anche se per lei non sono arrivati altri premi nel corso della Awards Season. Nei panni della biondissima star anni ’20 e ’30 Marion Davies, l'attrice non sfigura accanto a nomi del calibro di Charles Dance in quelli di William Randolph Hearst e Gary Oldman, alias Mank himself. Potrebbe dire la sua.
Nelle avventure della famiglia coreana che si trasferisce in Arkansas negli anni ’80, Youn Yuh-jung interpreta la nonna che arriva per stare con loro (e «puzza di Corea», si lamenta il bambino). Youn è una stella in patria e ha raccolto moltissimi consensi al debutto del film al Sundance, oltre ad aver già vinto il Critic’s Choice Award, il BAFTA, l’Indie Spirit e il SAG, considerato un indicatore importante degli Oscar. È la prima asiatica a essere nominata in questa categoria dal 2006, quando toccò a Rinko Kikuchi per <em>Babel</em>. Sarebbe un premio politically correct, ma per questo non meno meritato.
Dopo la vittoria come <em>lead</em> per <em>La favorita</em>, Olivia è diventata la preferita pure dei premi. Non c’è film (o serie) per cui non si guadagni (giustamente) delle candidature. E <em>The Father</em>, dove interpreta la figlia di Anthony Hopkins, un uomo che rifiuta la sua assistenza con l'avanzare dell’età e inizia a dubitare di tutto, non fa eccezione. Se gli Oscar non vogliono scommettere su Bakalova, Colman è una scelta che nessuno potrebbe discutere.
Discutibilissima è invece la mossa di mettere in cinquina Glenn Close. E lo dimostra anche la sua nomination ai Razzie Award per lo stesso ruolo: quello di Mamaw, la matriarca redneck di <em>Elegia americana</em>. È l’ottava nomination per l’attrice, ed è chiaro che l’Academy vorrebbe regalarle la statuetta per rimediare ai sette snub precedenti. Glenn è una grande, ma forse il film di Ron Howard è troppo discutibile per riuscire nell’impresa. O, almeno, lo speriamo.
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