5 cose imperdibili dell’incontro con Johnny Depp a Roma | Rolling Stone Italia
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5 cose imperdibili dell’incontro con Johnny Depp a Roma

L’attesa (ripagata da una grande generosità). Il ripasso della sua carriera (intervallato da gag irresistibili). Il nuovo ruolo ‘animato’ (che non mette in ombra il vecchio pirata). Tutto quello che è successo al ‘Johnny Day’ di Alice nella Città 2021

La carriera, spiegata bene

Alice nella Città, il festival dedicato ai ragazzi e ai nuovi sguardi sul cinema sezione parallela della Festa di Roma, l’aveva corteggiato per dieci anni buoni. Messaggi, richieste, appelli da parte dei giovani spettatori alla fine son serviti: Johnny Depp è arrivato come ospite più sognato, sospirato, aspettato (vedi più avanti) degli ultimi anni. Il pretesto è la web serie d’animazione Puffins, in cui interpreta con magnifica autoironia il ruolo del protagonista Johnny Puff (applausi). Ma il “Johnny Day” è molto di più: un one-man-show sfrenato che va dal red carpet del mattino (o quasi: ne parliamo sempre tra un po’) alla masterclass della sera, in cui ripercorrere con lui la sua carriera, ponte transgenerazionale che dai padri va ai figli, da Edward mani di forbice arriva al capitan Jack Sparrow e al Cappellaio Matto. Tutto è cambiato all’inizio degli anni ’90: «Mi ero accidentalmente trovato imprigionato in una serie tv (21 Jump Street, in cui ha recitato dal 1987 al 1990, ndr), avevo un contratto settennale e per due anni e mezzo ho cercato in tutti i modi di farmi licenziare, sono anche finito in prigione perché iniziavo a sentirmi come un prodotto e non non mi piaceva. Quando mi hanno detto che il mio impegno era finito, hanno continuato a propormi sceneggiature basate tutte sulle stesse formule, io invece volevo fare qualcosa di diverso, di creativo. Non ho mai davvero scelto di fare l’attore, volevo solo creare un percorso mio, se le persone non l’avessero capito avrei fatto altro, magari il muratore. Ho aspettato e aspettato e finalmente è arrivato un copione di John Waters, Cry Baby, e quando l’ho letto ho detto: “Oh mio dio, è perfetto, mi dà l’occasione di entrare in un terreno che è il mio”. È stato il primo passo per la strada che volevo prendere. Il secondo è stato Tim con Edward mani di forbice». E sappiamo tutti com’è andata…

I Puffins psichedelici

Un serie per bambini piccolissimi? Certamente. Johnny l’ha fatta per quello: «Quando Andrea e Monika (Iervolino e Bacardi, produttori della serie, ndr) mi hanno contattato, il progetto ha catturato subito il mio interesse, perché c’era l’idea di cercare un linguaggio nuovo, trovare un modo di esprimermi… Quali suoni possono attirare l’attenzione di un bambino così piccolo? Mi sono messo a investigare quali suoni fossero piacevoli, come i neonati reagiscono: fanno “Uh”, “Ih”, “Ah”, e la risposta è che non lo sai mai. Chi è genitore e ha attraversato quelle buie notti dell’anima in cui ricorreresti a qualunque cosa per far ridere il proprio bambino lo sa». E per il messaggio che la serie veicola: «I Puffins vogliono avere un’influenza positiva sui bambini. Quando io ero ragazzino, in televisione c’era la guerra del Vietnam mentre cenavamo, se cenavamo». Ma Puffins rischia di essere il cartoon più psichedelico di sempre. Il canto del tricheco, l’episodio presentato durante l’incontro con il vero Johnny Puff (questo il nome del suo personaggio) son cinque minuti di pura extravaganza psichedelica, dall’opera al rap. Passando per il rock dell’Hollywood Vampire, che presta la chitarra anche al suo pulcinella di mare.

La stoccata alla Disney

Nel ripassare davanti al pubblico di Alice nella Città la sua carriera, Johnny arriva anche al punto nodale, quello che ha cambiato tutto: da star perlopiù indie a vero idolo del box-office. In tre parole: Pirati dei Caraibi. «Il mio approccio ai personaggi non è mai cambiato e le scelte che ho fatto all’epoca sono quelle che ho ritenuto importanti», ha ammesso ha proposito del suo “metodo”. «Ma è più interessante quello che ho rifiutato, nonostante i miei agenti mi dicessero di accettare perché si vedevano i soldi sfuggire sotto al naso. Non ho mai capito una cosa: gli Studios mi ingaggiavano e poi pretendevano che facessi determinate cose, come se non avessero visto nulla che avevo fatto prima. Poi è arrivato Jack Sparrow (lo dice con la voce del personaggio, ndr). Forse non è il modo migliore di vederla, ma il bello per me è stata la possibilità di infiltrarmi nel campo del nemico: la Disney. Per tre anni ho cresciuto una figlia, ho visto solo cartoni animati e mi sono detto: perché non posso interpretare anche io un cartone? Che tu abbia cinque o settant’anni, quando guardi un cartone c’è una totale sospensione dell’incredulità, credi sempre a quello che vedi. I parametri nell’industria erano molto stretti, con Jack ho provato ad allargarli». Tiè, Topolino.

Le attese

 

 
 
 
 
 
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E se l’attesa di Johnny Depp fosse essa stessa Johnny Depp? Il tappeto rosso della mattinata di domenica 17 ottobre, previsto per le 12:30, è partito alle 14:15. Un’ora e tre quarti è troppo? Forse, ma tutto si è trasformato in una specie di sit-in collettivo mosso da un’energia irresistibile. Tutti erano (eravamo) lì per Johnny, tra giornalisti, fan, curiosi, qualche sosia che approfittava dell’assenza del Depp vero per farsi intervistare in sua vece, pupazzoni giganti dei Puffins che dovevano svestirsi per il troppo caldo, e poi l’esplosione finale all’arrivo dalla star. Che è stata generosissima. La sera, “solo” un’ora di posticipo per l’inizio della masterclass. Ma, in cambio, un pubblico altrettanto impazzito («Sexy boyyyyy!») e dichiarazioni notevolissime: «Credo che valga per tutti questo voler conservare l’infanzia», ha detto a proposito dei suoi ruoli che ci fanno (e lo fanno) tornare eternamente bambini, «ma a volte l’infanzia non ti lascia questo senso di sicurezza, a volte te lo vai a cercare altrove. Per me è sempre molto importante mantenere attivo il cervello, farlo pensare, altrimenti mi troverei in una stanza buia».

Le gag con l’interprete

Dopo lo show alla conferenza stampa del mattino, in cui l’interprete Bruna Cammarano si è trovata con in testa il cappello di Johnny, il teatrino tra divo e traduttrice è proseguito nella masterclass della sera. Tra una dichiarazione serissima e l’altra – – spazio all’improvvisazione. E all’invidia delle spettatrici (e spettatori) in sala: baci, abbracci, fino al momento topico. Ovvero: Johnny che lancia il suo microfono e poi quello dell’interprete, in modalità “drop the mic”. E viene giù il teatro.